Ioan-Aurel Pop: «La comunità romena in Italia è oggi solo una nozione. Percepita negativamente»

«La comunità romena in Italia è in questo momento solamente una nozione. Esiste solo al livello della coscienza collettiva italiana ed è percepita, in generale, negativamente. I romeni d’Italia di oggi sono molto numerosi, molto eterogenei e molto dispersi, senza che si abbia la coscienza di una comunità». In questi termini si presenta la percezione dei romeni in Italia secondo lo storico Ioan-Aurel Pop, già direttore dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistică di Venezia dal 2003 al 2007. L’intervista con il professor Pop dell’Università Babeş-Bolyai di Cluj-Napoca analizza accuratamente anchela ricezione della cultura e della storiografia romena in Italia, la risonanza delle pubblicazioni periodiche specialistiche dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia – l’“Annuario” e i “Quaderni” – negli ambienti culturali e scientifici italiani. Ma prende le mosse proprio da un'analisi dell'attuale profilo ed evoluzione socio-culturale della comunità romena nella Penisola.
 

Professor Pop, quando si parla di romeni in Italia i pareri sono vari, ma anche vaghi. Qual è l'attuale profilo della comunità romena presente nella Penisola e quali sono le sue possibilità di affermazione nella società italiana?

La comunità romena in Italia è in questo momento solamente una nozione. Esiste solo al livello della coscienza collettiva italiana ed è percepita, in generale, negativamente. I romeni d’Italia di oggi sono molto numerosi, molto eterogenei e molto dispersi, senza che si abbia la coscienza di una comunità. Ci sono, naturalmente, anche intellettuali di grande valore, arrivati nella Penisola molto prima del 1989, da rifugiati politici, produttori di valori spirituali. La maggior parte di essi sono ora soltanto un ricordo! Penso a Dinu Adameşteanu, Emil Ghilezan, Aloisiu Tăutu, Elena Cernei e tanti altri. Ci sono poi quelli venuti massicciamente dopo il 1989, in ondate successive, a trovare un lavoro, senza grandi interessi e necessità culturali. Tuttavia, alcuni tra questi hanno costituito delle comunità, hanno creato delle parrocchie ortodosse, greco-cattoliche, neoprotestanti, si incontrano alle cerimonie religiose, alle feste. Un numero ancor minore di costoro ha dato vita ad associazioni culturali, alcune di prestigio, a Roma, Milano, Torino, Udine, Verona, Trieste. Organizzano manifestazioni romene, festival, concerti, mostre, conferenze, anche con l’appoggio di alcuni volenterosi intellettuali italiani. Tra questi devo ricordare Cesare Alzati, Lorenzo Renzi, Bruno Mazzoni, Francesco Guida, Lauro Grassi, Antonello Biagini, Ervino Curtis. Purtroppo, non posso che nominare con un pio ricordo la professoressa Teresa Ferro, che ha insegnato lingua e letteratura romena all’Università di Udine ed è anche stata presidente dell’Associazione culturale italo-romena «Alba-Iulia Nord-Est», grande animatrice della vita culturale romena della Penisola.          
Infine, ci sono quei romeni che vengono in Italia per vivere come parassiti, per rubare o per commettere altri fatti riprovevoli e antisociali. Questi non hanno niente in comune con la nozione di cultura, al contrario, negano e contestano la cultura, distruggono tutto ciò che costruiscono i loro compatrioti, gli istituti romeni, le associazioni culturali menzionate, le parrocchie, le personalità. A causa loro i romeni e la Romania vengono percepiti dalla maggior parte dell’opinione pubblica italiana, indistintamente, come delinquenti, incapaci di produrre valori culturali, il che è triste e scoraggiante. Personalmente, continuo però a credere che questa sia una fase temporanea, attraverso la quale sono passati anche gli italiani quando erano emigranti e che poi seguirà una tappa di stabilità, in cui i romeni saranno conosciuti in Italia per la loro latinità, per le «doine», per Brancusi ed Enescu, per i loro studiosi, per Blaga e per Nichita Stănescu….

Come le sembra che la stampa italiana riflette la realtà socio-culturale dei romeni di qui?

Anche in Italia la stampa è desiderosa del sensazionale, dell’inedito e pure dello scandalo, come dappertutto. Ma ha anche altri difetti, tipici dei popoli meridionali, soprattutto di quelli di origine latina. Gli italiani ci collocano geograficamente, come si sa, nei Balcani, e questo fatto non sarebbe troppo grave se rimanesse un semplice errore di forma, innocente, frutto dell’ignoranza. Ma i Balcani hanno anche qui delle connotazioni peggiorative, visto che l’epiteto balcanico significa ‘incerto’, ‘instabile’, ‘conflittuale’, ‘bizantino-orientale’, ‘di poca serietà’, ‘sottosviluppato’ ecc. Eppure i romeni, nonostante abbiano molte affinità con il mondo balcanico, hanno, come popolo di frontiera, anche una forte componente centro-europea e occidentale, sempre trascurata o lasciata passare in silenzio.

Il suo prolungato e ben qualificato legame con la realtà italiana Le offre un privilegiato punto di osservazione. Come Le pare che venga percepita la cultura romena in Italia?

Spesso con un certo interesse, persino esotico in alcuni. La gente è curiosa di sapere di più anche dei romeni, dal significato del loro nome fino alle loro creazioni rappresentative. Purtroppo, negli ultimi anni sono apparse almeno due drastiche limitazioni, tali da impedire seriamente questa percezione. La prima limitazione proviene dalla “fama” di persone in conflitto con la legge, che parecchi dei nostri compatrioti si sono guadagnati e che viene estesa a tutti i romeni. La seconda implica qualcosa di più profondo e consiste nella promozione di alcuni programmi inadeguati, di interesse strettamente elitario, di ristrettissimo respiro. Da una parte, si fa appello ad alcuni artisti di grandissimo prestigio, invitati a presentarsi davanti a un pubblico impreparato, con un’istruzione mediocre, e dall’altra si fanno “esperimenti” con soluzioni artistiche insolite, all’avanguardia, “post-moderne”, trattate dalla massa italiana con ironia e addirittura disprezzo. In altre parole, esiste una notevole desincronizzazione tra l’emittente di segnali culturali e il ricevente. Non dobbiamo dimenticare che la grande massa del pubblico, potenziale ricettore di cultura, ha un livello di preparazione relativamente ridotto e che non conosce le cose elementari sulla Romania, così come non è in grado di sentire la differenza tra una lingua slava e una romanza. In altre parole, credo che porti maggior vantaggio una semplice conferenza sulla Romania, eventualmente presentata in power point, di fronte a degli studenti di liceo o degli “studenti di terza età”, senza troppe spese, piuttosto che un sofisticato concerto con il migliore gruppo jazz della Romania di fronte a un pubblico che si aspetta qualcosa di tradizionalmente romeno, qualcosa di rappresentativo per la nostra specificità. Diverso è però – per rimanere nell’esempio – portare un nostro gruppo jazz a un festival di jazz in Italia!

Lei è storico di professione: c’è interesse tra gli italiani per la storiografia romena?

Con un certo orgoglio della professione, direi che la storia dei romeni viene percepita con maggior intensità e che gli scritti storici romeni sono sempre più conosciuti. Questo perché il pubblico è molto più ristretto e in generale formato da specialisti. I programmi «Tempus», «Socrates» e altri ancora hanno portato in Italia centinaia di relatori romeni che hanno parlato in decine di università, club culturali, di fronte ad associazioni, fondazioni ecc. Vale pure il contrario: gli italiani venuti in Romania si sono fortemente interessati anche del passato e dei nostri testi storici. Inoltre, negli ultimi anni sono state tradotte in italiano importanti opere di storia romena, generalmente ben accolte. In seguito a queste interferenze, sono uscite in Italia anche opere di storia sulla Romania, scritte da autori italiani di prestigio come Cesare Alzati, Francesco Guida o Antonello Biagini, per accennare soltanto a tre professori universitari.
In generale gli storici italiani fanno ricerche su tutti i grandi temi del nostro passato, ma soprattutto su aspetti contemporanei: il periodo interbellico, i movimenti di estrema destra, l’antisemitismo, le minoranze, l’ascesa del comunismo, il periodo di Ceauşescu, le relazioni romeno-ungheresi. Certamente, esiste un interesse anche per il medioevo e per l’antichità. Per esempio, di recente, un autore italiano di Ferrara e uno romeno di Cluj hanno pubblicato un libro molto ben scritto sulla Dacia Romana. Un giovane italiano ha realizzato nel 2006, all’Università di Pisa, un’ottima tesi di dottorato sulla Transilvania medievale. Si lavora molto in co-tutela, in collaborazioni basate su alcuni accordi bilaterali o multilaterali.

L’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia pubblica l’Annuario e i Quaderni: qual è l’eco di queste pubblicazioni negli ambienti culturali e scientifici italiani?

Le pubblicazioni periodiche dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica (IRCCU) di Venezia – l’Annuario e i Quaderni, entrambe di alta erudizione – sono già entrate, si può dire, nella coscienza pubblica specialistica dell’Italia. Si deve subito precisare che l’offerta in questo campo è molto vasta in Italia e la concorrenza è forte. L’erudizione individuale si è affermata nella Penisola sin dal XVI secolo, quindi nel 1600 si è passati all’erudizione collettiva, poi gli sforzi a questo riguardo sono sempre andati in senso ascendente fino ad oggi. A Roma, Venezia, Firenze o Milano ci sono accademie e istituti stranieri di lunga data e tradizione – alcuni creati nel secolo XIX – i cui periodici sono entrati da tempo nel circuito scientifico. A Venezia, per esempio, l’Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini pubblica un Annuario intitolato Thesaurismata, nel quale hanno scritto eruditi di grande valore. I nostri periodici hanno cominciato ad essere pubblicati solamente a partire dal 1999, ma hanno già acquisito una certa fama. I materiali, con un contenuto storico, archeologico, letterario, filologico e di storia dell’arte, escono in italiano e in altre lingue di ampia circolazione internazionale, e le riviste sono inviate alle più importanti biblioteche della Penisola e d’Europa. Lo scopo principale di questi periodici è di rendere note le ricerche dei borsisti dello Stato romeno in Italia – soprattutto dei borsisti «Nicolae Iorga», ospitati dall’Istituto di Venezia – ma anche degli altri specialisti interessati a studi romeni, del Centro e Sud-Est europeo, delle relazioni romeno-italiane di lunga data ecc. Nei Quaderni della Casa Romena di Venezia sono pubblicati articoli e studi presentati nell’ambito dei convegni e congressi scientifici organizzati dall’IRCCU, tra i quali il più importante è quello intitolato Venezia e il Levante tra i secoli XIII-XVIII, entrato già nella tradizione. Il livello di queste pubblicazioni deve essere mantenuto sempre molto elevato e la loro popolarizzazione va continuamente fatta con tenacia e insistenza. Da alcuni anni, l’Accademia Romena di Bucarest, tramite la sua prestigiosa casa editrice, ha preso la responsabilità dell’edizione dell’Annuario veneziano, il che è assolutamente una garanzia di qualità e serietà.

Intervista realizzata e tradotta dal romeno
da Afrodita Carmen Cionchin
(n. 4, aprile 2012, anno II)