Inedito: «Lisbona per sempre», l'amore secondo Mihai Zamfir

Nato a Bucarest nel 1941, Mihai Zamfir si laurea in Lettere nel 1962 all’Università della capitale romena diventando specialista in stilistica, in storia letteraria e in letteratura comparata. In seguito a un periodo di specializzazione in Francia (1966-67) sotto la guida di Pierre Guiraud, nel 1970 consegue il Dottorato in Lettere presso l’Università di Bucarest. Tra il 1972 e il 1975 ricopre la carica di professore ausiliare presso la Cattedra di romeno dell’Università di Lisbona. Durante il soggiorno portoghese la «lusofilia» di Mihai Zamfir trae nuovi stimoli e linfa: perfeziona il portoghese e s’imbeve della cultura lusitana. Come effetto conseguente di questa passione per la cultura e la lingua lusitane, nel 1975, tornato in patria, su sua diretta iniziativa viene istituita all’Università di Bucarest la sezione di Lingua e Letteratura portoghese, la prima in assoluto in Romania. Il prestigio acquisito durante la sua proficua e intensa carriera universitaria schiudono a Mihai Zamfir nuove strade che lo portano a ricoprire, immediatamente dopo la caduta del regime di Ceaușescu, importanti impegni professionali: Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Istruzione (1990-1993), e, sempre negli anni ’90, visiting professor presso le Università di Lisbona e di Brasília. Mihai Zamfir è stato cooptato anche in diplomazia come ambasciatore di Romania in Portogallo (1997-2001) e in Brasile (2007-2012).

Mihai Zamfir è professore alla Facoltà di Lettere di Bucarest e la sua copiosa bibliografia è arricchita, fra l’altro, da libri specialistici di letteratura portoghese e romena e di teoria letteraria: Proză poetică românească în secolul XIX (La prosa poetica romena nel XIX secolo), 1971; Imaginea ascunsă. Structura narativă a romanului proustian (L’immagine nascosta. La struttura narrativa del romanzo proustiano), 1976; Formele liricii portugheze (Le forme della lirica portoghese), 1985; Cealaltă faţă a prozei (L’altra faccia della prosa), 1988; Din secolul romantic (Del secolo romantico), 1989; Discursul anilor ’90 (Il discorso negli anni ’90), 1997; Jurnal indirect. Scrisori portugheze (Diario indiretto. Lettere portoghesi), 2006, che raccoglie i suoi articoli apparsi sulla rivista letteraria «România Literară»; Scurtă istorie. Panorama alternativă a literaturii române, vol. I (Breve storia. Panorama alternativo della letteratura romena), 2011, 20122.
Come prosatore, Mihai Zamfir ha già al suo attivo i romanzi Poveste de iarnă (Racconto d’inverno), 1987; Acasă (A casa), 1992 (pubblicati in seguito in un unico volume dall’editrice Polirom nel 2004); Educaţie tîrzie (Educazione tardiva), 2 voll., Polirom 1998-1999, e Fetiţa (La bambina), Polirom 2005. Acasă e il romanzo che qui proponiamo sono stati tradotti in Brasile per i tipi delle Edizioni Thesaurus: il primo con il titolo Uma casa, dois mundos, pubblicato nel 2008, e il secondo, nel 2012, con Lisboa para sempre! che è il titolo che qui adottiamo anche noi.

Romanzo d'amore in forma epistolare

Lisbona per sempre è un romanzo d’amore tra i più squisiti che si possano leggere. Non siamo di fronte a una storia dall’intreccio, dallo sfondo o da personaggi scontati, non è insomma un romanzo sciropposo, sentimentaloide, o peggio ancora, «rosa», dalla trama prevedibile e generica come potrebbero essere tanti altri di questo filone da cui il libro di Zamfir si scosta, ovviamente, in maniera netta. No, siamo di fronte invece a un romanzo cesellato finemente, scritto con intelligenza ed eleganza nel quale l’autore adotta una forma sorprendente e inattesa per un romanzo contemporaneo, quella epistolare, un genere tipicamente settecentesco che vanta illustri esempi, come i romanzi epistolari di Montesquieu, Goethe, Richardson, Laclos. Questo artificio letterario è affiancato in qualche modo da un’altra tipica tecnica narrativa (si pensi a Manzoni o a Walter Scott, o ancor prima, a Cervantes): quella del ritrovamento di un manoscritto (nel nostro caso, di un carteggio) da cui lo scrittore imbastisce la propria storia, inframmezzata da sue pause e riflessioni. Questo è quel che accade più o meno anche nel romanzo di Mihai Zamfir, con la differenza che qui però non è l’autore a sbrogliare direttamente il carteggio ma viene mediato da due giovani i quali, entrati in possesso delle lettere non si sa bene come, decidono di disporle in ordine cronologico e di tradurre in romeno quelle scritte in portoghese. Nel corso del romanzo le voci dei due giovani affioreranno quindi qua e là interrompendo il flusso epistolare con i loro commenti, spesso tra il faceto e il sagace, riferiti ai protagonisti dell’intenso dialogo tra i personaggi del romanzo. Dialogo nel quale Mihai Zamfir si destreggia con arte, tracciando superbamente il profilo psicologico dei due protagonisti – il romeno Petru/Pedro e la «lisboeta» Isabel –, ben delineati e assolutamente plausibili, senza sconfinare nel patetico o nel kitsch. Lo scrittore ci cala nella storia con coinvolgimento e ci fa volare con la mente, quasi tenendoci per mano, sulle erte vie di Lisbona o scivolare sulle acque del Tejo: ci sciorina così sotto gli occhi la sua amata capitale lusitana (e altri luoghi del Portogallo), rievocata e trasfigurata nel libro con incantata tenerezza e nostalgia, quasi si trattasse di un Eden perduto oppure di un mondo fantastico o ideale, il luogo perfetto per una storia d’amore personalissima e universale.               


Brani scelti da «Lisbona per sempre»

Motto:
Ieri il giorno mi ha seguito, convinto,
Come un cane macilento,
Di essere legato alla mia vita
Da qualcosa, una cinghia,
Un laccio –
E a un crocevia da statue costeggiato
Si è voltato, vedendo che si era sbagliato.

Chi ha smarrito un giorno lungo quanto una vita
Lo cerchi subito. Si fa sera. Scende la nebbia, fitta.
(Tudor Arghezi, Un giorno)


Parte I

«Come hai fatto a trovare queste lettere? E che ne facciamo?»
«Non ha nessuna importanza sapere come le ho trovate, ora sono mie. Che ne facciamo? It’s a very, very good question. Le ordiniamo, le leggiamo con attenzione, ci divertiamo un po’ con esse, dopo di che le traduciamo. Già, le traduciamo! Sarà abbastanza difficile, ma così sta la cosa! Ho promesso che le tradurremo. Non tutte sono in portoghese, alcune sono in romeno. Abbiamo tempo fino a Natale, un mese e mezzo, fuori fa brutto, non staremo qui a… proprio tutto il giorno. Ci esercitiamo per la borsa di Lisbona.
«Tu e le tue osservazioni idiote da macho! E se io ti dicessi di “no”?»
«Vuol dire che le tradurrò da solo, c’impiegherò il doppio o il triplo del tempo, e tu morirai di curiosità per scoprire che cosa contengono e io non te lo dirò».
«Vabbè, ci penserò su. Le hai ordinate?»
«Sì, su tutte c’è la data posta in alto, sembrano scritte da persone ordinate. Pensa un po’, qui scopriremo molte più cose sul Portogallo che in una enciclopedia. E dato che comunque ci andremo…»
«Va bene, va bene… Lasciami darci un’occhiata. Sembrano delle lettere datate, eppure non lo sono, si è solo ingiallita un pochino la carta. Se questa è la prima, allora significa che è stata scritta nell’anno in cui io facevo l’esame di ammissione ed entravo nel secondo ciclo del liceo.»
«Io ero già un tantino più avanti… Ma, dimmi un po’, in prima liceo avevi già il ragazzo?»
«Dicevo io che sei uno schifoso machista! No, in prima liceo ero una ragazza per bene e studiosa, e così sono stata fino alla fine. Ma come può capire una cosa del genere uno che pensa solo a oscenità».
«Io capisco molte più cose di quello che pensi tu. Che ne dici se ci mettiamo al lavoro già da ora? Se non sei certa del significato di qualche parola, ti verrò in aiuto»,
«E questo venirmi in aiuto significa che tu conosci il portoghese meglio di me, vero?»
«Sorry, non si tratta di machismo, è soltanto una constatazione. Forza, al lavoro!»

Lettera 1
(Petru Cosmovici a Isabel Nogueira)

Lisbona, 15 settembre 1997

Cara Isabel,
questa lettera è una bottiglia gettata in mare – gettata nell’oceano, perché ci separano due oceani. Mi rivolgo a te con «cara Isabel» come all’epoca. Oggi non so neppure se ti ricordi ancora di me, magari i venti e passa anni trascorsi da quando ci siamo visti l’ultima volta mi hanno cancellato dalla tua memoria. O magari… può essere che sto prendendo un colossale abbaglio: tu potresti essere un’altra persona che porta lo stesso nome. Ma dimmi, ti prego, sei tu per caso la ragazza che terminava gli studi alla Facoltà di Lettere di Lisbona nell’anno di grazia del 1976? La ragazza che le colleghe chiamavano «Ciliegina»? (Non ho mai compreso il senso di questo tenero soprannome. A dire il vero tu eri meravigliosa e fresca come una ciliegia ai primi di giugno). Sei tu la ragazza che un romeno un po’ strano ha conosciuto allora, in quei lontani anni, e che ora è professoressa in un’università dell’Australia? Ho visto in Portuguese Studies uno studio firmato Isabel Nogueira e quindi… Ho spedito questa lettera all’indirizzo dell’università: sarà quel che sarà!
Ti chiederai, forse, che cosa sto facendo a Lisbona: a volte me lo domando anch’io, mi sembra di sognare, non sono più stato in questa città della mia giovinezza da diciotto anni, quasi una vita. E dal 1975, quando cioè ci siamo visti per l’ultima volta, sono trascorsi un altro bel po’ di anni. Ora, se Deus quiser, ci rimarrò fino al prossimo autunno, un anno intero!
Ma tutto ciò sono solo scempiaggini, provo vergogna addirittura a raccontartele: l’unica cosa importante è la tua risposta. È probabile che da ora in poi la sola cosa che farò è aspettare la tua risposta. Mi trema un po’ la mano, e il mio portoghese, quasi scordato del tutto, deve essere infarcito di strafalcioni.

Il tuo vecchi amico,
Pedro Cosmovici.

Lettera 2
(Petru Cosmovici a Isabel Nogueira)

Lisbona, 5 ottobre 1997

Cara Isabel,
quanto c’impiega una lettera da Lisbona a Melbourne? In questi giorni me lo sarò chiesto un milione di volte. Alla posta mi è stato detto che un’epistola spedita priority arriva a destinazione in quattro, cinque giorni feriali. Ho lasciato che ne passassero dieci, venti… Ogni giorno che passa, la speranza si allontana di più: forse la mia lettera non è stata recapitata, forse l’hai cestinata, forse non ti trovi in città, forse tu non sei la persona che sto cercando. Ci sono così tanti «forse» al mondo che non oso neppure contarli tutti.
A ogni modo, signora Isabel Nogueira, signorina Isabel, nota o ignota Isabel, scrivimi, ti prego, anche solo poche righe come risposta. Qualsiasi essa sia.

Pedro Cosmovici.


Lettera 3

(Isabel Nogueira a Petru Cosmovici)

Melbourne, 16 ottobre 1997

Caro signor professore,
mi dirigo a lei in questo modo poiché immagino che sia professore: qualsiasi laureato in Lettere arriva prima o poi a diventare professore. Sono stata in dubbio se risponderle o no. La sua lettera proviene da un passato troppo remoto, che quasi ho scordato. Il mio primo impulso è stato di non rispondere al messaggio – le bottiglie lanciate in mare nella loro stragrande maggioranza si perdono, non è così? Ma mi sono detta che non sarebbe stato onesto da parte mia. Rievocare alla memoria una reincarnazione passata mi sconvolge abbastanza anche così.
Sì, sono io Isabel Nogueira; sì, sono io la «Ciliegina». Scritta questa frase, mi sono resa conto istantaneamente dell’artificiosità delle apparenze. Dal punto di vista anagrafico, secondo il casellario della polizia, effettivamente io sono quella persona; in realtà, da tempo ormai non sono più quella Isabel che lei ha conosciuto, ossia la studentessa che rispondeva a quel nome. È da circa due anni che non metto piede in Portogallo e, in generale, ritorno al mio paese rarissime volte. Io stessa ho un vago ricordo di quella ragazza ingenua ed entusiasta, di quella piccola vedette dell’università, del suo splendore durato appena una stagione, un’estate.
Ora sono professoressa in Australia, ho raggiunto addirittura una posizione che altri invidierebbero: Associated Professor in procinto quasi di assumere la direzione del Dipartimento di Spanish Studies (in cui confluisce anche il portoghese); in apparenza, faccio il mio dovere ma, mi creda, senza alcun particolare entusiasmo. Sarebbe troppo complicato spiegarle ora il perché. A ogni modo, mi rallegro con lei che potrà rimanere a Lisbona per un più ampio periodo di tempo, perché ricordo quanto le piaceva il Portogallo. Forse adesso le piacerà ancor di più dopo un’assenza così lunga.
La mia lettera sta andando un po’ troppo per le lunghe, sebbene non fosse nelle mie intenzioni. Ci potremo scrivere ogni tanto, se desidera mantenere il contatto con una Isabel del tutto diversa da quella che lei ricorda.

Con tutta l’amicizia, sua,
Isabel.

P.S. Sappia che scrive un portoghese impeccabile. O quasi. E le sue frasi arrivano a volte a essere perfino eleganti.



Lettera 4

(Petru Cosmovici a Isabel Nogueira)

Lisbona, 25 ottobre 1997

Mia cara Isabel,
mi vien voglia di saltare dalla gioia, di giocare, di cantare, di ridere, di piangere: ti ho ritrovata! All’altro capo del mondo, ma ti ho ritrovata! Il resto non conta. Avevo il presentimento che oggi mi sarebbe accaduto qualcosa di eccezionale. Dopo due giorni di un tempo uggioso, il sole è tornato a splendere e questa mattina mi sono svegliato sotto il cielo autunnale di Lisbona, di un azzurro intenso. Mentre mi dirigevo verso la Baixa, ho scorto per un attimo dall’autobus, al primo angolo di strada, il fiume – maestoso, quasi più grande e più gonfio, un fiume che indica che fuori è bello. Rientrato a casa per prendere le mie carte, ho trovato la lettera con uno strano francobollo: avrei voluto andare alla Biblioteca Nazionale, in Campo Grande, come se uno potesse andare in biblioteca con una giornata simile! Dopo aver letto la tua lettera più volte, tanto da impararmela a memoria, sono andato a piedi da Largo do Rato (abito da quelle parti ora) fino alla sponda del fiume, dove ho respirato l’aria che si spandeva profumata; sono tornato a casa sempre a piedi, per consumare parte della mia debordante energia.
Invece di perdere il tempo in biblioteca, mi sono messo a scriverti. Spero di spedirti la lettera oggi stesso, ci sono ancora alcune ore abbondanti prima della chiusura dell’ufficio postale, sicché domani, con il primo aereo, i miei pensieri attraverseranno l’Oceano Indiano diretti alla terra dei canguri. Ho perso una giornata di lavoro, ma questo significa una giornata guadagnata, la meglio guadagnata fra tutte quelle trascorse a Lisbona finora.
Mi sembra di sognare, Isabel! Sto sognando da circa un mese e mezzo, dal momento in cui ho messo piede nella Terra Promessa, abbandonata anni fa. Sulla pista dell’aeroporto di Portela, non appena abbiamo toccato terra, sono stato invaso da una luce paradisiaca. Poi tutto è proseguito secondo una logica da sogno: mi attendeva una stanza in un appartamento tutto per me; ho ricevuto i soldi della prima borsa abbastanza in fretta; durante la prima settimana ho letto quel numero provvidenziale di Portuguese Studies. La mia padrona di casa, che abita nel palazzo accanto, esige un’unica cosa: che le sorvegli con cura l’appartamento; è colmo di oggetti d’arte: cristalleria antipatica, porcellane cinesi, in gran quantità e ammucchiate, alcune pregevoli, brutti dipinti del XIX secolo, un comò Empire – cassettoni simili a casse da morto con le gambe di metallo dorato. La timorosa vecchietta crede di possedere in queste quattro stanze un tesoro, che il suo bric-à-brac valga quanto il Museo Gulbenkian. Mi sono guardato bene dal contraddirla, le ho promesso solennemente che nessuno degli oggetti del tesoro sarebbe stato spostato di un centimetro e che avrei vigilato la grotta di Ali Babà come un fedele servitore. Mi sono quindi installato in una delle quattro stanze del museo, l’unica un po’ più comoda e più sgombra: solo un letto, un armadio, una scrivania e un comò di Cordova. Dalla finestra si può intravedere il parco Estrela. E in fondo, la cupola della basilica.
Sto scrivendo proprio da questo punto geografico. Di che cosa? Ho troppe cose da raccontarti e non mi azzardo a farlo. Questa è una lettera con la quale ti dico solo che ti scrivo una lettera. Una cosa assolutamente post-moderna, non è vero?! Ti comunico la felicità che ho provato oggi, perché ci sono giorni speciali che compensano anni di attesa. Pensi che si debba solo al caso il fatto che mi sia capitato fra le mani, in uno dei primi giorni alla Biblioteca Nazionale, proprio il numero di Portuguese Studies che conteneva il tuo articolo?Ha agito la stessa forza che mi ha ricondotto in Portogallo, il paese che credevo di aver lasciato per sempre.
Basta, devo affrettarmi se voglio arrivare alla posta prima che chiuda. Ti imploro di rispondermi e che continuiamo il miracolo iniziato. Non so se nei prossimi giorni mi dedicherò molto allo studio della linguistica romanza, so però che aspetterò una lettera dall’Australia.

Tuo,
Pedro.



Lettera 5

(Petru Cosmovici ad Andrei Dumitrescu)

Lisbona, 26 ottobre 1997

Caro Andrei,
è da molto che non ti scrivo e mi sento in colpa: una volta ero più coscienzioso, non lasciavo passare mesi interi senza l’illusione di continuare, per iscritto, un legame con te. La prima lettera ti arriva solo adesso, dopo tanto tempo, perché mi è accaduto qualcosa di importante: mi trovo di nuovo in Portogallo. Sì, proprio in Portogallo! Sai perfettamente quanto abbia significato il Portogallo nella mia esistenza e perché il ritorno in questo paese, occidentale e meridionale in modo estremo, è pari a un ritorno in Arcadia (ognuno di noi possiede una propria Arcadia personale, la tua non so bene dove si trovi, forse proprio a casa tua, sulla Costa Orientale!).
Preso dai preparativi per la partenza, dal disbrigo degli impegni all’Istituto, dalle cose da predisporre insite in un trasferimento all’estero per un periodo di tempo così lungo, a partire da questa primavera fino a oggi non ho fatto altro che occuparmi del viaggio. E che viaggio! Un anno a Lisbona con una borsa offerta dall’Istituto Camões, una borsa relativamente generosa per un’epoca come questa di ristrettezze economiche. Sicché, giunto in Paradiso, è normale che condivida con gli altri la mia felicità. Cioè con te.
Ti ricordi ancora? Quando comandava Lui, nei brevi periodi di libertà trascorsi in Francia, in Inghilterra o in Germania, periodi che non superavano le due o tre settimane, la mia prima preoccupazione era di scriverti una lunga lettera, senza censure interiori, una lettera nella quale poter sfogarmi. Per me sei sempre stato la personificazione del Romeno Libero (se mi è concesso ricorrere a dei paroloni). Per questa ragione, il mio primo gesto di normalità in quegli anni di funesta e simpatica memoria era, una volta giunto in Occidente, mettere da parte le paure, le esitazioni e scrivere al professor Andrei Dumitrescu una lettera liberatoria.
Questa era almeno la mia intenzione: in realtà, non so se riuscivo a liberarmi in un batter d’occhio del comunismo respirato ventiquattro ore su ventiquattro e da cui ero impregnato come un odore che ti penetra nei vestiti senza accorgertene; d’altro canto non so se le lettere che ti scrivevo allora dal «mondo libero» erano alla fin fine così diverse da quelle che ti scrivevo da Bucarest. Contava solo lo stato d’animo.
Dopo tanti anni, mi è rimasto quel riflesso. Mi sembra quasi di essere fuggito di nuovo di prigione per un breve lasso di temo e, prima di tornare dietro alle sbarre, aspergo sulla carta le mie confessioni. Grazie a Dio, ora non è più il caso! Considera quindi questa lettera come la confessione di una gioia; sei il primo a esserne partecipe. Tanto più che, questa volta, so esattamente dove finiranno le mie lettere, quale aspetto ha il deck di legno nel retro di casa tua, lì dove probabilmente le leggerai. L’incantevole cittadina di Queensville mi è rimasta nel cuore tre anni fa (son già tre anni, Dio mio!), quando ho avuto la gioia di essere anch’io lì.
Ti abbraccio e aspetto, se ne avrai il tempo, qualche tua riga di conferma della ripresa del nostro rapporto epistolare. Mi spiace obbligarti a un esercizio desueto, ma abito in un appartamento in affitto e non dispongo di e-mail. Un abbraccio a Monica e ad Alexandru, sperando che si ricordino ancora di me.

Petru.


Lettera 6

(Isabel Nogueira a Petru Cosmovici)

Melbourne, 6 novembre 1997

Caro signor professore,
di fronte a un appello di tale perentorietà non posso non risponderle, per quanto in questo momento sia piuttosto occupata all’università: il semestre è agli sgoccioli, ho una mole enorme di lavori da leggere, e fra poco iniziano gli interminabili esami della sessione estiva. Eccomi però obbligata a riprendere il legame con il periodo portoghese della mia vita, ma senza eccessivo piacere.
È probabile che il passato portoghese significhi, per lei, tutt’altra cosa rispetto a me: me ne sono resa conto fin dalla prima lettera. Allora lei si trovava, già da tempo, in un paese straniero che, se comparato alla Romania, le sembrava un luogo incantevole. Ho conosciuto decine di stranieri che, invariabilmente, trovano il Portogallo wonderful e se ne innamorano fin dai primi giorni del loro soggiorno, anche se lo conoscono appena. Dovrei sentirmi lusingata, e invece mi prende piuttosto un senso di pena per questi individui superficiali, che vanno in brodo di giuggiole per il clima mite, per il fado e per il bacalhão cucinato in salsa. Io non faccio parte del grande club degli estimatori del Portogallo, perché so benissimo che cosa si nasconde dietro la facciata.
Con lei è diverso. Il Portogallo le è familiare, ne conosce la lingua, non ne ha una visione turistica. Non è più passato per Lisbona da diciotto anni e ciò significa moltissimo. E ora, giunto di nuovo a calcare le vie che conosceva, credo che starà fischiettando di gioia.
Come mai infatti non è più venuto in Portogallo durante tutto questo tempo? Dopo il crollo del comunismo, so che si può viaggiare liberamente. Sto facendo domande cretine: per viaggiare avrà necessariamente bisogno di mezzi e di tempo. Immagino che abbia condotto una vita difficile in tutti questi anni di cui io non so nulla. Non le nascondo che mi farebbe piacere scoprire qualche particolare, non della sua vita (continuo a essere una persona discreta), bensì di ciò di cui si occupa: a che studi si è dedicato, che cosa ha pubblicato, quale altre lingue ha appreso, perché lei era un poliglotta, e nel frattempo sarà diventato un hiper-poliglotta. Le mie informazioni sono rimaste quelle degli anni successivi alla Rivoluzione, quando avevamo tutta la vita davanti a noi e pareva infinita.

Con tutta l’amicizia,
Isabel.


A cura e traduzione di Mauro Barindi
(n. 1, gennaio 2013, anno III)