«Letteratura Spontanea»: italiani e romeni a Monaco di Baviera

Prima di conoscere meglio Giulio Bailetti e l'atmosfera  di quello che si chiama, già da tanti anni, «Letteratura Spontanea», altrimenti detto un salotto letterario, ospitato dall'Istituto Italiano di Cultura di Monaco di Baviera, sapevo che lui era quello che è riuscito a convincere la direzione dell'Istituto ad accettare l'idea di incontri letterari sotto gli auspici dell'Istituto. E ho detto incontri, per descrivere brevemente quello che può vedere «chiunque vi entra» durante una riunione di «Letteratura Spontanea». Un'atmosfera rilassata, calda e amichevole. Un moderatore calmo, ben intenzionato. Nulla di ciò che potrebbe essere chiamato elitarismo, esclusivismo. A questi incontri partecipano non soltanto italiani, ma anche tedeschi, francesi e romeni, però tutti più o meno conoscitori della lingua italiana. Prima di tutto, permettetemi di farvi fare conoscenza con... sì, devo rischiare, invitando a questa discussione «il Padrino» di «Letteratura Spontanea»… il dott. Giulio Bailetti. Letteratura Spontanea di Giulio Bailetti è più di un’iniziativa, è un «crocevia» di sperimentazione, «città di porto» per tutti quelli che amano la Lingua e la Cultura italiana.

Eugen Popin: Carissimo Giulio, sarà molto interessante e sicuramente apprezzato dai lettori della rivista, sapere come e perché si innamora un italiano della lingua italiana.

Giulio Bailetti: Se decidi di vivere all'estero, la lingua che prima ti univa a tutti, ora ti unisce a pochi vicini e a molti lontani. Può così più facilmente capitare di innamorarsi di lei.

Eugen Popin: Raccontami un po’ come e quando è nata l'ideadi «Letteratura Spontanea», e anche del nostro comune amico, l'editore e scrittore Radu Bărbulescu.

Giulio Bailetti: Radu è stato importante. Gli sono piaciute le mie poesie da soldato e le ha pubblicate. È venuto all'inizio per anni ai nostri incontri. Crede nella forza delle parole e questo è molto. L'idea di «Letteratura Spontanea». Un pomeriggio, durante una pausa di un film all'Istituto Italiano di Cultura, esco fuori a fumare. Viene anche la Direttrice d'allora, la Signora Ries-Losengo. Si sa che due fumatori non hanno solo le sigarette in comune. Ci deve evidentemente essere dell'altro. Senza starci molto a pensare, le accenno ad una vaga idea, che mi ronzava da tempo in mente: proporre incontri di «letteratura spontanea» tra italiani e tedeschi. «Spontanea»? La mia compagna di vizio sicuramente non capì abbastanza. Però, ci pensò sopra e dopo un paio di mesi acconsentì, più sulla fiducia che per altro, credo.

Eugen Popin: Perché hai chiamato questi incontri «Letteratura Spontanea»?

Giulio Bailetti: Lo so, spontaneo significa non preparato, una cosa che semplicemente esce istintivamente. E naturalmente una cosa scritta, e letta dopo, non è più spontanea in questa accezione. Scrivere, raccontare e comunicare sono un bisogno fondamentale di tutti. Chi non lo fa, sta male. Non si scherza con questo. Però, tutti lo possono imparare. Coloro che frequentano «Letteratura Spontanea», come è avvenuto per me, hanno fatto molti progressi nel parlare di noi stessi e nello stare bene insieme, pur ciascuno nelle proprie individualità.

Eugen Popin: Ho avuto la soddisfazione di leggere e poi anche di parlare del tuo libro che è stato pubblicato dall'editore Radu Bărbulescu di Monaco di Baviera, in lingua italiana con traduzioni in lingua tedesca e romena. Descrivi brevemente il contenuto dei tuoi libri e della tua attività letteraria.

Giulio Bailetti: Ti devo deludere purtroppo, caro Eugen. Ho scritto tante piccole cose per i nostri incontri presso «Letteratura Spontanea». Ma non le ho pubblicate. Vedremo in futuro.

Eugen Popin: Ho avuto il piacere di conoscere scrittori italiani professionisti che sono a volte presenti a «Letteratura Spontanea». Alcuni vivono in Germania a Monaco di Baviera o nei dintorni. Mi puoi dire qualcosa di loro e della loro attività letteraria?

Giulio Bailetti: Silvia Di Natale, per esempio, vive a Ebersberg, vicino a Monaco. Ora è in Pakistan. Ricevo notizie dal suo Blog riguardanti il viaggio che sta facendo. Scrive per Feltrinelli. Francesco Fioretti è invece ritornato a vivere in Italia. Lui è un «bestseller». Ho avuto occasione di sostituirlo temporaneamente come insegnante in un suo corso d'italiano. I partecipanti al corso mi hanno parlato di lui. L'ho contattato e quindi poi ho avuto l’occasione di conoscerlo personalmente. Quando può, viene ai nostri incontri. Ci si trova bene. 

Eugen Popin: Scusa Giulio, ora e qui mi permetto di citare il commento di Francesco Fioretti nell’intervista con Marinella Vicinanza: «Per me, per esempio, che ormai sono stato risucchiato dall’industria editoriale e devo muovermi tra le classifiche e il marketing, è stata un’esperienza bellissima, l’unica che mi abbia dato l’opportunità di confrontarmi diciamo così con la base, ovvero con il bisogno di letteratura alle sue insorgenze. Non c’è nessun posto come questo in cui si percepisca e si tocchi con mano come quella culturale non sia un’esigenza di lusso, ma proprio un bisogno primario». Vivi già da molti anni a Monaco, hai avuto l'occasione di osservare il modo di evoluzione degli scrittori italiani che vivono in Germania. Come è il modo in cui sono loro percepiti dalla critica letteraria in Italia?

Giulio Bailetti: Chi vive all'estero è salvato proprio dalla distanza. Il rumore di fondo spesso insopportabile, che in Italia impedisce di pensare, qui non c'è. Questo aiuta. Se vivi all'estero, molti sono poi curiosi e ti vogliono anche venire a trovare.

Eugen Popin: Vorrei infine sapere se «Letteratura Spontanea» è una «piccola» Italia per te e per tutti noi, che frequentiamo le predette riunioni qui in Germania.

Giulio Bailetti: Più che una piccola Italia, la definirei una comunità aperta che ama la lingua italiana. E credo che ne valga proprio la pena.


Vedete

Vedete,
mi è successo qualcosa,
di cui devo proprio parlare.
Capitemi,
non è facile,
cercate invece piuttosto
un po’ di aiutare.

Poca fa
c’era con me qualche volta
una donna,
ma non era come con le altre.
Quando lei mi era vicina,
la sentivo,
che mi era vicina.

Lei mi guardava
e mi leggeva i pensieri.
Dovevo fare quindi
molta ma molta
attenzione.
Io la guardavo
e le leggevo i pensieri,
almeno così credevo.

Non so
se è capitato anche a voi.
Lo spero per voi.
È una cosa meravigliosa,
per cui finalmente
vale la pena di vivere.

Le cose che facevamo assieme,
ci riuscivano tutte,
come se fossero state
prima
benedette.
Ma un’ombra era in agguato.

Quest’ombra
non me la sto inventando adesso,
credetemi,
la sentivo allora viva e presente intorno,
incalzante.

Di tanto in tanto
la vedevo nei sui pensieri:
quando rifletteva,
quando cercava di capire,
che cosa mai diavolo le stesse
succedendo con me,

quando cercava di ritrovare
disperatamente
la sua abituale chiarezza,

o quando scuoteva
impercettibilmente la testa,
senza sospettare
che io me ne accorgessi,

quando lei improvvisamente
diventava seria
e diceva
di doversene
proprio
andare via
subito,

quando non mi riusciva più
di farla ridere,
con quel suo sorriso divino.
Era allora che l’ombra
me la prendeva.

Poi un giorno mi disse:
“Caro, tu sei un sogno.
Non puoi essere vero!”
Ma si vedeva bene,
che non era lei,
che parlava.

Conosco bene la sua voce
e sicuramente quelle poi
non potevano essere
le sue parole,
ve lo giuro.

Era solo quella solita, maledetta
ombra,
che me la stava portando via

per sempre
e che sparlava.              



La poesia ed il dono

La poesia è quell’animale femmina
così sensibile
e suscettibile,
che quando tu fai
anche solo un cenno,
che la vorresti addirittura pagare,
allora lei
dispettosa
più veloce
scompare.
Per usare la lingua dei
giuristi, 
pare che la poesia
abbia in sé
irrimediabilmente
essenza di negozio a titolo gratuito,
del genere insomma della
donazione.




Elogio della povertà

Per esempio non ti senti mai pesante e depresso. Non puoi. Sei troppo impegnato a galleggiare. Quindi sei sempre leggerissimo.
Nessuno ti sfrutta. Non possono. Manca l’oggetto necessario a tale azione. Se qualcuno ti parla è sicuro almeno che non vuole di preciso una cosa.
Del fastidioso sentimento dell’invidia poi, nemmeno a parlarne. Ed è molto bello vivere senza alcuna invidia. Scende ed a volte anche sale una gran pace.
Se sei creditore, diciamo che i tuoi debitori non tiferanno troppo, affinché tu ti mantenga sano e felice in vita. Si percepisce piuttosto distintamente spesso della rabbia e perfino dell’astio attorno. E questo non fa bene.
Se sei debitore, i creditori si preoccupano invece di te e delle tue condizioni. C’è tanto affetto e tanta solidarietà intorno. La qualità della vita di certo ne guadagna.
Hai un buonissimo rapporto con gli immigrati, per fare un altro esempio. Con te loro si aprono e vieni a sapere tante cose belle e vere, di cui si sa sempre troppo poco. Tu resti un indigeno sì, ma sei anche un po’ come loro.
Non c’è poi sicuramente nessuno concentrato sulla tua successione per causa di morte. Manca infatti il patrimonio ereditario. E quest’assenza facilita e semplifica di molto tutti i tuoi bei rapporti, anche quelli familiari.  
Se sei povero ma distinto poi, comunichi bene anche con i ricchi. Loro apprezzano molto la compagnia di qualcuno che finalmente non li invidia affatto. Con te si rilassano un poco e gli fa pure di sicuro tanto bene.
Il lavoro ce l’hai e ti piace. Certo, non ci fai dei gran soldi. Non vendi infatti semplici cose o determinati servizi, quanto piuttosto un approccio alla vita, difficile da valutare e quantificare correttamente.
Ma tant’è.



(n. 6, giugno 2013, anno III)