Adela Greceanu: «La poesia, al passo con la freschezza del mondo»

Un momento di riflessione sulla poesia nella vita e nella scrittura. Ce lo propone la poetessa romena Adela Greceanu, a partire dall’idea che «per me, ora come ora, credo che la poesia abbia un legame con un forte sentimento dell’inedito. Con la sensazione che tutto sia continuamente nuovo e di un rigore impeccabile. E che io sia contemporanea a tutto ciò e che debba essere lì esattamente dove sono. Sembra una cosa semplice, ma in realtà non lo è». Il dialogo è accompagnato da un saggio della sua produzione poetica, nella traduzione di Serafina Pastore.


Inizierei con una domanda quasi impossibile: che cos’è la poesia per lei e che cosa significa essere poetessa?

A dire il vero è da tempo che non penso più a che cosa sia per me la poesia e che cosa significhi essere poetessa. E in un certo senso ho fatto bene. Tuttavia, è bene ogni tanto porsi queste domande, così come ci si farebbe delle analisi mediche. Perché si potrebbero avere delle sorprese. Nel senso che uno si sente bene, ma potrebbe scoprire, dalle analisi del sangue, per esempio, che il livello del colesterolo è troppo alto. O che il numero dei trombociti è troppo basso. E allora conviene mangiare meno grassi. O seguire una cura a base di dexametasone. Quindi, conviene che mi faccia un’analisi.
Credo che per me, ora come ora, la poesia abbia un legame con un forte sentimento dell’inedito. Con la sensazione che tutto sia continuamente nuovo e di un rigore impeccabile. E che io sia contemporanea a tutto ciò e che debba essere lì esattamente dove sono. Sembra una cosa semplice, ma in realtà non lo è. A volte è dannatamente difficile tenere il passo con la freschezza del mondo che ti circonda, sia che si viva in un quartiere bene di Milano o in uno qualsiasi di Bucarest, o in un villaggio dimenticato da Dio. Essere poeta credo che equivalga da un lato a tenere il passo con la freschezza del mondo e dall’altro a tenere il passo con se stessi. Mi rendo conto che analizzandomi interiormente ho dato pressappoco questa risposta: che scrivo per tenere il passo con me stessa. Il che, ripeto, non è per niente facile. Ma è bene non fare troppe analisi al poeta che è nel proprio sangue, poiché si rischia di diventare ipocondriaci. O di preoccuparsi troppo dell’analisi della poesia più della poesia stessa.

Come è avvenuto il passaggio alla prosa e come ha inciso questo nel suo modo di scrivere

Non c’è stato un passaggio con armi e bagagli. Questo perché fin dal principio io mi sono posta al confine: tra la poesia, la prosa, il discorso drammatico e, forse, il saggio. La mia poesia contiene delle storie. La mia prosa contiene della poesia. Mi sento molto bene così, a cavallo di questo confine, in quel territorio così magnanimo che non appartiene a nessuno. Ma non l’ho fatto con uno scopo preciso. Solo dopo la pubblicazione dei miei libri mi sono resa conto di trovarmi su un confine. Per questo mi piace affermare che il mio romanzo, La sposa dalle calze rosse, sia stato finora il mio miglior libro di poesia.

Lei è anche giornalista stampa e radiofonica. Come si concilia la poesia con il giornalismo?

Sono due settori distinti. Senza che entrino in conflitto tra di essi. Poiché sono giornalista culturale, ho conosciuto scrittori e artisti romeni e stranieri che sono approdati al mio mondo. Sono persone che mi hanno spinto a pormi domande, a essere curiosa, a voler sentire anche l’opinione dell’altro. Scrittori come Nora Iuga e Amos Oz e l’artista Dan Perjovschi ne sono solo alcuni esempi. Sono artisti che mi hanno fatto dono del loro mestiere di giornalista culturale. Certo, avrei potuto ammirarli standone distaccata, ma ho avuto e ho la fortuna di conoscerli e di conversare con loro proficuamente. Inoltre, lavorando alla radio (come giornalista collaboro sporadicamente con la stampa scritta), ho imparato una cosa molto importante come persona, come scrittore: ascoltare. Essere giornalista radiofonico non significa parlare bensì soprattutto ascoltare.

Nel programma che lei cura a Radio Romania Culturale, «Nuova rivista parlata», lei segue ciò che si muove nella letteratura odierna, romena e straniera. Fra gli scrittori italiani contemporanei, chi preferisce e perché?

Penso che si debba alla magia della letteratura il modo con cui Alessandro Baricco nel suo romanzo, Seta, riesce a farti trattenere il fiato quando leggi come un personaggio apre gli occhi. È una sequenza cinematografica fatta di parole. Il tempo si ferma. E così il mondo. Non si può scordare un’immagine costruita con le parole. E poi c’è Antonio Tabucchi, la sua maniera di dire senza dire, i silenzi delle sue storie.

I suoi testi sono stati tradotti in varie lingue, fra cui il tedesco, l’inglese, lo svedese e l’italiano. Quali sentimenti suscita in lei il fatto di entrare in altre culture attraverso l’atto traduttivo?

Credo sia un po’ ardito affermare che sono entrata in altre culture attraverso le traduzioni. Con le traduzioni mi sono avvicinata a delle persone. Quando un lettore intelligente ti dice che gli è piaciuto ciò che hai scritto la gioia è immensa tanto in Romania quanto in Italia, in Germania o in Svezia.

Lei di solito dialoga con i traduttori su problemi attinenti ai suoi testi?

Se hanno delle domande, dei dubbi rispetto al testo, sì, sto a loro disposizione con piacere. Ricordo, per esempio, che Serafina Pastore, che ha tradotto in italiano alcune mie poesie per il Festival Internazionale di Poesia di Genova, si era preparata una lista di domande: ci siamo incontrate a un caffè e abbiamo parlato a lungo sul testo. Con Mauro Barindi ho preso un cappuccino e abbiamo conversato parecchio sul mio romanzo, del quale ha tradotto alcuni estratti. Era come essere a un’intervista e a me ha fatto piacere, perché Mauro aveva capito pressappoco quello che anch’io avevo capito del mio libro.

Nel 2009 lei ha rappresentato la Romania Festival Internazionale di Poesia di Genova. Com’è stata quell’esperienza?

Innanzitutto sono stata incredibilmente sorpresa dal fatto che Monica Joita, l’attuale vicepresidente dell’Istituto di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, mi avesse contattato tramite e-mail per annunciarmi di avermi proposto per questo festival. Al Festival di Genova viene tantissimo pubblico. È impressionante vedere il cortile del Palazzo Ducale pieno di persone venute ad ascoltare poesia. E con la stessa intensità si rimane impressionati dalla qualità degli scrittori invitati. Dopo la mia lettura, mi sono trattenuta a lungo conversando con qualcuno del pubblico.

Se dovesse scegliere tre cose che più l’hanno colpita in Italia, quali sarebbero?

Genova (la città vecchia, a strati, il bucato steso ad asciugare sullo sfondo di affreschi del XVIII secolo…, le stradine sempre più strette, i balconi verdi), il caffè espresso, il pesto genovese.

Come descriverebbe al pubblico italiano il suo modo di scrivere?

Se sapessi come è il mio modo di scrivere, lo descriverei anche al pubblico italiano nella stessa maniera con cui lo farei con qualsiasi altro pubblico. Ma non so come sia. Certo, esso segue certi punti fermi che sorgono mano a mano che scrivo, punti fermi che il testo esige e che, allo stesso tempo, edifica. E io devo solo starci attenta, rispettandoli e proseguendo in tal modo fino alla fine. Senza la minima idea di riuscirci. Penso sia meglio che siano i lettori a dire, se lo vogliono, come è la mia scrittura.   

A che cosa sta lavorando adesso e come «progetta» i suoi futuri libri?

Non mi piace parlare del libro a cui lavoro quando è ancora troppo presto. E quanto a progettare, io non progetto. Quando scrivo, a un forte impulso di scrivere si combina l’ossessione, o più ossessioni, per un particolare, per un’immagine, per delle voci, e per tante altre cose ancora. E solo dopo aver scritto alcune pagine, avverto che forse potrei scrivere un libro.


Intervista realizzata da Afrodita Carmen Cionchin
Traduzione dal romeno di Mauro Barindi


Saggio della produzione poetica di Adela Greceanu



La traduttrice Serafina Pastore presenta, qui di seguito, un saggio della produzione poetica di Adela Greceanu.
Di questa esperienza, ci ha confessato:

Ho incontrato per la prima volta la scrittrice Adela Greceanu nell'autunno 2008 durante una lezione per giovani traduttori tenuta dall'illustre professore Florin Bican a Mogoşoaia. Tra me e la poetessa, su una base di simpatia, è nata subito una sincera amicizia. Nel 2009, dovendo ella partecipare al XV Festival Internazionale di Poesia di Genova, mi affidò il compito di tradurre alcuni dei suoi scritti. Durante la traduzione ho cercato di cogliere il significato delle parole e la poetica della scrittrice. Ciò che mi ha colpito al primo impatto è stata l'originalità dei temi trattati e lo stile usato. Oggetto della sua attenzione sono: emozioni, sensazioni, curiosità sui piccoli fatti e fenomeni che solitamente passano inosservati. Una macchia sulla sedia, una fessura nella parete, un gioco con cascami di lana, un fanciullo amico mettono in moto la sua fantasia, creando racconti, immagini e atmosfere tra sogno e realtà. Intimismo e velata malinconia, senso del mistero, ricerca della quiete e del silenzio, passioni, desiderio d'amore aleggiano nelle sue poesie, anche quando parla di cose che all'apparenza possono sembrare le più banali. Le sue poesie sono come una crisalide che aspetta di diventare farfalla. Lo stile non ci porta dinanzi ad una poesia nel senso usuale del termine ma a uno scorrere libero della scrittura e della parola.


Della raccolta Domnişoara Cvasi (Ed. Vinea, Bucureşti, 2001)

***
Ho tappezzato di verde quella sedia. Era macchiata da molto tempo, ho trovato un vecchio abito di un colore vicino al suo, col quale l’ho rivestita. Da allora è la mia sedia.
Prima che mi sedessi, un rumore mi ha offuscato i pensieri. Sulla sedia è comparsa una macchia, che ho notato solo il giorno dopo. Non mi sono più seduta sopra la sedia, l’ho messa al sole. Il terzo giorno, invece di asciugarsi e di lasciare un vago contorno, la macchia ha iniziato a diventare più evidente. Per due giorni non ho guardato la sedia. Il sesto giorno ho dato uno sguardo per caso e ho osservato come la macchia si muoveva piano, come in un liquido vischioso e aveva un contorno ben delineato. Il settimo giorno la macchia gemeva.

***
La quiete era nella parete. Vi ha scavato gallerie intricate, fino a quando si è fatta strada in casa nostra tramite una fessura. Il suo sorriso aveva la forma della fessura.

***
Ho un amico che si chiama Udo. I nostri giardini sono separati da un recinto di rete metallica. Per incontrarci, o gli strillo io: «Udo! Dai vieni al recintoooo! », oppure mi strilla lui. Una volta abbiamo visto un buco nel recinto che abbiamo allargato tanto quanto ci sgattaiolavamo. Papà lo ha notato e ha riparato il recinto. Noi di nuovo abbiamo disfatto la rete, papà di nuovo l’ha riparata e così via.
Il giorno del mio compleanno, sua madre porta al recinto i libri della libreria e mi chiede:
- Hai questo libro?
- Sì, ce l’ho.
- E questo?
- Questo no.
E manda Udo da me con il libro che mi manca, in regalo.
Gli unici giorni dell’anno in cui ci incontriamo sono i giorni dei nostri compleanni.
Udo gioca a fare l’autobus. Ha un monopattino con cui fa la corsa Sibiu-Mediaş nel suo giardino pieno di fermate d’autobus. Un giorno Udo è l’autobus 11, un altro 11 sbarrato… Invece io sto in casa e faccio da mangiare. Involtini di foglie di vite ripieni con pappalasca – terra mescolata con acqua. Qualche volta aggiungo anche le carote.
Un giorno cerco il rossetto rosa scoperto da poco in un cassetto. Odora come la margarina stagionata della dispensa. Mi ci tingo le labbra, me ne metto un po’ anche sulle guance e indosso il mio vestito preferito, quello che fa la ruota. Mi ricordo delle scarpe con i tacchi di mia mamma che non porta perché le vanno strette. Le calzo e mi guardo allo specchio. Allora sento: «Adila! Dai vieni al recintoooo!» Vado.
- Guarda come gira il mio vestito! E mi roteo. Sposiamoci! Gli dico.
- Bene, dice.
- Ma prima devi darmi un regalo.
Vuole darmi una ruota della sua bicicletta rotta, però non passa attraverso il buco del recinto. Lo allarghiamo un po'.  La ruota ancora non entra.
- Spostati, dice, e butta la ruota oltre il recinto. Ma resta appesa in alto in alto e non possiamo raggiungerla.
- Non è niente, diciamo che la ruota è il sole. Dammi qualcos’altro.
Mi dà un piatto di latta. Lo alzo e attraverso di esso vedo il sole.
- È bucato ma va bene per gli involtini. Sai, per sposarci, dobbiamo tenerci sottobraccio, dico.
Pieghiamo i gomiti come se ci prendessimo sottobraccio e ci avviamo lungo il recinto, ciascuno dalla sua parte. Camminiamo attenti a non  andare uno più avanti dell’altro. Arriviamo in fondo ai giardini.
- Qui c’è la chiesa, gli annuncio.
E vediamo che alla fine dei giardini c’è un grande buco nel recinto tramite il quale potremmo passare comodamente, non strisciando carponi, come per il buco fatto da noi. Ci guardiamo attentamente attraverso di esso. Stiamo fermi pochi attimi… Poi lui chiede:
- Pronta?
E io gli rispondo:
- Pronta.
E mi tolgo le scarpe con i tacchi infangati.

***

La mia lingua disegna sul muro un buio bagnato. Non assomiglia al buio del retro della casa, quando mi mandano a raccogliere le noci. È un buio che si asciuga velocemente. Nessuno lo conosce. È nascosto dietro la testata del letto, quanto sono andata lontano con la lingua.
Mentre disegno, il cuore sta in cima al corpo. Qualcosa di bollente sale fin su.



Din Domnişoara Cvasi (Ed. Vinea, Bucureşti, 2001)

*  *  *

Eu am tapisat în verde scaunul acela. Era pătat de multă vreme, am găsit o rochie veche de o culoare apropiată de a lui, cu care l-am îmbrăcat. De atunci e scaunul meu.
Înainte să mă aşez, un zgomot mi-a tulburat gândurile. Pe scaun a apărut o pată, pe care am observat-o abia a doua zi. N-am mai şezut pe scaun, l-am scos la soare. A treia zi, în loc să se usuce şi să rămână din ea doar un contur vag, pata a început să iasă în relief. Nu m-am uitat două zile la scaun. A şasea zi l-am privit din întâmplare şi am observat cum pata se mişca încet, ca într-un lichid vâscos şi avea un profil clar conturat. Iar în a şaptea zi pata scâncea.

           
* * *

Locul liniştii fusese în perete. A săpat prin el galerii complicate, până a răzbit printr-o fisură în casa noastră. Zâmbetul ei avea forma fisurii.

* * *

Am un prieten pe care-l cheamă Udo. Grădinile noastre sunt despărţite de un gard de sârmă. Ca să ne întâlnim, fie îl strig eu: „Udo! Hai la gaaaard!”, fie mă strigă el. Odată am văzut o gaură în gard pe care am lărgit-o cât să ne strecurăm prin ea. Tata a observat-o şi a reparat gardul. Noi iar am desfăcut plasa, tata iar a reparat-o şi tot aşa.
De ziua mea, mama lui aduce la gard cărţi din bibliotecă şi mă întreabă:
- Ai cartea asta?
- Da, o am.
- Dar pe asta?
- Pe asta nu.
Şi-l trimite pe Udo la mine cu cartea pe care n-o am drept cadou. Singurele zile din an când ne întâlnim sunt zilele noastre de naştere.
Udo se joacă de-a autobuzul. Are o trotinetă cu care face cursa Sibiu-Mediaş prin grădina lui împânzită cu staţii de autobuz. Într-o zi Udo e autobuzul 11, în alta 11 barat… Iar eu stau acasă şi fac mâncare. Sarmale din foi de viţă umplute cu papalaşcă – pământ amestecat cu apă. Uneori pun şi morcovi.
Caut într-o zi rujul roz descoperit de curând într-un sertar. Miroase ca margarina învechită din cămară. Îmi fac buzele cu el, îmi dau puţin şi în obraji şi îmi pun rochia preferată, cea care se învârte. Îmi amintesc de pantofii cu toc ai mamei pe care nu-i poartă pentru că o strâng. Îi încalţ şi mă privesc în oglindă. Atunci aud: „Adila! Hai la gaaaard!” Mă duc.
- Uite cum se învârte rochia mea! Şi mă rotesc. Hai să ne căsătorim! îi spun.
- Bine, zice el.
- Dar întâi trebuie să-mi dai un cadou.
Vrea să-mi dea o roată de la bicicleta lui stricată, însă nu încape prin gaura din gard. O lărgim puţin. Roata tot nu încape.
- Dă-te la o parte, zice şi aruncă roata peste gard. Dar ea rămâne agăţată sus de tot şi n-o putem ajunge.
- Nu-i nimic, zicem că roata e soarele. Dă-mi altceva.
Îmi dă o farfurie de tablă. O ridic şi prin ea văd soarele.
- E găurită dar e bună pentru sarmale. Ştii, ca să ne căsătorim, trebuie să ne ţinem de braţ, zic.
Îndoim coatele ca şi cum ne-am lua de braţ şi pornim de-a lungul gardului, fiecare pe partea lui. Mergem atenţi să n-o luăm unul înaintea celuilalt. Ajungem în fundul grădinilor.
- Aici e biserica, îl anunţ.
Şi vedem că la capătul grădinilor este în gard o gaură mare prin care am putea trece lejer, nu de-a buşilea, ca prin gaura făcută de noi. Ne privim atent prin ea. Stăm nemişcaţi câteva clipe… După care el întreabă:
- Gata?
Şi eu îi răspund:
- Gata.
Şi îmi dau jos pantofii cu tocurile pline de noroi.

* * *

Limba mea desenează pe perete un întuneric ud. El nu se aseamănă cu întunericul din spatele casei, când sunt trimisă după nuci. El este un întuneric ce se usucă repede. Nimeni nu ştie de el. Este ascuns după tăblia patului, cât de departe am ajuns cu limba.
În timp ce desenez, inima stă în vârful trupului. Ceva fierbinte urcă până sus.

***

Della raccolta Înţelegerea drept în inimă (Editura Paralela 45, Cluj-Napoca, 2004)

Albedo

L’uccello vola dentro un uccello grande,
il pesce nuota dentro un pesce immenso.
Nel mondo, le cose si nascondono dentro le loro qualità,
come nei segni o nelle parole.
Si nascondono rivelandosi in parte.
Esiste tuttavia una lingua che non nasconde.
Assomiglia tanto ad una musica.
Se sei uccello o pesce,
devi arrampicarti per una fune
verso l’uccello o il pesce che ti contiene,
con le stesse qualità, ancora più grandi.

Oppure scendere, dalla stessa fune,
verso l’uccello o il pesce del tuo didentro,
con le stesse qualità, ma ancora più rimpicciolite,
Strada facendo crescerai o ti rimpicciolirai
a misura di chi ti aspetta.
Allora, per strada, conoscerai la musica,
la lingua che non nasconde.

E io non sto più alla radice della fiamma,
sono entrato.



Din Înţelegerea drept în inimă (Editura Paralela 45, 2004)

Albedo

Pasărea zboară într-o pasăre mare,
peştele înoată într-un peşte imens.
În lume, lucrurile se ascund în însuşirile lor,
ca în semne sau în cuvinte.
Se ascund dezvăluindu-se în parte.
Există însă o limbă care nu ascunde.
Seamănă mult cu o muzică.
Dacă eşti pasăre sau peşte,
trebuie să te caţeri pe o frânghie
la pasărea sau peştele care te conţine,
cu aceleaşi însuşiri, însă mult mai mari.

Sau să te cobori, pe aceeaşi frânghie ,
la pasărea sau peştele dinăuntrul tău,
cu aceleaşi însuşiri, însă mult mai mici,
Pe drum vei creşte sau te vei micşora
pe măsura celui care te aşteaptă.
Atunci, pe drum, vei cunoaşte muzica,
limba care nu ascunde.

Iar eu nu mai stau la rădăcina flăcării,
am intrat.

Traduzione dal romeno di Serafina Pastore

(n. 7, luglio 2012, anno II)