I disagi del viaggio. Versi di Paolo Polvani

Con il titolo I disagi del viaggio, presentiamo una selezione di versi del poeta Paolo Polvani. «Il disagio del viaggio – scrive egli – è il disagio della solitudine, della marginalità, dei sentimenti d'intolleranza e di odio, sono le situazioni che viviamo ogni giorno, e riguardano tutti, non solo gli emigrati e gli extracomunitari».

 


Natale

Forse è il sorriso la maniera più saggia
di stare al mondo.  Lei si chiama Mihaela.
Il suo sorriso non nasce dal rotolarsi
in un letto con un fidanzato, gridando
di gioia, o dall'estenuarsi nelle discoteche
barcollando con un bicchiere in mano,
oppure dal cicaleccio fitto di compagne,
o dallo spiare con commozione una ruga nuova sul volto
della madre, in una casa calda, ed è Natale,
no, lei sorride e fa la badante a una vecchia pazza
che le rinfaccia il suo essere rumena, che hanno dovuto
mentirle, dirle che viene dalla Russia,
perché lei non l'avrebbe presa una rumena, con tutto quello
che si dice in giro. Mihaela sorride, ed è Natale.




Amicizia

Chissà se avrà gradito il vino
il senegalese signor Ass che diceva:
in inglese mio nome vuole dire culo,
e rideva coi grossi denti non più bianchi
e i quattro figli e le due mogli di cui una in Senegal
l'altra a San Benedetto, e la ruggine del cantiere navale
a Fano e le provviste di riso e pesce
e il braccialetto con inciso il nome.

Ha migliorato la pronuncia dell'unica parola
che so in senegalese: m'buru che vuol dire pane.
Come ti chiami,  ha chiesto, così un giorno
quando ci rivediamo potrò chiamarti da lontano.
Oltre il finestrino sfilava un mare azzurro
e il signor Ass diceva: amicizia vuol dire sopravvivere




Kosovo

Il kosovaro baffuto qui fa il benzinaio.
Nell'occhio staziona una preoccupazione, certo
i soldi sono pochi, certo il Kosovo è lontano.

La moglie  smonta dall'intercity
col trofeo della capigliatura.
Gli deposita un bacio, una promessa
di felicità domestica.

Il benzinaio è per natura austero, ma
lo sguardo un attimo s'accende, adesso
il Kosovo è qui, che galoppa, nei baffi.




Ivana lavora a Modena

Un mattino affondato nel gelo
i singhiozzi del motore, gonfi di lunedì
di nebbia di trattorie di camion
e la fatica dell’alba in mezzo a una luce di biancheria stesa


aggrappato al finestrino l’appennino bianco e assoluto


il freddo e poche orme nella neve, uno sparuto
stormo di uccelli neri, un albero spoglio abbracciato stretto
al gelo dell’aria




Panca

La resa s'abbarbica al silenzio.
Spargono indizi
calzini bianchi e un berretto rosso
di lana.  Dorme.

Deragliato in un'ansa di sonno.
E' la stazione di Ancona, è mezzanotte, piove.

Si è dimenticato di sé.
  
La pioggia attraversa la luce obliqua dei fanali,
lo stridore convulso dei freni, i forsennati
richiami. La ferocia distante dei carri
e i container che contengono il vuoto del mondo.

(Ansimare. Il perdurare
di una pausa)

Il buio evidenzia i suoi labirinti.
 In un misterioso punto del percorso
c'è la sagacia di un berretto rosso.

Contro il legno di una panca
quell'uomo agita l'enigma di una giacca corta.




Una penna verde

Semplicemente sento scorrere la vita
mentre l'uomo solo in treno
accanto a me è intento alle parole crociate
e pensa forse a un gatto che l'aspetta a casa
grigio e prepotente, e ha solo lui, e un cappotto
dimesso, stanco di portarlo in giro sui treni,
solo e con quell'idea del gatto nella testa.

C'è anche un sole molto violento, un sole di gennaio
che un po' ci riscalda e un po' ci ubriaca
e io ho una penna verde e aspettiamo la partenza per Matera.




Strategie di un giovane rom

Il giovane rom aveva il sangue dello stesso colore
del suo, e questo al ragazzo rasato dava molto fastidio.
All'altezza dello zigomo, scorreva lento, denso, sembrava
il suo,  forse voleva imitarlo, si diceva,
tutta una messinscena, evidente, una finta,
anche le urla,sembravano le sue da bambino, quando
il  padre gridava per casa e il terrore
era quella cinghia brandita.  Ma il giovane rom
rubava, era programmato per quello, punirlo
un dovere sociale.  Il ragazzo rasato affondava
la punta degli anfibi, sentiva le costole cedere,
le ossa sembravano di essere umano ma
anche questo rientrava in una strategia precisa,
nella manovra di impietosirlo, bastava insistere, solo
un poco ancora, e il giovane rom
avrebbe smesso di respirare, avrebbe
finalmente smesso di somigliare a lui.




Buongiorno
  
Al suo paese Aziz è un ingegnere.
Qui fa il lavavetri a un incrocio,
ai semafori di via regina Margherita.

E' abituato ai dinieghi Aziz, li scorge
oltre i parabrezza, a volte
somigliano a minacce.

Nessuno gli ha mai detto:  Buongiorno ingegnere !

Del resto non è scritto
sulla bottiglia con l'acqua e con la schiuma,
sul raschiello, sulle mani e nemmeno
sul viso in bilico tra il sorriso e la disperazione.

Però nessuno gli ha neanche detto:  Buongiorno Aziz !
A pensarci bene nessuno gli ha mai detto:  Buongiorno.



(n. 7, luglio 2012, anno II)