Borghi d’Italia e villaggi di Romania: insieme nel segno della bellezza

Dici Italia, dici bellezza. Quasi sempre, quasi ovunque: di sicuro, in tanti, tantissimi piccoli centri, spesso emarginati dai grandi flussi turistici e invece custodi di un grande patrimonio di storia, arte, cultura, ambiente, tradizioni. Per salvaguardarlo e promuoverlo, è nato nel 2001, su impulso della Consulta del Turismo dell’Associazione dei Comuni Italiani (ANCI), il Club «I Borghi più Belli d’Italia». Proprio lo scorso 15 aprile, questo Club – che oggi annovera oltre 200 piccoli centri – ha siglato, per mano del suo presidente Fiorello Primi, un accordo di collaborazione con l’omologa associazione romena «I villaggi più belli della Romania». Un’iniziativa promettente, suscettibile di importanti sviluppi.

Presidente Primi, l’accordo con i partner romeni è una buona notizia: a cosa la dobbiamo e che cosa possiamo aspettarci in concreto?

Alcuni comuni della Romania, a seguito di contatti avuti con l’associazione «Les Plus Beaux Villages de France», hanno deciso circa 3 anni fa di costituire una rete di villaggi certificati come  «Il bello di Romania». Nel frattempo, attraverso la Federazione Internazionale de «Les Plus Beaux Villages de la Terre» di cui fanno parte Francia, Italia, Belgio, Canada e Spagna sono iniziati i contatti con la nostra associazione. Il presidente ed alcuni sindaci romeni hanno partecipato negli ultimi due anni al nostro Festival Nazionale per conoscere direttamente la nostra attività, la nostra organizzazione ed i risultati ottenuti. Il protocollo siglato ha lo scopo di dare corpo al nostro rapporto di collaborazione per un reciproco sostegno e per sviluppare progetti di valorizzazione delle reti e scambio di buone pratiche.

Misuriamoci subito con questioni scottanti. La Romania possiede un formidabile patrimonio ambientale, che ha proprio nelle zone rurali alcune testimonianze tra le più significative, eppure i segni del «degrado da sviluppo» iniziano a diffondersi un po’ ovunque, complice anche la legittima – ma non sempre ben espressa – necessità di darsi migliori condizioni di vita. Quali pratiche ritiene assolutamente indispensabili, a livello sia istituzionale generale sia delle comunità locali, per riuscire a coniugare ammodernamento delle condizioni di vita e custodia del patrimonio?

Purtroppo è un processo «normale» per i Paesi che escono da una lunga fase di sottosviluppo e di mancanza di libertà e si trovano, improvvisamente, con risorse finanziarie e libertà di azione. La cementificazione dell’Italia negli anni ’60 e ’70, che ancora non si è arrestata in molte aree del nostro Paese, insegna. La prima questione da affrontare è quella culturale: bisogna che gli amministratori pubblici capiscano che le vere risorse per garantire uno sviluppo duraturo sono quelle proprie del territorio e che vanno pienamente valorizzate e non certo depauperate. L’ambiente, la cultura, il paesaggio, le tradizioni, l’architettura tradizionale ecc. devono diventare i beni comuni sui quali costruire un modello di sviluppo sostenibile, condiviso e durevole: investire sul recupero e l’uso del patrimonio storico-artistico e architettonico coerente con la concezione di lavoro stabile e, quindi, di produttività del patrimonio stesso. Occorre investire sul sistema della ospitalità e dell’accoglienza, creando le migliori condizioni possibili per attirare  ospiti (turisti) che possono anche favorire l’arrivo di investitori che devono essere messi, anche loro, nelle condizioni di investire ma secondo le regole di sostenibilità stabilite dalla Pubblica Amministrazione. Il Comune è quindi il creatore e il custode della bellezza del territorio e responsabile della qualità della vita dei suoi abitanti che, per vivere bene, hanno bisogno di servizi moderni, efficienti e, soprattutto, diffusi e accessibili a tutti. Anche questo fa parte dello sviluppo sostenibile.

Nel generale apprezzamento, la Romania non gode ancora di una immagine particolarmente felice in Italia, eppure il flusso turistico dal nostro Paese verso la quella terra cresce in modo costante ogni anno. Data la sua esperienza, un circuito turistico incentrato sui più bei villaggi romeni che tipo di visitatore, e dunque di cliente, suppone e richiede? Cosa dovrebbero fare le autorità romene e i tour operator – romeni e italiani – per promuovere efficacemente questa destinazione nel mercato turistico di casa nostra?

Anzitutto gli amministratori dei piccoli centri dovrebbero pensare al turista come a un residente temporaneo di quel luogo e, quindi, pensare prima di tutto al benessere dei residenti. Luoghi dove la qualità della vita sia di buon livello. La gestione dell’igiene urbana, del servizio idrico, della viabilità e della accessibilità, i servizi scolastici e socio-assistenziali devono essere condotti secondo il concetto che se un residente vive bene diventa il primo promotore turistico della destinazione. Occorre che nei centri storici gli edifici non vengano deturpati da superfetazioni e la nuova edificazione sia limitata alle effettive esigenze, senza invadere scorci e paesaggio. Il patrimonio storico e ambientale deve essere organizzato per accogliere visitatori e turisti in maniera adeguata e i servizi di ristorazione e di alloggio devono essere adeguati al turista moderno ed alle sue esigenze di privacy e di moderna ospitalità. Prima di tutto occorre fare promozione per far conoscere la rete a livello nazionale e iniziare un percorso di promozione internazionale, a partire dai Paesi più vicini. La rete è un prodotto turistico nazionale e deve rappresentare, al meglio, l’intero Paese. Per questo, anche le autorità nazionali della Romania dovrebbero sostenere questo progetto.

Sul piano meramente quantitativo, qual è il numero minimo e massimo di abitanti che un borgo italiano deve possedere per poter candidarsi a entrare nel Club che lei presiede? E quali sono in generale i requisiti che ne consentono l’ammissione?

Non c’è numero minimo, mentre il massimo nel comune è 15.000 abitanti e 2.000 all’interno del borgo. I parametri sono circa 70 e riguardano per un terzo l’aspetto esteriore del borgo e il suo inserimento nell’ambiente circostante, un terzo i servizi per i residenti, l’accessibilità (viabilità, parcheggi, barriere architettoniche ecc.), infine un terzo i servizi di accoglienza e di ospitalità.

Quali cambiamenti, risultati ed evoluzioni ha prodotto in Italia il suo Club, in ordine alla promozione e valorizzazione turistica dei piccoli centri?

In primo luogo si può dire che si tratta di uno dei pochi, se non l’unico, prodotto turistico nazionale organizzato basato sull’elemento bellezza, che è riconosciuto all’Italia, il Bel Paese, in tutto il mondo. All’interno della rete, i sindaci e gli abitanti si sono «abituati» al concetto di bellezza e si fanno notevoli sforzi per evitare deturpazioni e per investire nel miglioramento dell’esistente. C’è stato un incremento notevole di flusso turistico che ha portato un po’ di ricchezza e, spesso, limitato il fenomeno dello spopolamento, incrementando l’arrivo di nuove famiglie ed un aumento del valore degli immobili.

Contestualmente alla firma dell’accordo, nello scorso aprile una nutrita delegazione di sindaci della Romania ha visitato alcuni dei borghi italiani membri del Club, tra cui la sua Castiglione del Lago. Cosa l’ha colpita di più nell’atteggiamento di questi amministratori?

Durante la permanenza in Italia, la delegazione di circa 25 sindaci ha potuto visitare e avere uno scambio di opinioni con gli amministratori di 4 comuni del Centro Italia (Collalto Sabino, Tagliacozzo , Cetona e Castiglione del Lago). Tutti hanno dimostrato grande interesse per come questi comuni sono amministrati e sicuramente sono rimasti ammirati del livello dei servizi e della capacità di mantenimento del patrimonio architettonico e storico-artistico oltre che della attrattività turistica. Ritengo che avremo ancora occasione di approfondire i nostri rapporti, poiché ho riscontrato una grande voglia di conoscere e di sviluppare buone pratiche finalizzate a promuovere turisticamente le loro realtà.

Lei è mai stato in Romania?

Ancora non ne ho avuto l’occasione. Di certo andrò il prossimo anno alla assemblea nazionale di quella associazione. L’itinerario sarà quello di piccoli centri, dove mi aspetto di trovare, almeno vedendo le immagini della loro pubblicazione, un ambiente fortemente rurale dove sono ancora vive le antiche tradizioni e dove c’è anche sicuramente molto da fare per migliorare la qualità della vita dei residenti e far diventare quelle località turisticamente interessanti.

Quali sono i principali benefici reciproci che, secondo la sua esperienza, producono concretamente tali scambi tra associazioni omologhe di Paesi diversi?

Il primo beneficio, soprattutto quando si tratta di paesi di cultura «sconosciuta», è quello della possibilità di eliminare stereotipi e recuperare il vero valore della cultura dell’altro. Poi c’è la possibilità anche di avviare rapporti di collaborazione per sviluppare progetti reciproci di promozione e di commercializzazione del prodotto turistico, inclusa l’enogastronomia.



   
Intervista realizzata da Giovanni Ruggeri
(n. 5, maggio 2013, anno III)