«La poesia è qualcos’altro?». Mircea Ivănescu, oltre il modernismo

Se vivessimo su una penisola, dondolati / dalle acque con le infrante luci grigie dell’oceano…

Nel grande contenitore della poesia romena contemporanea, gli anni ’60 e ’70 sembrano rappresentare un punto di convergenza di una certa importanza e bastano pochi nomi di poeti che hanno debuttato in quel decennio per capirne l’entità. Proprio nel 1960, per citare qualche esordiente, debutta Nichita Stănescu, la cui opera poetica rappresenterà una prima forma – innovatrice – di disobbedienza estetica (all’estetica del realismo socialista) cui seguirà la stesura del manifesto poetico del circolo onirico (con Dumitru Țepeneag, Leon Dimov ecc. nel 1964) e, nel 1968, il debutto di Virgil Mazilescu.
Sempre nel 1968 sarà la volta anche di Mircea Ivănescu, che debutta con il volume di poesia Versi (Versuri) e che, a dispetto dell’apparente marginalità iniziale, saprà esercitare un profondo fascino sulle generazioni poetiche successive, come ha potuto solo (secondo il critico Al. Cistelecan) Nichita Stănescu: una seduzione lenta e tardiva quella di Ivănescu, come fosse una persuasione progressiva, oltre la quale, Stănescu e Ivănescu non sembra abbiano altro in comune. Ivănescu, in effetti, sembra non avere molto in comune con nessuno dei suoi «coetanei»; se la lirica degli anni ’60 (dal modernismo di Stănescu fino allo sperimentalismo del circolo onirico) è declamativa e visionaria, immaginifica, piena di entusiasmo creativo, la formula personale di Ivănescu può essere definita (molti hanno avuto la tentazione di farlo) post-modernista, realmente oltre il modernismo.

Mircea Ivănescu nasce nel 1931 nasce a Bucarest, città dove nel 1954 termina la Facoltà di Filologia (indirizzo francese). Nel 1968 debutta alle Edizioni per la Letteratura con il volume Versi, quasi dieci anni dopo il debutto su rivista «Steaua», con la poesia Pioggia (Ploaia), e da questo momento pubblicherà una raccolta di poesie all’anno Seguono, nel 1970, altri due volumi di poesie, pubblicati quasi allo stesso tempo, Poemi (Poeme) per la casa editrice Eminescu e Poesie (Poesii). Nel 1972 riceve il Premio dell’Associazione degli Scrittori di Bucarest per la poesia e pubblica Altri Versi (Alte versuri) e, nel 1973 Altri Poemi (Alte Poeme) e Poema (Poem); sempre nello stesso anno, con Florin Pucă e Leonid Dimov, pubblica il volume Ricordi (Amintiri). Dal 1975 al 1986, pubblicherà rispettivamente: Altre Poesie (Alte poesii), Poesie nuove (Poesii nouă), Poemi nuovi (Poemi nouă), e nel 1986, Altri Poemi nuovi (Altri Poemi nouă). Sempre nello stesso anno, appare nella traduzione di Ivănescu l’antologia Poesia americana moderna e contemporanea, un libro principale per le nuove generazioni di poeti. Ancora, tra il 1988 e il 1989, è la volta di Versi vecchi, nuovi (Versi vecchi, nouă) e di Poemi vecchi, nuovi (Poemi vecchi, nouă). Nel 2006 riceve il Premio per l’opera omnia della rivista România Literară, il Premio «Gheorghe Crăciun» della rivista «Observator Cultural». Si spegne il 21 luglio del 2011, non prima di aver concluso il dialogo con Gabriel Liiceanu che, un anno più tardi, diventerà volume, Le maschere di M. I.: Gabriel Liiceanu in dialogo con Mircea Ivănescu (Măștile lui M. I.: Gabriel Liiceanu în dialog cu Mircea Ivănescu), nel 2012 per la Casa Editrice Humanitas.

Mircea Ivănescu, oltre che poeta, è stato uno dei maggiori traduttori di letteratura anglo-americana e questo non è solo un dato biografico: il contatto con Faulkner, Eliot, Pound, Joyce, Rilke, Sylvia Plath, ecc. (in anni in cui, per di più, l’accesso alla letteratura straniera era molto limitato) è già da sé una risorsa di suggestioni e possibilità nuove, contaminazioni che concorrono, in un modo o nell’altro, alla nascita di una poetica del tutto singolare. Nelle poesie di Ivănescu, l’entusiasmo creativo – modernista – è ridotto a zero, annullato e sostituito da un voluto appiattimento (i titoli delle numerose opere pubblicate, tutti simili tra loro, Versi, Poemi, Altri Versi, Altri Poemi e via dicendo, ne sono dimostrazione) in cui l’io poetico è una voce marginale che non ha nulla da declamare, un io inconsistente, evanescente, che preferisce commentare e, per questo, in grado solo di ripetere, riscrivere, riprendere.
Nella pratica poetica concreta, Ivănescu sembra prendere sempre spunto dal libresco per descrivere momenti di vita quotidiana dei più banali e, allo stesso tempo, per proteggere la soggettività del suo stesso punto di vista, appena riverberato ai margini. Questa strategia stilistica riflette a sua volta un dato basilare della poetica di Ivănescu, vale a dire la percezione della propria vita come libresco, e di se stesso come di una maschera. Il poeta Ivănescu si sente ostaggio del cliché letterario, sentimentale, generalmente esistenziale, in cui egli considera la letteratura (in realtà, il tutto, giacché tutto è letteratura) una grande menzogna che grava «sulla coscienza del poeta». La poesia, perciò, deve avere l’intento di passare attraverso le tecniche e strategie di «menzogna» della letteratura, fino alla verità, all’autenticità, e la parola poetica quello di diventare a sua volta «autentica», strumento di autentificazione esistenziale e di equilibrio tra vita reale e letteraria, tra identità e maschera. Tutto questo ci restituisce un’opera finemente intrecciata, di rara delicatezza e ironia, unica nello stile e nel garbo lirico, il cui fascino, discreto, rimane indelebile nel panorama contemporaneo romeno.

Parte della presentazione e dei testi tradotti appartengono a un’antologia in corso di pubblicazione presso la casa editrice Pavesiana, in cui sono stati selezionati e raccolti testi di Mircea Ivănescu, Virgil Mazilescu, Daniel Turcea, Octavian Soviany, Ioan Es. Pop e Constantin Acosmei.




La poesia è qualcos’altro?

Non devi raccontare in poesia – ho letto
un consiglio rivolto a un giovane poeta – quindi non racconto
di come, molto presto, lei si svegliava al mattino e mettendosi a sedere sul letto
aspettava che il respiro le tornasse normale, con il volto tra le mani –
non una parola sul suo viso talmente stanco
da curvarle le spalle, di fronte allo specchio, mentre
si pettinava piano. Che non sia testimone delle mie paure
accanto al suo volto alienato, girato dall’altra parte.
Che non vada in giro con i versi, in mano come lo specchio
in cui si riflettono quelle mattine di luce grigia
prima dell’alba. La poesia non deve essere rappresentazione,
serie di immagini – così scrive. La poesia
deve essere discorso interiore. Ossia
sempre io a parlare del suo volto mentre soffoca, mentre cerca
di respirare? Però allora sarebbe solo il modo in cui io parlo
del suo volto, dei movimenti rallentati fra strati
di rimorsi confusi, di pensieri solo i miei,
dell’immagine di lei – sarebbe solo un viso, un’immagine –
e lei – la sua vera essenza allora?



Poezia e altceva?

Nu trebuie să povestești în poezie – am citit
un sfat către un tânăr poet – deci să nu povestesc
cum, foarte devreme, ea se scula dimineața, și așezându-se pe pat
așteapta să i se lineștească respirația, cu fața în mâini –
să nu spun nimic despre chipul ei atâta de obosit
încât i se încovoiau umerii, în fața oglinzii, când
se pieptăna încet. Să nu-mi mărturisesc spaimele
lângă fața ei înstrăinată, întoarsă de la mine.
Să nu umblu cu versuri, ca și cu oglinda în mâini
în care se răsfrâng acele dimineți cu lumina cenușie
dinainte de zori. Poezia nu trebuie să fie reprezentare,
serie de imagini – așa scrie. Poezia
trebuie să fie vorbire interioară. Adică
tot eu să vorbesc despre fața ei înecându-se, căutându-și
respirația? Însă atunci ar fi numai felul în care eu vorbesc
despre fața ei, despre mișcările încetinite prin straturi
de remușcări tulburi, de gânduri doar ale mele,
ale imaginii ei – ar fi numai un chip, o imagine –
și ea – adevărata ei ființă atunci?




Malte Laurids Brigge

La cosa più semplice, allora, sarebbe
prenderci la testa con le mani, nasconderci,
voglio dire, il volto tra le mani. E, allora, ciò che si nasconde
dietro le mani sarebbe proprio il nostro volto.
Ma ognuno di noi ha più di un volto (l’ho letto
anche in un libro sui visi usati, crepati,
portati troppo a lungo, che ci si mette da casa
e alcuni dimenticano perfino di sistemarselo in un qualche mattino
ed escono senza faccia per strada. Solo che questo
è, diciamo noi, letteratura). Si nasconderebbe allora il mio volto
dietro le mani, se tengo la testa tra i palmi.
E possiamo anche ridere così, con la testa nascosta.



Malte Laurids Brigge

Cel mai simplu lucru, atunci, ar fi
să ne luăm cu mâinile de cap, să ne ascundem
adică fața în mâini. Și, atunci, ceea ce se ascunde
înapoia mâinilor ar fi chiar fața noastră.
Dar fiecare din noi avem mai multe fețe (am citit
și într-o carte despre chipurile uzate, crăpate,
purtate prea mult, pe care și le pun de acasă
și unii chiar uită să și le așeze în câte o dimineață
și ies fără față pe stradă. Numai că asta
este, spunem noi, literatură). Mi s-ar ascunde deci fața
înapoia mâinilor, dacă-mi iau capul în palme.
Și putem să și râdem așa, cu capul ascuns.




Falsa evanescenza

Scompaiono cose di ogni tipo intorno a noi – e sentimenti,
e creature – e noi, che siamo in mezzo, e li guardiamo
sparire e lasciare vuoti, e i vuoti riempirsi
come bottiglie, di ricordi che prendono la forma di questi vuoti,
vale a dire di questi sentimenti persi (oppure solo un’apparenza
di quelle creature che sono sparite – perché un essere vivente
non torna a farsi dai ricordi –) noi che siamo
al centro rimaniamo sempre soli.
Solo che i ricordi – ci sembra – ci fanno
dimenticare quanto soli, e ancora più soli rimaniamo.



Falsă evanescență

Dispar tot felul de lucruri în jurul nostru – și sentimente,
și ființe – și noi, cei care stăm la mijloc, și ne uităm
cum pier, și lasă goluri, și cum golurile se umplu
ca niște sticle, cu amintiri care iau forma acestor goluri,
adică a acestor sentimente pierdute (sau numai o aparență
a acelor ființe care au pierit – pentru că o ființă
nu se face din nou din amintiri –) noi cei care stăm
la mijloc rămânem mereu singuri.
Numai că amintirile – ni se pare nouă – ne fac
să uităm cât de singuri, și încă mai singuri rămânem.




Ritorno

Torniamo sempre, sempre ritroviamo un medesimo
volto del vivere che abbiamo già conosciuto una volta,
e ogni volta ci accoglie un enorme silenzio,
come quello di un enorme urlo d’organo a salire intorno a noi,
e di colpo scivola via dal nostro corpo tutto ciò che
è temporaneo, e un istante – ci viene quasi da dire
che siamo liberi – altri.
Però certo che esiste lo scorrere
del tempo – e allora – anche il ritorno
passerà anche lui – e rimarremo gli stessi –
(che penseresti se una notte, un giorno,
nella più solitaria delle tue solitudini,
un demone venisse e ti dicesse – questo momento
– e tutto ciò che succederà allora – e capiresti
che tutto torna, senza fine, fino a quando
anche il ritorno sarà la stessa partenza – da cui aspetti
invano – nemmeno sai più cosa). Ecco, adesso
il volto del tempo (di cui ho scritto in passato che
si volta dall’altra parte) adesso torna
e ci guarda fisso, freddo, in faccia, è qui
prima di noi.
E che paura,
quando incontriamo di nuovo la stessa nostra immagine sul tempo
e su ciò che sarebbe potuto essere altro – voglio dire
un individuo con un’altra luce, con un altro sorriso.



Reîntoarcere

Ne întoarcem mereu, mereu regăsim o aceeași
față a trăirii pe care-am mai cunoscut-o demult,
și de fiecare dată ne-ntâmpină o uriașă tăcere,
ca a unui țipăt uriaș de orgă, urcându-ne în jur,
și dintr-o dată alunecă de pe trupul nostru tot ceea ce
este vremelnic, și o clipă – aproape ne vine să spunem
că suntem eliberați – alții.
                                       Însă sigur că există trecerea
timpului – și atunci – și reîntoarcerea
va trece și ea – și rămânem aceiași –
(ce-ai gândi dacă într-o noapte, într-o zi,
în cea mai singuratică dintre singurătățile tale,
un demon ar veni și ți-ar spune – ceasul acesta
– și tot ce urmează acolo – și-ai înțelege
că totul se reîntoarce, fără sfârșit, până când
și reîntoarcerea este aceeași plecare – de la care aștepți
zadarnic – nici nu mai știi). Iată, acum
fața timpului (despre care am scris altădată
că se întoarce de la noi) acum revine
și ne privește fix, rece, în față, este aici
înaintea noastră.
Și ce spaimă,
când reîntâlnim aceeași închipuire a noastră despre timp
și despre ceea ce ar fi putut să fie altceva – adică
o ființă cu o altă lumină, cu un alt surâs.




Piazza di pietre

Tentiamo ancora ciò che, da tanto,
vogliamo sempre fare – seguire nel tempo
il sorriso di una creatura, fermo per un istante, quando ha rivolto
la testa verso di noi, oppure, non sapendo neppure di noi,
è rimasta un istante con il volto immerso nella luce.
Diciamo – il sorriso di questa creatura, che
conosciamo così bene (eppure di lei
noi sappiamo appena che alle volte ride – o che lentamente
le si illuminano gli occhi) – se fosse
questo sorriso una casualità, un pensiero nostro,
il nostro passaggio per una piazza di pietrisco fine,
una sera d’inizio estate – e siccome c’era
una luce terribilmente opaca a venir giù sulle baracche
del mercato – e siccome c’era una donna giovanissima ad attraversare
la piazza, simile a un vecchio pensiero dei nostri, e siccome
sapevamo (poiché ci teniamo al riparo dal libresco)
che è tutta una mezogna – e siccome questa sera si distende
per sempre su tutti i giorni a venire –
e siccome questo significa – non significa – nemmeno
sai più cosa – 



Piață cu pietre

Să încercăm iarăși ceea ce, de atâta vreme,
vrem mereu să facem – să urmărim în timp
surâsul unei ființe, oprit o clipă, când și-a întors
capul spre noi, sau, nici măcar știind despre noi,
a fost o clipă cu fața în lumină.
Să spunem – surâsul acestei ființe, pe care
atât de bine îl știm (dar despre ea
noi nu știm decât că uneori râde – sau că încet
i se luminează ochii) – dacă ar fi
surâsul acesta o întâmplare, o închipuire de-a noastră,
trecerea noastră printr-o piață mărunt pietrită,
într-o seară de la începutul verii – și cum era
o foarte mată lumină coborând pe barăcile
târgului – și cum era o femeie foarte tânără traversând
piața, asemenea unui gând vechi de-al nostru, și cum
știam (pentru că ne ferim de livresc)
că e totul minciună – și cum seara aceasta se așeza
pentru totdeauna peste toate zilele care aveau să urmeze –
și cum asta înseamna – nu înseamna – nici nu
mai știam ce –



Presentazione e traduzione di Clara Mitola
(n. 6, giugno 2015, anno V)