| 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 |  | Serenata dell’Angelo, un leitmotiv per la Transilvania
 
   G. Braga -  “Serenata dell’Angelo” (frammento  iniziale)
 Porto  solitamente con me, nei viaggi, un walkman;  esso mi consente di fissare nella mente ciò che vedo, legandolo, per così dire,  ad una colonna sonora. Pertanto,  per questo mio viaggio nei Carpazi, attraverso la Valacchia e la Transilvania, m’è  parso che la composizione musicale più idonea, da scegliere come leitmotiv, fosse quella, languida ed evocativa, della Serenata dell’Angelo di G. Braga. … Stesso languore cui doveva essersi  già a suo tempo abbandonato, nel riposo del guerriero, Garibaldi, l’Eroe dei  due mondi, se è vero che, nell’esilio di Caprera, era stato solito ascoltare i  versi della Leggenda Valacca, testo  della Serenata dell’Angelo. Così  bella e così compiutamente ‘decadente’ che continuò a far furore e a rimanere  in voga, e in tutto il mondo, anche nel nuovo secolo, e per un bel pezzo! Quell’atmosfera piena  di poesia, musica e mistero, ammaliò anche Cechov, tant’é che nel suo racconto Il Monaco Nero, la vicenda del professor  Kovrin, che cade preda delle allucinazioni fino a morirne, si ammanta di  evocazioni di travolgente metafisicità, com’era accaduto alla fanciulla in  delirio che si precipitava giù dal verone del suo castello, seguendo le canzoni  degli angeli, nella poesia di Marco Marcelliano Marcello, musicata nella Serenata  del famoso compositore giuliese Gaetano  Braga.
 Oh quali mi  risveglianodolcissimi  concenti!
 Non li odi,  o mamma,
 giungere
 coll’alitar  de’ venti?
 Fatti al  veron,
 t’en  supplico;
 e dimmi  donde parte
 questo suon.
 Io nulla  veggo, calmati;
 non odo voce  alcuna,
 fuor che il  fuggente zefiro,
 nel raggio  della luna.
 D’una  canzon,
 o povera  ammalata,
 chi vuoi che  t’erga il suon ?
 No!… No!...
 Non è mortal la musica
 che ascolto, o madre mia:
 essa mi sembra…
 mi sembra d’angeli
 festosa melodia.
 Ov’essi son?...
 Mi chiamano.
 O mamma,
 buona notte!
 Io seguo il suon,
 io seguo il suon…
 Perché,  dunque, la Serenata dell’Angelo? C’è qualche premessa da fare ed un po’ di storia da  narrare…Vlad III di Valacchia, voivoda di Transilvania, visse nella seconda  metà del ‘400. La sua crudeltà nei confronti dei prigionieri gli valse il  soprannome di Ţepeş, che in romeno significa l'Impalatore. Vlad  III venne anche detto Dracul (in romeno: Diavolo o Dragone).
 La di lui  moglie fu una sedicenne transilvana, comprata per cento sacchetti d'oro, che  egli amò d’amore tenerissimo e dalla quale ebbe due figli. Poi la donna,  essendole giunta la falsa notizia che il consorte fosse morto in battaglia  contro i Turchi, impazzita dal dolore, si suicidò gettandosi dall’alto del castello.
 Con molta  probabilità la Leggenda Valacca, che ispirò la Serenata dell’Angelo, fa riferimento a questa  triste storia.
 Al suo  ritorno, il voivoda,  disperato, si sarebbe dannato per sempre, maledicendo Dio. Probabilmente questo  è alla base della fosca leggenda nata sul suo personaggio. Alla sua morte,  avvenuta per mano turca nel 1476, Vlad venne sepolto da un gruppo di monaci nel  monastero di Snagov e non tardarono a fiorire leggende di vampirismo su di lui  e sulla maledizione di quel luogo. In realtà, per evitare profanazioni del cadavere,  i monaci l'avevano sepolto in un'altra tomba sconosciuta a tutti. Cosicché, quando  la tomba di Snagov fu scoperta da due archeologi romeni negli anni '30 del XX secolo,  di Vlad non era rimasto che un abito di seta gialla coi bottoni d'argento.  Il terribile Ţepeş è oggi universalmente conosciuto anche con il soprannome di Dracula il Vampiro, grazie (e sarebbe difficile dire quanto ‘grazie’,  considerando che Vlad, indipendentemente dalla sua efferatezza, fu, comunque,  un eroe nella sua terra) alla fama acquisita in tutti questi anni attraverso il  famoso libro di Bram Stoker (1897).
 Il  Castello di Bran, oggi adibito a museo, risale al secolo XIV, si trova in  Transilvania e, secondo la tradizione, fu a lungo la residenza di Vlad III di  Valacchia.
 
 È disastrosa la situazione in cui versa la Romania nell’immediato  dopo-Ceauşescu, ieri, a Bucarest,  pensavo; davvero terribile confrontarsi, ad esempio, con la realtà umana della  mia giovane guida nella capitale – una colta e cortese docente universitaria –  costretta ad elemosinare farmaci, qualora non mi occorressero o ne avessi portato  qualcuno in più, saponette e dentifricio, ‘non  importa se il tubetto è già stato iniziato’. Grottesco, in albergo  (ancorché tra gli ottimi), accorgermi che in una nazione famosa anche per le  sue cartiere, la carta igienica ha la tessitura delle fibre talmente lasca da  essere ‘fenestrata’ così tanto che meriterebbe di essere ‘defenestrata’ piuttosto  che utilizzata; così come i teli da bagno: sdruciti, sfilati, bucati, ancorché  puliti.
 Oltretutto, Bucarest esce, proprio in questi giorni, stravolta da una  spaventosa tromba d’aria che, in quelli scorsi, ha causato circa settanta morti  in Valacchia. A sera, tuttavia, nella sala da pranzo dell’albergo che mi  ospita, ugualmente e conformemente a quanto previsto dal programma di viaggio  la cena verrà servita nella veste folkloristica promessa. Tutto ciò è pateticamente  tenero. Il pavimento è ancora tutto bagnato dall’infiltrazione dell’acqua piovana  ma, nonostante ciò i camerieri, servendo a tavola, balleranno e canteranno, con  l’accompagnamento del violino e del flauto di Pan, la loro Ciocârlia,  che, una volta ancora, frutterà loro applausi ed offerte… Come si fa a non voler bene a  questa gente?!...
 Ma oggi  qui, in Transilvania, attraversato il 45° parallelo, a Sinaia la «Perla dei Carpazi”,  a circa 125 Km  da Bucarest, nella bella valle Prahova, sovrastata dal massiccio del Bucegi tra  cascate ed altopiani, proscenio a spettacolose cime, le meraviglie naturali –  si è in luglio – inducono a più ameni e rassicuranti pensieri.
 Poi, a Poiana  Brasov, a circa 1.100   metri di quota, non molto distante dall’anzidetto  castello di Bran, le emozioni di viaggio mutano ancora e soprattutto, poi,  attraversando le stupefacenti Gole di Bicaz, nel loro isolamento silenzioso,  umbratile e misterioso, mentre la voce dei torrenti si nasconde nel colmo del  buio delle fitte ed impenetrabili foreste d’abeti e le nuvole calano sulle alte  cime – che nascondono, nei loro anfratti, forse tane di lupi – tanta pittoresca  desolazione, richiama alla mente l’immagine degli altissimi spalti di castelli  issati sullo strapiombo di vertiginosi precipizi e torna, con la languida  musica di Braga, il ricordo della leggenda e della fanciulla e del suo  disperato voivoda… e, mentre un brivido  di nebbia sta per scendere sulla valle, altro brivido attraversa la schiena al  pensiero che, a notte, le gole diverranno, sotto lo spettrale biancicare della  luna, regno incontrastato di pipistrelli e – chissà mai? – di fuochi fatui sfuggiti ai miseri sepolcri  di vecchi cimiteri sperduti sui circostanti pianori, mentre mi accorgo,  passando accanto a piccoli villaggi solitari, che, alle finestre delle case, sono  appese delle ‘cose’ che il buio incipiente m’impedisce di apprezzare  chiaramente… corone d’aglio intrecciato, forse?… L’immaginazione, spesso, fa  vedere ciò che si vuole.
 
 … Ma ecco, in uno splendido mattino di sole, i  monasteri ortodossi della Bucovina: Neamt, antecedente all’epoca della  frescatura esterna, e Humer, Voronet anche detto ‘foglio di pergamena immerso nell’azzurro’, Moldovita e Sucevita col  predominio del verde di fondo alle immagini, venirmi incontro, uno dopo  l’altro, nello sfarzoso rivestimento esterno delle loro pareti interamente  affrescate: i più bei tesori dell’arte feudale di Moldavia, vera Bibbia dei poveri, paradiso anticipato  di  mistica bellezza.
 Qui, dove  l’incenso sale agli altari e costantemente le candeline, ritte nel loro sostegno  di sabbia, bruciano dinanzi alle sacre immagini delle iconostasi, il mio leitmotiv per i Carpazi, considerandone i  contenuti, può aver termine, mentre tutt’attorno trionfa, in lieta, crescente  sinfonia, il verde brillante dei prati, dei monti boscosi e dei giardini  fioriti nei circostanti villaggi dalle case policrome, in cui le donne tessono  e ricamano semplici stoffe che, durante il lungo inverno, con i loro fiori di  seta, parleranno ancora di primavera.
     
 e le nuvole  calano sulle alte cime A salutarmi,  con altra musica, quella dell’acqua, sarà, poi, al termine del mio soggiorno,  il Danubio, con i suoi stormi di pellicani e cormorani in volo, col sorriso  delle ninfee palustri e col molle inchino dei canneti nati sulle mangrovie  lungo le sponde, al passaggio dell’ampia onda mossa dal battello sul quale sto  viaggiando, mentre naviga sul delta, in Dobrugia,  verso il Mar Nero… 
 
 Walter  Scudero(n. 7-8,   luglio-agosto 2013,  anno III)
 
 |  |