Ana Blandiana: «Grazie ai piccoli editori le letterature dell'Est sono arrivate in Occidente»

Ana Blandiana è stata l’ospite d’onore alla I edizione della Fiera dell’Editoria Indipendente tenutasi dal 7 al 9 settembre a Tassignano/Capannori (Lucca), nell’ambito della II edizione di «Effetto Capannori» promossa dal Comune di Capannori. In margine a questo evento, la nota poetessa romena ci ha cortesemente rilasciato l’intervista che qui proponiamo, soffermandosi tra l'altro sul prezioso ruolo degli editori indipendenti o cosiddetti piccoli.

Il tema proposto per il dibattito inaugurale della Fiera di Capannori era «Per un’ecologia della cultura», intesa come pulizia, sfrondamento da eccessi, incrostazioni che con la cultura non hanno nulla a che vedere. Qual è la sua opinione al riguardo? C’è bisogno di un’«ecologia della cultura» oggi e come la intenderebbe lei?

Anche se sono concorde con l’idea di fondo di questo concetto retorico, la retorica in sé non mi attrae perché mi fa presagire che con l’andare del tempo essa stessa finisca per offrire il destro a vuote discussioni. L’ecologia della cultura è una formula attraente, che a furia di essere ripetuta può trasformarsi alla fine in sedimenti inquinanti del tutto uguali a quelli che si volevano combattere. È per questo motivo che con una punta d’ironia ho affermato che prima di parlare di ecologia, dobbiamo essere sicuri che le piante siano vere, e non di plastica. Intervenendo a Capannori in questo dibattito, ho tentato di illustrare il punto di vista di chi viene dall’Est, là dove l’autenticità della cultura è garantita dalla sofferenza da cui è sgorgata. Una società che tende a trasformare il consumo e il benessere materiale in valori supremi genera anche una cultura del consumo, che si definisce «cultura» per semplice omonimia, così come per musica s’intende sia quella di Bach sia quella di Lady Gaga. La cosa importante è che continuino a esistere la cultura autentica, la poesia, la letteratura, l’arte, la filosofia, la religione, che esplorano le vette e le profondità dell’animo umano, e non l’apparato digestivo.

A Capannori sono state presenti una ventina di piccole case editrici indipendenti, fra le quali la Saecula Edizioni e Donzelli, che hanno portato i suoi due ultimi volumi pubblicati in Italia, rispettivamente Il mondo sillaba per sillaba (prosa di viaggio) e Un tempo gli alberi avevano occhi (antologia poetica). Che ruolo hanno le case editrici indipendenti, anche se di ridotte dimensioni, per la diffusione della cultura e di spazi culturali meno conosciuti come quello romeno?

Mi permetta di citare anche la terza casa editrice, la Anfora Edizioni di Torino, che ha pubblicato il mio volume di racconti fantastici Progetti per il passato e altri racconti (nella traduzione di Marco Cugno, ndr). Case editrici indipendenti come questa, più o meno ai margini, ricoprono un ruolo importantissimo nel proporre libri di scrittori provenienti da culture poco conosciute e la cui pubblicazione implica un rischio materiale. Case editrici di questo tipo svolgono una funzione preziosissima a difesa della poesia, un genere che non assicura quasi mai con certezza un profitto. Se le letterature degli ex paesi comunisti sono riuscite a penetrare nel mercato occidentale e, in definitiva, addirittura a imporsi, lo devono proprio a questi editori indipendenti. Perché le ridotte dimensioni di queste case editrici vengono ricompensate dalla passione per la letteratura di coloro che le guidano e le mantengono in vita.

Stregato dalla forza dei suoi versi, al termine della poesia che lei ha letto nella prima serata di Capannori il pubblico l’ha applaudita con grande calore, ancor prima di ascoltare la traduzione in italiano. Perché?

Non è la prima volta che mi succede e si potrebbe forse spiegare, in modo utopico e assurdo, per qualcosa di magico che va oltre il senso razionale delle parole. Ma esiste in poesia un senso razionale delle parole? Ovviamente, l’affinità tra l’italiano e il romeno è un fattore da tenere in considerazione, ma senza dubbio c’è qualcosa di più. Ciò che soprattutto mi ha meravigliato è stato il fatto che al termine della lettura di quella poesia (in fin dei conti ne avevo letto solo una) e del dibattito al quale ho partecipato sono andate a ruba tutte le copie dei miei libri che erano in vendita, portate dalle tre case editrici, e la gente ne richiedeva altre ancora.

A maggio lei è stata ospite al Salone di Torino, ora ha affrontato questa nuova «fatica». Quali le sue impressioni?

Ho accettato fin dal principio l’invito a partecipare alla fiera dell’Editoria Indipendente di Capannori perché sono stata attratta dalla formula «editori indipendenti» e, ovviamente, anche perché fra questi c’era la casa editrice che ha pubblicato il mio ultimo libro in italiano, da lei tradotto. Ammiro e rispetto lo spirito d’indipendenza nella cultura, uno spirito che il più delle volte presuppone esporsi tanto a dei rischi quanto al pericolo di venire in qualche modo marginalizzati. Gli editori indipendenti sono degli accesi ammiratori della cultura, della poesia perfino, e in misura assai minore dei suoi mercificatori. Per quanto riguarda il pubblico, sono stata colpita non solo dal numero di coloro che riempivano la sala, ma anche dalla loro qualità. Era evidente che si trattava di un pubblico intellettuale, che si appassiona discutendo di idee, attento alle sfumature e pronto a lasciarsi andare alla vis polemica. Dal punto di vista emotivo sono stata realmente partecipe di un dialogo che è quanto di meglio può desiderare qualcuno come me. Al termine del programma delle due giornate di Capannori dovevo tenere una conferenza, che in realtà era una mia confessione sul modo in cui vedo io la poesia. Era un tema troppo serio per una domenica pomeriggio e l’emozione mi faceva temere che tutto sarebbe parso fuori luogo. Con mia sorpresa, non solo decine di persone mi hanno ascoltato con attenta partecipazione, ma ha fatto seguito un appassionato e vivace dibattito durato più di un’ora con persone che non conoscevo e che poco sapevano di me, ma che volevano penetrare nell’intima nozione della poesia.

Il suo libro di annotazioni di viaggio Il mondo sillaba per sillaba ha fatto scoprire al pubblico italiano una profonda e raffinata narratrice di paesaggi e di umanità, che è un altro modo di fare cultura. Ha continuato ad annotare le sue impressioni di viaggio in questo suo girovagare per il mondo nel corso degli ultimi decenni? Potremo in futuro avere il piacere di leggere altre simili raccolte?

I miei viaggi per il mondo sono di due tipi, totalmente distinti tra loro: quelli prima del 1989 e quelli venuti dopo. Il libro che lei ha tradotto contiene quasi esclusivamente le impressioni della prima categoria, che sono interessanti per come l’ala del destino li ha fatti librare in aria. Infatti, non potevo mai sapere se mi sarebbe stato concesso il visto né se ciò che vedevo avrei potuto rivederlo un giorno. Questo conferiva un’importanza e un’emozione che non ha alcun legame con quello che chiamiamo «turismo». Il mio primo libro di viaggio s’intitolava Il più bello dei mondi possibili perché tutto quello che vedevo era più bello della realtà poiché esso era aureolato dalla fortuna di poter essere visto. Il più bello dei mondi possibili era il mondo che mi era vietato e che scoprivo quasi per assurdo. D’altro canto, questa scoperta del mondo non fa altro che coniugare queste note di viaggio con la poesia. Ora, in condizioni di libertà, viaggio soprattutto per periodi più brevi quando devo fare letture pubbliche, tenere conferenze o partecipare a congressi. Il tempo per la meditazione non esiste più. Così come non esiste più in senso sentimentale il frutto proibito. Pur tuttavia mi piacerebbe ripropormi in un libro che meditasse sulle strade da me percorse in una libertà che contraddice se stessa.      

Per finire, c’è qualcosa che la scrittura non può esprimere fino in fondo? C'è un aforisma di Heine che dice: «Dove le parole finiscono, comincia la musica». È proprio così?

Diversi anni fa ho tenuto una conferenza alla Cattedra di Poesia del Centro Montale di Roma, una conferenza che aveva per titolo La poesia fra silenzio e peccato. Il peccato erano le parole. Parlavo della tendenza presente nella grande poesia moderna a rinunciare alle parole, a dire il meno possibile per suggerire il più possibile, e addirittura a non dire più nulla per suggerire tutto. In questo senso, nell’equazione di Heine, dopo la fine delle parole e prima dell’inizio della musica, s’interpone la poesia. La poesia non è fatta per esprimere ciò che è difficile da esprimere, ma ciò che è inesprimibile.



Intervista realizzata e tradotta dal romeno
da Mauro Barindi
(n. 10, ottobre 2012, anno II)