«Quel profumo di caffè e Mitteleuropa». Riccardo Illy, storia di una famiglia e di un'azienda

Ci sono storie e uomini che sembrano custodire nel loro patrimonio genetico una costitutiva vocazione all'interculturalità. Genesi, sviluppo, contesti, prospettive: tutto nelle loro vicende tende a convergere, con intrinseca naturalezza, verso apertura di orizzonti e fusione di prospettive. È il caso di quella storia di famiglia, diventata poi anche brand di rinomanza internazionale, sintetizzata dal nome, anzi dal cognome Illy: un marchio di indiscusso pregio nel mondo del caffè, che molto ha da raccontare anche sul versante della storia. Andiamo a scoprirlo con Riccardo Illy, figura di primo piano nell’attuale conduzione dell’azienda di famiglia e noto anche per i suoi ruoli pubblici, prima come Sindaco di Trieste, poi come deputato, quindi come Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia. Nato da padre ungherese a Timişoara, all’epoca territorio dell’Impero Austroungarico, il nonno di Riccardo Illy, Francesco, diede il via ad un’impresa di famiglia dove si parlava ungherese, tedesco, italiano, felice plurilinguismo mitteleuropeo che avrebbe trovato a Trieste la più adeguata città di elezione e insediamento. Partì dunque proprio da Timişoara la storia multiculturale di una famiglia che oggi ha molto da raccontare, non solo sul piano del percorso e dell'affermazione aziendale, ma anche dell'attenzione alla cultura, nell'interesse comune: «Ogni impresa – sottolinea infatti Riccardo Illy, raccontando quel che si fa nella sua azienda – farebbe bene a impegnarsi a sostegno di almeno un settore dell’arte».

Il marchio Illy è uno dei più noti a livello internazionale. Meno note al grande pubblico sono invece le origini familiari da cui, nel 1933, prese vita la Illycaffè: Francesco Illy, suo nonno e fondatore dell’azienda, è infatti di origine ungherese, arrivato poi a Trieste e naturalizzato italiano. Come giunse a fondare l'azienda?

Mio nonno Francesco nacque nel 1892 a Timişoara (allora ungherese) dove visse e completò gli studi presso un istituto tecnico; si trasferì poi a Vienna dove lavorò per alcuni anni come contabile. La prima Guerra Mondiale segnò la sua vita non solo perché vi combatté con l’uniforme dell’esercito austro-ungarico ma anche perché a guerra finita sia la sua città natale sia quella di elezione, Trieste, avevano cambiato Stato di appartenenza. Prima della guerra entrambe erano parte dell’Impero asburgico; Timişoara divenne romena e Trieste italiana, divise da due confini. Nella seconda metà degli anni ’20 Francesco si stabilì a Trieste, si sposò con Vittoria dalla quale ebbe due figli, Ernesto e Hedda, e, dopo una prima esperienza imprenditoriale con la torrefazione Emax, fondò nel 1933 la Illycaffè con un socio paritetico, anch’egli torrefattore. Si trattava di Roberto Hausbrandt la cui omonima torrefazione era stata fondata, il caso vuole, nello stesso anno di nascita di Francesco, il 1892.

Quello del nonno è stato un vero destino mitteleuropeo. Quale memoria, quale considerazione effettiva ed affettiva ha sentito circolare nella sua famiglia a proposito di queste origini?

Il nonno Francesco morì nel 1956, quando io avevo soltanto un anno. La nonna Vittoria, che in realtà noi chiamavamo Doris, nata a Johannesburg da genitori irlandese e triestina morì alcuni anni dopo; ho un tenero ricordo di lei che suona il pianoforte, dei pranzi a casa sua a base di goulash e della lingua tedesca che abitualmente vi si parlava. Pur essendo il nonno ungherese mio padre Ernesto non imparò mai quella lingua ma parlò anzitutto il tedesco, per imparare solo più avanti l’italiano. Soltanto noi rappresentanti della terza generazione, con i fratelli Francesco e Andrea e la sorella Anna, abbiamo imparato prima l’italiano ma, subito dopo, il tedesco. Entrambi i genitori di nostra madre Anna, nata a Trieste, erano nati in Istria quando questa era ancora italiana. Per noi era quindi normale sentir parlare e parlare lingue diverse, la nostra percezione dei confini era molto labile, qualcosa di artificiale e di mobile. Ci sentivamo triestini, italiani, mitteleuropei e, soprattutto, cittadini del mondo. Anche perché l’esempio che ci veniva da nostro padre, che viaggiava molto in Europa e negli altri Continenti, era quello di un imprenditore che guardava al mondo come mercato di acquisto delle materie prime e di sbocco per i prodotti finiti.

Suo padre Ernesto le avrà certamente raccontato di suo nonno Francesco. Quali aspetti la colpiscono di più del percorso di vita di quest’uomo, sempre in movimento tra Timişoara, Vienna e Trieste?

In realtà mio padre affermava sempre che il passato è passato, non conta più… e pensava, progettava e parlava soltanto del futuro. Ci ha raccontato pochissimo di suo padre, della sua famiglia e delle sue avventure; solo grazie alla zia Hedda ho potuto recuperare molti documenti e ricostruirne più compiutamente la storia. Ricordo però che il papà mi raccontava che il nonno era un sensitivo; durante la Grande Guerra uscì indenne dalla terribile battaglia di Verdun, alla quale partecipò quale libero cittadino in quanto era stato congedato dall’esercito poco prima che scoppiasse. Fu inoltre l’unico superstite dell'inaspettato bombardamento di una baracca nascosta tra le montagne, dalla quale si era allontanato spinto dall’istinto. Amava inoltre l’arte e in particolare la musica e la pittura, nella quale egli stesso si cimentò, oltreché la buona tavola. Si dedicò anche all’agricoltura; infatti avviò un’azienda agricola a Brazzania, in Istria, dove piantò alberi da frutto con il progetto di produrre confetture. La seconda Guerra Mondiale ne interruppe la realizzazione e alla fine della guerra l’Istria divenne Iugoslavia e l’azienda venne nazionalizzata. Pensando al nonno Francesco mi colpisce sempre il suo coraggio imprenditoriale e il suo eclettismo; tecnico geniale, contabile, artista.

Suo padre Ernesto ha continuato l’opera del nonno. Quali sono stati i contributi più importanti all’evoluzione dell’azienda e quale invece l’apporto suo, terza generazione, allo sviluppo della Illycaffè?

Il nonno Francesco avviò l’azienda (che per alcuni anni produsse anche cioccolato), stabilì la strategia della qualità nel caffè espresso e dei grandi orizzonti di mercato (la Illycaffè svizzera fu fondata con altri soci nel 1939), inventò le tecnologie necessarie a realizzare il suo progetto, come la pressurizzazione per conservare a lungo il caffè e la moderna macchina espresso. Il padre Ernesto ha completato il quadro aggiungendo, da chimico, l’approccio scientifico al servizio della qualità e rilanciando lo spirito pionieristico della società; nuovi mercati, prima in Europa e poi nel Nord America, nuovi prodotti, come il tè che appariva nel listino fra gli anni ’60 e ’80, nuove tecnologie, come il sistema di preparazione dell’espresso con le cialde dell’inizio degli anni ’70. Riuscì inoltre a ottenere il controllo della società nel 1965, costruì il nuovo stabilimento nella zona industriale di Trieste e dotò la società di una moderna struttura organizzativa. Con i fratelli Francesco e Andrea e la sorella Anna la società è ulteriormente cresciuta e adesso è praticamente globale (i prodotti sono distribuiti in oltre 140 Paesi), ne è stata qualificata e promossa la marca (con le collection di tazzine dipinte da artisti di fama mondiale e con le campagne pubblicitarie), sono state sviluppate altre tecnologie come quella chiamata «iperespresso» che si basa sull’utilizzo di capsule monodose. L’azienda è stata la prima al mondo a ottenere una certificazione di sostenibilità economica, sociale e ambientale denominata «Responsible supply chain». Oggi la società è al 100% della holding di famiglia che ha anche sviluppato un programma di diversificazione ritornando a settori che avevano fatto parte del passato. Siamo tornati a prodotti con i quali ci eravamo cimentati in passato ma poi abbandonati; acquisendo cioccolato Domori, tè Dammann, vini Masrojanni e due partecipazioni minoritarie in Agrimontana (confetture) e Grom (gelati).

Oltre alla storia della sua famiglia, la stessa Trieste, dove lei vive, è per antica vocazione una città multiculturale, ponte e luogo di incontro tra l’Est e l’Ovest europeo. Riesce anche oggi a corrispondere a questa vocazione?

Trieste è ancor oggi una città multilinguistica, multiculturale e multireligiosa. Vi sono chiese e cimiteri di sette religioni diverse, la maggioranza dei cittadini ha antenati di Paesi diversi, vi si parlano molte lingue e le associazioni delle comunità linguistico-religiose custodiscono e tramandano le tradizioni di origine di popoli diversi. Realizzando un modello di convivenza che viene definito di integrazione conservativa; da un lato i diversi popoli si sono integrati in una società unica e coesa, dall’altro i valori linguistici e culturali di origine vengono conservati. Questo spirito plurale della città si è sviluppato soprattutto durante i periodi storici dell’Impero Romano e poi di quello Asburgico; ora l’Unione Europea, con la libera circolazione di persone, moneta, merci, conoscenza, ha ricreato le condizioni per perpetuare e valorizzare questo modello di convivenza, che potrebbe peraltro essere «esportato» in altre parti d’Europa e nell’Europa intera.

Lei ha sempre sostenuto a livello europeo l’allargamento dei confini verso i Paesi dell’Est. Quali sono a suo avviso le migliori realizzazioni – sul piano culturale, sociale e politico – che attestano una apprezzabile integrazione tra Europa occidentale ed Europa orientale, e dove vede ancora molta strada da fare?

Le migliori realizzazioni sul piano politico sono senza dubbio rappresentate dall’adesione dei Paesi dell’Europa Orientale alla Unione Europea, l’adesione di alcuni di questi Paesi all’Unione Monetaria e all’Area Schengen. Sono state significative anche le realizzazioni nel campo economico e delle infrastrutture autostradali, che hanno favorito la riduzione del gap di benessere esistente in precedenza tra Europa occidentale e orientale e, in qualche misura, la mobilità dei lavoratori. Resta ancora molto da fare nelle infrastrutture ferroviarie – più rapide, economiche e rispettose dell’ambiente – e nel campo della conoscenza e rispetto delle rispettive culture. Ciò avviene oggi prevalentemente a livello transfrontaliero locale; con la distanza si affievolisce la conoscenza delle altre culture, che a mio avviso rappresenta un patrimonio che costituisce il principale vantaggio competitivo dell’Europa nei confronti di Stati Uniti, Cina, India, Russia, Brasile. Quando un triestino che non parla sloveno e croato vuole parlare con un cittadino di quei Paesi che non parla italiano, lo fa in inglese. Così come fa quando va in qualunque altra parte del modo se non parla la lingua locale; l’inglese è già oggi la lingua comune per l’economia, la finanza, la scienza, la comunicazione. Questa è la strada che ci manca da fare in Europa: promuovere anche all’interno dei confini dell’Unione l’inglese come lingua franca, per favorire la conoscenza e lo scambio tra i popoli diversi. Continueremo a parlare la nostra lingua nazionale in loco ma rafforzeremo la reciproca conoscenza in Europa e la nostra capacità di confrontarci con il mondo intero.

Illycaffè è un brand molto presente in tutto l’Est Europa: in Romania, in particolare, lo si trova in oltre 1.300 caffè, ristoranti, alberghi di alta categoria. Quali aspetti di carattere squisitamente umano hanno caratterizzato l’ingresso e l’affermazione della sua azienda in Romania?

Negli anni in cui abbiamo avviato la distribuzione dei nostri prodotti in Romania ero impegnato nel ruolo di Sindaco di Trieste, deputato e infine Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia; non ero impegnato nella gestione operativa della Illycaffè e non ho quindi potuto vivere personalmente l’esperienza degli scambi con il distributore e i clienti romeni. So che le comuni ancorché antiche origini e le affinità linguistiche e culturali favoriscono una immediata comprensione fra italiani e romeni. Vi sono alla base una reciproca simpatia, la sensazione di avere diverse affinità e quindi una sorta di pregiudizio positivo che facilitano i rapporti. Anche i romeni, come gli italiani, hanno una predisposizione per il bello e il buono, che ha facilitato la comprensione e apprezzamento della superiore qualità dei nostri prodotti e l’apprezzamento per gli elementi estetici della nostra comunicazione.

In effetti Illycaffè è attenta all’arte e alla cultura in genere. Come dar vita a una nuova, feconda alleanza tra cultura e impresa, oggi – salvo lodevoli eccezioni – piuttosto lontane tra loro? Cosa può indurre un imprenditore ad avvicinarsi alla cultura e a sostenere seri progetti in tal senso?

Casi di successo come quelli della Illycaffè costituiscono senza dubbio un incentivo anche per altre imprese a emularne l’esempio. Già nel 1934, un solo anno dopo la fondazione della società, mio nonno Francesco incaricò Xanti Schawinski, apprezzato designer di origine polacca, di realizzare un manifesto per promuovere la marca Illy. La società continuò a collaborare negli anni con architetti, designer e artisti per realizzare i suoi prodotti e le campagne di comunicazione. Nel 1992 mio fratello Francesco ha avviato il lancio delle illycollection, disegnate da artisti, soprattutto pittori, contemporanei. In venticinque anni ne abbiamo prodotte più di 80 e continuano a mietere successi. Uno degli artisti coinvolti, James Rosenquist, ha poi dipinto un quadro con il nuovo logo della società, adottato nel 1994. Parallelamente la società ha avviato la sponsorizzazione di importanti mostre d’arte contemporanea, come la biennale di Venezia, e il sostegno all’attività di giovani talenti. Per società che producono beni di alta qualità avvalersi di artisti per realizzare, completare o comunicare i propri prodotti rappresenta quasi un obbligo da un lato (noblesse oblige…) e una grande opportunità dall’altro. Si crea una coerente sinergia fra l’estetica e la qualità dei prodotti e quella espressa dagli artisti; anche in termini di notorietà si crea una sorta di risonanza che amplifica l’impatto della comunicazione. Illycaffè è anche impegnata, in forma minore, nel campo della letteratura. Ogni impresa farebbe bene a impegnarsi a sostegno di almeno un settore dell’arte e altrettanto dovrebbe fare lo Stato italiano. Valorizzare il proprio patrimonio artistico, investendo in musei e nella conservazione del patrimonio architettonico, consentirebbe da un lato di perpetuare la nostra innata propensione alla produzione del bello e del buono (che non va data per scontata) e favorirebbe dall’altro l’attrazione di turisti, favorendo il rilancio di un settore nel quale dovremmo primeggiare.

Ci piacerebbe vedere presto una serie inedita di tazzine Illy a edizione limitata dedicate a Francesco Illy e Timişoara: possiamo contarci? E possiamo contare anche su un bel Illycaffè nella città del suo fondatore, con una vetrina a lui dedicata, nella buona tradizione dei caffè storici?

Dedicare una Illycollection al fondatore della società e alla sua città natale è senz’altro una idea affascinante; vedremo se un artista sarà così bravo da realizzarne una che convinca il nostro severissimo art director Carlo Bach. Sono più ottimista sulla possibilità di aprire un giorno un Espressamente Illy (così si chiamano i caffè all’italiana della nostra catena in franchising) a Timişoara; oggi ve ne sono circa 120 nel mondo, sono quattro quelli che gestiamo direttamente a Parigi e stiamo progressivamente allargando la rete di Area Developer che si impegnano a aprire una decina di locali nel loro territorio. Speriamo di individuare presto anche quello per la Romania.





Certificato di battesimo di Francesco Illy
Timişoara 1892

Diploma di Scuola professionale di Francesco Illy
Timişoara 1904


Lasciapassare di Francesco Illy
Trieste 1920

Legittimazione rilasciata dal Consolato romeno di Trieste
Trieste 1930



Intervista di Afrodita Cionchin e Giovanni Ruggeri
(n. 12, dicembre 2012, anno II)