«Il poeta è il veltro delle orme del sacro». Versi di Geo Vasile

La silloge psico@terra.pia (Lietocolle, Faloppio 2012) contiene 33 testi poetici in lingua romena, riscritti in italiano dall’autore stesso, non altro che l'italianista di Bucarest Geo Vasile.
Un viaggio spettacolare, fatto di emozioni forti e a tratti sconvolgenti, in compagnia di un Orfeo in perpetua ricerca della sua Euridice, che in realtà non trova mai, il libro ci accompagna nei meandri più impensati dell’animo del poeta, a volte dandoci l’illusione di esserci persi, per poi riprenderci per mano e riaccompagnarci verso l’uscita. Ordine e caos si mischiano di continuo, la vita e la morte si intrecciano quasi in armonia, e così il protagonista diventa ogni uomo del mondo, ogni uomo mai nato sulla Terra, vissuto e morto a volte senza gloria, ma sempre con passione e amore. Il suo dolore diventa antico, tanto che la voce narrativa stessa gli dice: «non sei tu che vivi, ma è Cristo che vive in te» (Anadyomene). Non importa di che dolore si vive e di che morte si muore, la sofferenza umana ripropone sempre il dolore di Cristo, nelle sue infinite sfaccettature. Il protagonista cade nel fango e si rialza un’infinità di volte, a volte rimproverato dal  poeta stesso, muore nel proprio piacere peccaminoso e si redime attraverso l’amore, ancora e ancora, nel tentativo di raggiungere le sfumature più sottili, che sfiorano la divinità, del proprio animo. Lo stesso vale per l’animo femminile che lui non smette mai di cercare, a volte persino scavando nella carne delle donne che la vita gli fa incontrare.
Ma ogni figura femminile resta solo un vago riflesso, una pallida anticipazione di ciò che dovrebbe essere La Donna, colei che incarna la perfezione dell’animo femminile, che riempie i sogni dei poeti e addolcisce le parole delle loro poesie. Lei non si concede mai, ma lascia andare nel mondo innumerevoli copie distorte di sé stessa, maschere, ombre, abbozzi del suo animo misterioso.A volte la donna non ha nemmeno un nome e viene abbozzata con una fugace pennellata, spesso solo attraverso le emozioni che lascia nel poeta, ad altre invece vengono affibbiati dei nomi simbolici, di archetipi, ninfe o personaggi bibblici. Miriam, Dafne, Nefele, Thetis, Dorinda, Melissa, Calipso, Amarillide, Argira, Amarillis, Calisto, Acanta, Iris, Castalia, Euridice, Enona, Argira, Egeria, Filira, Siringa – sono tante facce dell’ideale femminile ancora da scoprire. Seppur intrappolate nelle loro imperfezioni e nella loro umana fatica e sporcizia, la penna del poetariesce a stilizzarle e cristalizzarle in immagini di straordinaria bellezza. È solo lui, alla fine, che riesce a donare magia persino alle cose più misere e spicce della vita. E non può che essere così, perché «il poeta è il veltro/delle orme/del sacro sulla terra,/in assenza del quale/la tenebra regnerà/da monarca/sull’anima dell’uomo...» (Rosso-cinereo pugnale).
In un momento della storia in cui il tempo ci sfugge continuamente tra le dita, intrappolati, come siamo, in mille cose e nessuna, come la società moderna spesso ci vuole, diventa davvero un lusso trovare un’ora di tempo per regalarsi un po’ di respiro, sotto qualunque forma:  una camminata senza meta, solo per respirare l’aria pungente che sa di neve, la sveglia puntata un’ora prima per guardare le prime luci dell’alba, o meglio ancora, il gesto di  prendere in mano un libro di poesia e lasciarsi andare alle emozioni racchiuse tra le sue pagine. Il nostro frenetico stile di vita spesso ci taglia i ponti con la parte migliore di noi stessi. Ma ogni tanto riusciamo a trovare provvisorie oasi di tranquillità e allora questi piccoli miracoli diventano ancora possibili. Il libro di Geo Vasile è un filo di Arianna srotolato nel labirinto della propria anima. Seguitelo. Non vi pentirete.

Ingrid Beatrice Coman


Come Gerusalemme, albedo

scampato al diluvio
di Santorini, caparbie righe, queste
simmetrie tra le coppe e le urne dei seni
della Chimera globulare, la tanto
invocata infantile libidine è uno scherzo psy
se pensi alla ragnatela sugli occhi, alle
vertigini, alla  perdita d’equilibrio quando
ti chini sull’onda per allontanare i segni dei
sogni impuri, le occhiaie del sonno, questo
rito di apparente morte, l’anfora del sangue
celeste benedetto da asce, la luna sotto
monacale tonaca portò il messaggio
anche a te di tragitto
da una sponda all’altra del torrente
della storia
caos, tartaro oppure nigredo,
il tuo credo appena ora un po’ troppo tardi
sfuggire al peso del tempo
lo stato d’innocenza riconquistata
come Gerusalemme, albedo



Precum Ierusalimul, albedo

scăpat din potopul
de la Santorini, obstinate rânduri, aceste
simetrii între cupele şi urnele sânilor
Himerei globulare, atât de
invocata copilăreasca luxurie e o glumă
psy dacă iei seama la pânza de păianjen
de pe ochi, la vertijuri, la pierderea
echilibrului când te apleci deasupra valului
să înlături semnele viselor necurate,
cearcănele somnului, acest rit al morţii
aparente, amfora sângelui ceresc
binecuvântat de securi, sub rasa monahală
luna ţi-a adus şi ţie mesajul de trecere de
pe un ţărm pe celălalt al fluviului
istoriei
haos, iad sau nigredo,
crezul tău abia acum, poate prea târziu,
în despovărarea
de timp, starea de inocenţă recucerită
precum Ierusalimul, albedo




Flessuosa prosodia

l’esodo delle femmine sciamanti
come predatori nel paradiso terrestre

di Komodo, coperte d’un illusorio vestito
atto a mettere in rilievo le più scottanti,
ondeggianti, globulari curve,
ma  loro sanno, tu sai, noi tutti sappiamo
che le forme della carne si sciolgono
con gli anni in macabre caricature,
ciò nonostante attraversi quell’aria strapiena
di feromoni e fosfeni
calamitato dai loro ancheggiamenti,
prosodia flessuosa, ti senti come
un guerriero dissanguato in una
pozzanghera d’argento,
come un paralitico
voglioso di toccare l’agognato altare di
Lourdes... l’altare proibito... la  parte più
pagana, divoratrice sdentata, dipinta da
Courbet: vedasi l’origine del mondo,
musée d’orsay..?

perché si è suicidato il giovane Werther?

tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta ch’ogne lingua deven tremando muta
e li occhi no l’ardiscon di guardare.




Prozodie mlădioasă

exodul femelelor roind precum
prădătorii în paradisul terestru
din Komodo, ambalate într-o rochiţă
iluzorie, numai bună să le scoată-n
relief arzătoarele, unduioasele,
globularele curbe,
dar ele ştiu,
tu ştii, cu toţii ştim că formele cărnii
se topesc odată cu anii în caricaturi
macabre, păşeşti prin acel aer doldora
de feromoni şi fosfeni,
magnetizat de prozodia
onduleurilor zvâcnite din şolduri,
te simţi ca un războinic golit
de sânge în băltoace de- argint,
paralitic dornic s-atingă râvnitul altar
din Lourdes...altarul interzis... partea
păgână, devoratoare edentată, pictată
de Courbet: vezi originea lumii,
musée d’orsay...?

oare de ce s-a sinucis tânărul Werter?

atât de blândă pare, de firească
iubita mea când la salut răspunde
că orice limbă amuţeşte tremurândă
iar ochii nu cutează s-o privească.



Pane e Vino

leggiamo nell’elegia Pane e Vino:
«...e a che servono i poeti in tempi impoveriti?»
abbandonato il mondo dal Dio,
il tramonto volge
verso l’universa notte
adesso nessun dio riunisce intorno a lui
le genti e le cose
la traccia stessa del sacro
sembra fosse svanita,
la non-salvezza già bussa alla porta
fortunatamente solo i poeti
ci portano in regalo
attraverso il loro canto la fragranza
degli dei scomparsi,
proferiscono il sacro, innestano nella poesia
l’essenza della poesia,
spandono sopra la dimora
dei comuni mortali
il canto della pienezza del tempo:
il poeta è il veltro delle orme del sacro,
parola di Hölderlin



Pâine şi Vin

citim în elegia Pâine şi Vin:
“...şi la ce mai sunt buni poeţii în vremuri sărace?”
părăsită fiind lumea de Zeu,
asfinţitul acestor vremuri
vesteşte deja noaptea,
acum niciun zeu nu mai uneşte în jurul lui
oamenii şi lucrurile,
însăşi urma sacrului
pare să fi dispărut,
ameninţarea abisului bate la uşă,
în aceste vremuri sărace doar poeţii
aduc în dar
prin cântecul lor mireasma zeilor dispăruţi,
ei rostesc sacrul, împreunează poezia
cu propria ei esenţă,
răspândesc deasupra
casei muritorilor de rând
cântecul plinătăţii timpului,
poetul este ogarul urmelor sacrului
aşa grăit-a Hölderlin




Sudario del silenzio

annusando il tuo essere angelico
corrotto però dall’anelito di depravazione ad ogni
costo, la ninfa Amarillide ti ha punito
mentre ha fatto finta
di essere il tuo tesoro, comunque in quasi
tutti i tuoi ricordi cala la luna e sorge la morte
con la sua falce gotica, con striscioni di bruma,
di rivoltose parole, enunci scolpiti nel cervello,
ed ora pietà per tutte le stelle mai viste
e per la voce che non ha parole
pietà per tanti tuoi palpiti soffocati
pietà per tua madre
che ti sa vivo ancora
e pertanto non osa chiamarti
perché da solo possa risvegliarti,
quindi di nuovo alla mercé della strada,
pianta putrida destinata a imputridire
non prima di rivolgere un saluto
circolare alle torri del linguaggio pronto a
seppellirsi dentro il sudario del silenzio



Linţoliul tăcerii

adulmecându-ţi angelismul
corupt însă de jindul depravării cu orice preţ,
nimfa Amarillis te-a pedepsit
prefăcându-se că se lasă pe
mâna ta oricum aproape în toate amintirile
tale apune luna şi se-arată moartea cu coasa
ei gotică, cu manifeste de brumă, cuvinte de
protest, enunţuri sculptate în creier,
şi-acum milostenie pentru toate stelele
nicând zărite,
milostenie pentru palpitul tău sufocat
milostenie pentru mama ta
ce te ştie încă în viaţă
iată de ce nu cutează să te strige
pe nume
ca să poţi să te-ntorci din somn singur
aşadar din nou client al străzii,
plantă putredă menită putrezirii
nu înainte de a
adresa un salut circular turnurilor limbajului
numai bun să se-ngroape în linţoliul tăcerii...



Geo Vasile
(n. 5, maggio 2013, anno III)