«Zabriskie Point», lo sguardo di Michelangelo Antonioni sull'America (e su di noi)

Il decennio che va dal 1963 al 1973 ha profondamente scosso le basi del sistema di valori della società americana. Dall'assassinio di John F. Kennedy, alla contestazione giovanile, alla campagna per i diritti civili dei neri, al rischio di impeachment ed alle dimissioni del Presidente Richard Nixon, al ritiro delle truppe americane sconfitte in Vietnam, gli USA hanno dovuto far fronte ad una serie di profonde lacerazioni interne ed esterne. Prima di tutto è esploso il problema razziale che ha rivelato che l'America non era solo la grande democrazia vincitrice della seconda guerra mondiale. Era anche una società razzista dove la popolazione nera, guidata da leader carismatici come MalcomX, ma soprattutto da Martin Luther King, esprimeva in modo sempre più insistente ed esplicito la propria condizione di popolo discriminato ed umiliato. I militanti armati Black Panthers, lo slogan ‘Black is Beautiful', il recupero delle radici africane, la supremazia in campo atletico degli atleti di colore e l'orgoglio ricavatone, sono diverse componenti del fenomeno. Anche la popolazione di razza bianca contesta negli stessi anni la legittimità del sistema sociale ed economico statunitense. Sorge e si afferma il movimento degli hippies che con il suo sogno utopico del ritorno alla terra, il ripudio della proprietà privata, il free love e l'uso di stupefacenti, ripudia i valori del sistema: Dio, patria, famiglia e carriera. L'incapacità delle autorità costituite e dell'esercito di vincere in Vietnam spinge tanti giovani all'obiezione di coscienza, alle manifestazioni per la pace, al rifiuto di partecipare ad una guerra vista sempre di più come ingiusta ed immorale.
Questi sono i tratti salienti dell'America a chi come Michelangelo Antonioni la guarda in quegli anni dall'esterno. Prima di occuparsi della contestazione negli USA, egli era stato affascinato dalla crisi del sistema di valori nel mondo tecnologico, dalla reificazione dell'individuo, dall'alienazione esistenziale. Ma l'aveva fatto fino ad allora, la fine anni sessanta, a partire da un ambiente, che gli era familiare. A parte l'Avventura che si svolge in Sicilia e Blow UP, ambientato a Londra e girato in inglese, i suoi film per quasi due decenni hanno come sfondo la pianura padana (Cronaca di un amore, Il Grido, Le Amiche, L'Eclisse, La Notte, Il Deserto Rosso). In Blow Up quello che conta veramente non è tanto il contesto sociale londinese (la musica rock, i Beatles, la beat generation) quanto la ricerca ontologica sulla natura del cinema come arte, sulla immagine captata da una lente per arrivare ad una conoscenza irrefutabile della percezione del reale e la conseguente scoperta dell'impossibilità di riuscirci.

«Zabriskie Point» e la critica del tempo

Nel 1969 Antonioni decide di girare Zabriskie Point negli USA. Subito ha dovuto far fronte ad una serie di problemi. I produttori e le maestranze tecniche esigevano un orario di lavoro preciso ed un copione altrettanto preciso. Non riusciva ad accontentarli perché le scene per lui erano spesso il risultato di una spontanea ricerca di immagini e di sensazioni. Egli si limitava, come era sua abitudine, a suggerire il tema generale e qualche battuta di dialogo. La mancanza di un piano preciso di lavoro ha provocato incomprensioni e problemi anche con gli attori che non riuscivano ad interagire in modo convincente con l'improvvisazione quotidiana. Questa incomprensione spiega l'interpretazione abbastanza stucchevole degli attori principali del film che racconta l'incontro fortuito di due giovani nel deserto dell'Arizona che vivono una breve, intensa e tragica storia d'amore in fondo al canyon della Death Valley, vicino ad un posto denominato Zabriskie Point. Sia Daria Halprin che Mark Frechette, i protagonisti, non riescono a dare intensità drammatica e profondità psicologica al personaggio che interpretano, contrariamente a quanto era avvenuto con Monica Vitti, Eleonora Rossi Drago o Alain Delon nelle opere precedenti di Antonioni. Differenza di mentalità, incomprensioni e conflitti con i produttori, scarto tra le intenzioni del regista e la resa degli attori e delle maestranze tecniche: da tutto ciò derivano i limiti della pellicola che finisce con l'essere una brutta copia ridotta del progetto iniziale.
È Vincent Canby, il critico del «New York Times», che stabilisce i parametri interpretativi nelle sue recensioni dopo la prima al Coronet Theatre di New York. «Credenziali rivoluzionarie fasulle, scrive, sono scaraventate a profusione sullo schermo. A causa della vuotaggine di fondo della sua visione dell'America, i difetti di Antonioni, tollerabili in altri suoi film, diventano in Zabriskie Point appariscenti ed insopportabili. Nei film precedenti il sostrato psicologico andava, continua il Canby, di pari passo con la sovrastruttura intellettuale». In questo film, egli crede, non c'è che sovrastruttura di cui sono esempi calzanti la tempesta di sabbia in fondo al canyon di Zabriskie Point e l'allucinazione della distruzione del mondo capitalistico allorché alla fine Daria, sentita alla radio la notizia dell'uccisione da parte della polizia del ragazzo che aveva amato, fa scoppiare mentalmente e ripetutamente la casa di Taylor, lo speculatore edilizio per il quale lavora. Anche Pauline Kael, Stanley Kaufman e C.T. Samuels, tre altri importanti critici, abbondano nel sottolineare i difetti di Zabriskie Point. Michelangelo Antonioni ammette che è facile criticarlo e si difende dicendo che il suo scopo nel girare il film non è stato quello di spiegare accuratamente i difetti sociali degli Stati Uniti; egli s'era semplicemente limitato ad afferrare, ad intuire qualcosa della realtà americana che gli stava davanti e l'aveva espresso da un'ottica diversa da chi in quella realtà viveva e conosceva profondamente. L'interesse e l'importanza del film, fa valere Antonioni, andava dunque cercata proprio in questa differenza di percezione delle cose.

Una reinterpretazione dei nostri giorni

Come può essere visto e (re)interpretato il film al giorno d'oggi, all'inizio del terzo millennio? Lo storico del cinema Peter Bondanella ritiene che se «Blow Up è stato sopravvalutato, Zabriskie Point è stato non solo sottovalutato, ma violentemente criticato». A lui il film sembra possedere un «grande potenziale non realizzato». L'interferenza dei produttori, egli crede, ha impedito ad Antonioni di esprimere una convincente visione italiana di un emergente mito americano, quello di un nuovo Adamo e di nuova Eva che tornano a nuova vita dall'aridità del deserto in un contesto rivoluzionario. Questo mito non risalta in maniera convincente e costituisce il limite principale dell'opera, secondo Bondanella.
Ed ora un mio giudizio. Zabriskie Point non va considerato il capolavoro della produzione antonioniana. Tuttavia, col senno di quasi quarant'anni dopo, l'opera acquista un suo particolare valore e spessore se vista ed interpretata come una favola, un'epifania delle sue intuizioni sugli aspetti deteriori della società pacchiana e consumistica americana. Nel suo insieme, anch'io credo che non sia un film riuscito. È il contesto onirico più che lo sviluppo drammatico della trama che svolge un ruolo predominante. Antonioni riesce a captare e sottolineare gli aspetti appariscenti, grotteschi della società dei consumi. Perché ha tanto insistito sulla banalità e la bruttezza? Perché Antonioni, nato e cresciuto a Ferrara, in una realtà urbana caratterizzata dalla raffinatezza estetica, da un mondo costruito a misura d'uomo, è stato essenzialmente un acuto interprete delle forze esterne che impediscono all'essere contemporaneo di gioire di un equilibrio mentale paragonabile all'aurea mediocritas, l'ideale proposto dall'altro grande ferrarese attivo nella corte estense, Ludovico Ariosto. Antonioni, nel mettere i piedi sul suolo americano deve essere rimasto colpito, scandalizzato dall'impronta banale, tentacolare, unidimensionale, appiattita dei sobborghi americani oppure, nei downtowns, dalla dimensione spericolatamente, mostruosamente verticale dei grattacieli nel nuovo continente. Quello di Antonioni finisce con l'essere il rifiuto del cattivo gusto, del kitch, del cheap, che sommergono l'individuo, lo stordiscono e gli impediscono di avere una lucida percezione del rapporto che dovrebbe esistere tra le cose e tra gli esseri umani. Il consumismo che detta legge, fa dire Antonioni ad un gruppo di studenti universitari nella prima sequenza, ha un potere ottundente, impedisce la comprensione delle cause che agiscono su ognuno di noi e ci condizionano e ci rendono succubi del potere. C'è, in fin dei conti, in Zabriskie Point una condanna dell'America basata sulla mancanza di un principio di bellezza. La bruttezza dominante è l'espressione della violenza che la produce. Ecco perché l'America che gli interessa è quella che rifiuta il sistema, appunto con la sua bruttezza e violenza, oppure è la realtà fisica, geologica, incontaminata, pur nelle sue forme tormentate, avulsa dalla presenza umana. Simbolicamente quindi fa molto senso, a livello intenzionale per lo meno, che la giovane coppia, Mark e Daria facciano scaturire un rinato élan vitale accoppiandosi nel fondo della Valle della Morte (la Death Valley) con lo scopo di produrre metaforicamente una reazione biologica a catena capace di risanare il continente in via di autodistruzione. Antonioni ha stabilito una dialettica sproporzionata tra la forza d'urto della contestazione giovanile e la capacità di resistenza, di autodifesa e di recupero del sistema di potere costituito. A causa di questa sua premessa erronea l'analisi sociale e politica è troppo dicotomica e resta superficiale. I momenti più forti di Zabriskie Point sono quelli onirici, quando è la favola piuttosto che l'analisi che prende il sopravvento. Lo scoppio della villa di Taylor ed i frantumi che volano in aria e riempiono lo schermo al rallentatore producono ancora un impatto visivo potente. Zabriskie Point è, in fin di conti, una favola che termina in apocalissi. Dopo questa sua parentesi americana e dopo il film-documentario sulla Cina, Antonioni è tornato con Professione Reporter, Identificazione di una Donna ed Eros, alla sua tematica prediletta: il gioco delle illusioni con l'inevitabile alienazione, nella vita come nell'arte.

Filippo Salvatore
(n. 2, febbraio 2013, anno III)