Architettura a Timişoara /1. Giuseppe Grieco: «Una città di contrasti che cerca di imparare»

Un gioco di contrasti tra il cromatismo e il decorativismo delle facciate degli edifici storici, e l’assenza di colore e di cura delle costruzioni più recenti. Ecco il primo colpo d’occhio sulla città di Timişoara dell’architetto Giuseppe Grieco, assistente del professor Tancredi Carunchio, titolare della cattedra di «Laboratorio di Restauro dell’Architettura» presso la Facoltà di Architettura dell’Università «Sapienza» di Roma. Nel 2009, l’architetto Grieco prende parte col prof. Carunchio all’Urban International and Architectural Workshop presso la Facoltà di Architettura dell’ Università Politecnica di Timişoara; nel 2011, partecipa alla mostra dedicata ai lavori di Restauro dell’Architettura – Histories of Restoration, presso i Bastioni di Timişoara. Ne nasce un’autentica empatia professionale, un incontro dove competenza e passione ben si riflettono nello sguardo che l’architetto Grieco porta sulla configurazione urbanistica e architettonica della Timişoara dei nostri giorni, inclusi altri aspetti di grande attualità: lo scarto tra area urbana e rurale ancor oggi riscontrabile in Romania; il «dialogo» con l’esistente e la storia del luogo nel caso dell’architettura contemporanea romena e italiana; il crescente interesse degli architetti italiani per l’architettura romena. Un'intervista originale e di ampio respiro.

Architetto Grieco, lei ha avuto modo di visitare ripetutamente ed accuratamente Timişoara. Quali sono gli aspetti più rilevanti che ha riscontrato nell’architettura di questa città?

La prima visita a Timişoara nel 2009 mi ha permesso di riscontrare nella città due aspetti molto contrastanti: il primo caratterizzato dalla presenza di un accentuato cromatismo e decorativismo delle facciate degli edifici storici (o comunque databili fino ai primi del ‘900); il secondo dato dall’evidente assenza di colore, di cura delle facciate lasciate ad intonaco grigio, non tinteggiato, delle costruzioni più recenti, maggiormente presenti nella zona esterna all’area storica. La differenza delle due aree, in verità derivante anche dalle diverse epoche costruttive, sembra ancor più accentuata dalla situazione di degrado e dalla mancanza di interventi di restauro o anche solo di manutenzione degli edifici che al contempo li accomuna in maniera fortemente evidente.
L’area storica, a differenza delle costruzioni più moderne, conserva il fascino del tempo trascorso, pur se in una situazione spesso di abbandono, tale da attirare l’attenzione del visitatore, catturato dalle forme, dai colori, dall’ambiente costruito da edifici molto spesso affacciati su ampie piazze. Inoltre, il tutto è caratterizzato anche da un particolare «disegno dell’architettura» che lascia intravedere i caratteri e la cultura tipici dell’architettura locale.
La città di Timişoara e in particolare la sua architettura lascia spazio a molta «discontinuità» all’immagine dell’ambiente costruito che certo non deriva solo da una diversità delle epoche storiche delle costruzioni; piuttosto deriva dall’assenza di un organico intervento di riqualificazione urbana e di valorizzazione delle preesistenze.
Interessante, inoltre, è il rapporto della città con il fiume Bega che la attraversa a sud e che, con la realizzazione di strutture temporanee e percorsi praticabili sui suoi argini, è stato integrato nella città pur conservando i suoi aspetti naturalistici all’interno della città antropizzata. La possibilità di percorrere il fiume lungo i suoi argini consente di vivere momenti di distensione dall’ambiente urbano in cui è collocato senza perdere il contatto con la città (figg. 1 e 2).


1. Il fiume Bega

2. Altro scorcio sul Bega


Gran parte degli interventi archettonici hanno luogo non certo nel deserto, ma in un contesto caratterizzato dalla presenza di altri edifici e strutture. Come le appare il «dialogo» con l’esistente e la storia del luogo, nel caso dell’architettura contemporanea tanto romena quanto italiana? Quali somiglianze e quali differenze si possono notare, al riguardo, in questi due paesi?

Inizierei con il mettere in evidenza che l’architettura contemporanea a cui farei riferimento è quella realizzata in tempi strettamente più vicini a noi, negli ultimi decenni, ed in particolare a quelle «nuove» architetture inserite nei contesti storici o, più in generale, sulla preesistenza. A tal proposito vorrei dire che, all’immagine del contrasto tra l’antico, su cui prevalgono i segni del tempo e dell’incuria, e le architetture contemporanee, mi sembra importante evidenziare una contraddizione data dalla presenza delle «nuove» architetture contemporanee, rappresentate da un costruito privo di un legame, di una continuità con la storia del luogo.
Purtroppo, questa sembra essere una posizione rilevabile tanto a Timişoara quanto in altre città d’Europa dove, molto spesso, la nuova architettura sembra basarsi su aspetti molto tecnologici e strutturali che non prevalentemente progettuali. Sembra esser viva la tendenza di fare delle nuove tecniche costruttive il fine dell’architettura e non il mezzo con cui realizzare l’architettura del nuovo millennio, con il rischio di realizzare prototipi di organismi architettonici ripetuti e collocabili ovunque e che, dal luogo in cui vengono realizzati non sembrano recepire e trasmettere nulla. Probabilmente ciò può essere considerato il risultato della rapida diffusione degli eventi di architettura che si realizzano in altri paesi: vuoi attraverso le riviste di architettura (oggi alla portata di tutti), vuoi con il mezzo di comunicazione ormai più diffuso (internet), che spesso rendono accattivante un’immagine architettonica realizzata altrove tanto da volerla riprodurre quasi uguale ovunque. Un’architettura priva di una contestualizzazione specifica nella preesistenza ma, ancor più evidente, priva di un linguaggio architettonico espressione dei caratteri e della cultura del luogo in cui sono collocate pur se attuali (figg. 3 e 4).
In altri casi invece, è stato interessante riscontrare, proprio a Timişoara, la ricerca di un equilibrato rapporto tra la preesistenza, il nuovo ed il recupero dell’edilizia storica, ove la nuova progettazione si inserisce nell’area urbana con il proprio linguaggio, con una nuova funzione nello spazio, con l’impiego di materiali moderni, senza nascondere, senza negare il passato con il quale non si è necessariamente relazionato in forte contrasto (figg. 5 e 6).
In Italia, la mancanza di continuità con la preesistenza sembra essere in parte meno evidente vista la forte presenza delle amministrazioni pubbliche che controllano i nuovi interventi sull’area storica (in particolare le Soprintendenze) e vista anche la forse limitata superficie ancora disponibile per la realizzazione di nuove architetture in area storica. Se pensiamo però (riferendoci a Roma), al Museo dell’architetto Zaha Hadid, al Museo dell’Ara Pacis di Richard Meier, al nuovo Ponte della Musica sul Tevere, viene da pensare che la continuità storica dell’architettura è affidata ad interventi puntuali, disomogenei tra loro ma soprattutto in contrasto con la realtà urbana in cui sorgono generando dei «momenti urbani» di novità rispetto al passato che lo circonda.
Lo spirito di novità delle architetture credo sia indispensabile per affermare l’identità del nostro tempo come in passato ogni nuovo intervento affermava la propria identità. Sottolineerei però che forse potrebbe essere auspicabile anche pensare ad un’architettura contemporanea che possa avere un «maggiore dialogo» con l’esistente senza negare l’identità dei due diversi momenti storici, ricercando, invece una maggiore organicità urbana dell’area storica.


3. L'Hotel Excelsior

4. Il contesto preesistente dell'hotel

 

5. I Bastioni di Timişoara

6. I Bastioni e gli interventi in contesto


Quale interesse si registra presso gli architetti italiani nei confronti dell’architettura romena?

La nostra visita in Romania è frutto di accordi internazionali tra l’Italia e la Romania, in particolar modo attraverso le Facoltà di Architettura di Roma e di Timişoara. Tali accordi sono certamente il seguito di precedenti collaborazioni che, già dal secondo dopoguerra, si erano avviati tra i due paesi quando numerosi ingegneri italiani furono impegnati in Romania nella realizzazione di opere civili e industriali e quando gli architetti italiani figurarono fra gli autori di diversi edifici residenziali. L’interesse degli architetti italiani verso l’architettura esistente in Romania credo nasca innanzitutto dal desiderio di conoscere una nuova cultura ed una nuova realtà fisica di un territorio diverso dall’Italia, a cui apportare il proprio contributo storico-culturale e tecnico-costruttivo ma anche da cui trarre nuove esperienze e nuove conoscenze.
Gli scambi tra le due diverse culture in campo architettonico sono anche consolidati da accordi regionali e nazionali tra i due paesi: il riferimento è agli accordi stipulati nel 2009 tra l’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia e la Filiale di Bucarest dell’Ordine degli Architetti di Romania. Tali accordi prevedono l’incentivazione alla cooperazione tra i due paesi nell’ambito delle esperienze professionali al fine di accrescere «le possibilità di progetti congiunti tra i due paesi», usufruendo persino di strumenti finanziari elargiti dalla Comunità Europea. Tali rapporti sono anche incentivati dall’attività svolta dalle università italiane attraverso i Programmi Internazionali (ad esempio il Programma Erasmus) che stimolano gli studenti delle diverse facoltà e delle diverse città italiane ad instaurare e accrescere rapporti di collaborazione con le università della Romania, creando un sistema di contatti e di scambi che, pur avendo a volte durata di pochi mesi, non escludono certo future collaborazioni più durature tra i due paesi.
L’insieme di queste attività consente di comprendere che da parte dell’Italia e degli architetti italiani in particolare vi è un crescente interesse di alimentare i rapporti con la Romania, cercando di sviluppare collaborazioni professionali, scambi culturali e umani tra le due realtà.


Venendo e, come nel suo caso, tornando in Romania, un architetto italiano cosa osserva con particolare interesse?

Durante l’ultima visita del novembre 2011, ho avuto il piacere di riscontrare un diverso numero di cantieri aperti sugli edifici storici, in particolare nella zona limitrofa a Piazza della Libertà, sul Bulevardul Revoluţiei din 1989 ed altri. Questo aspetto, certamente dipendente anche dalla condizione economica e sociale di un paese, rispetto alla mia prima visita nel 2009, mi permette di considerare che è presente, o sta nascendo, anche una particolare sensibilizzazione nei confronti del «recupero dell’architettura del passato» piuttosto che una demolizione e ricostruzione. Certamente l’attività di recupero non è soltanto un’operazione tecnica, conservativa, ma anche culturale, filosofica, tanto da richiedere una maggiore e continua «sensibilizzazione» dei tecnici, delle amministrazioni e dei soggetti che operano in questo settore dell’architettura.
L’intervento tecnico a volte permette il recupero della preesistenza solo da un punto di vista funzionale e strutturale; infatti, osservando il progetto, presentato anche durante la mostra del novembre scorso, dell’Hotel Savoy di Timişoara, ho rilevato come, attraverso espedienti tecnico-strutturali, due edifici, inizialmente forse adibiti ad uso residenziale, sono stati uniti da una gabbia in acciaio, alluminio e vetro, cercando di dare una «unità funzionale» ai due corpi di fabbrica, in origine separati, realizzati senza alcuna relazione e senza alcuna connessione. Il progetto attuale ha ridato un collegamento alle due costruzioni ma senza ricercare una «organicità» ed una unità nel linguaggio, nell’immagine, nella forma architettonica che, evidentemente, è denunciata da due elementi diversi uniti da un terzo altrettanto diversificato dagli altri, senza raggiungere un «unico organismo architettonico». Personalmente, credo che, con questo intervento, si sia persa l’occasione di riprogettare i due corpi di fabbrica, attraverso un nuovo disegno dell’architettura avente come base la preesistenza sulla quale disegnare la nuova architettura (figg. 7 e 8).


7. L'Hotel Savoy di Timişoara

8. Strutture di raccordo dell'Hotel Savoy


A seguito di una visita fuori città, in aperta campagna nella località di Bobda, è stato interessante anche scoprire come la vastità del territorio esterno alle aree urbane ha lasciato il paesaggio rurale ancora in una situazione di abbandono, non da un punto di vista del costruire ma anche dal punto di vista della tutela del paesaggio incontaminato e forse anche da un punto di vista sociale. La carenza di mezzi di trasporto per legare la campagna con le aree urbane, forse anche l’assenza di infrastrutture importanti per lo sviluppo equo di una società, lascia intravvedere quanto ancora sia necessario lavorare affinché le opportunità offerte dalla città possano distribuirsi anche sui territori rurali. Tale considerazione non vuole essere un incentivo alla contaminazione del paesaggio naturale; piuttosto vuol essere uno stimolo alla più facile fruizione (senza distruggere) delle località del particolare paesaggio della Romania per rendere anche più stimolante la conoscenza delle ampie distese del territorio naturale ove, molto spesso, anche emergenze architettoniche di rilievo possono essere motivo di interesse turistico e culturale (figg. 9 e 10).  


9. Struttura in contesto rurale

10. Chiesa Cattolica di Bobda, Cenei




Intervista realizzata da Afrodita Carmen Cionchin
(n. 4, aprile 2012, anno II)