Radu Vancu, Quattro villanelle

Presentiamo al lettore italiano alcuni pregevoli, finemente cesellati testi (pur così inquietanti, come delitti compiuti ad arte, con una determinazione formale e una disumana perfezione stilistica che fanno pesare a Sade o a Poe) di Radu Vancu (n. 1978), uno dei più significativi poeti romeni dell'ultima generazione. Ha finora pubblicato sei raccolte di poesia: Epistole pentru Camelia (Epistole per Camelia), Imago, Sibiu 2002; Biographia litteraria, Vinea, Bucarest 2006; Monstrul fericit (Il mostro felice), Cartier, Chisinau 2009; Sebastian in vis (Sebastian nel sogno), Tracus Arte, Bucarest 2010; Amintiri pentru tatal meu (Ricordi per mio padre), Vinea, Bucarest 2010, e Franghia inflorita (La corda fiorita), Casa de Editură Max Blecher, Bistrita 2012. È inoltre coautore dell’antologia poetica Cele mai frumoase poezii (Le poesie più belle), Tracus Arte, Bucarest 2011, 2012, 2013.
Nella raccolta Frânghia înflorită (La corda fiorita, Casa de editură Max Blecher, Bucarest, 2012), di cui si può leggere qui, nella limpida versione italiana di Eliza Macadan, una selezione, il poeta rimodula, come in un'eco distante, volutamente turbata ed alterata, la terzina dantesca e pasoliniana, facendone misura espressiva di un pensiero ossessivo, di un ciclico ed angosciante ritorno dei morti e ai morti nella dimensione sospesa del sogno («Ce-ţi spune unul dintre morţii tăi / cei mai dragi, cel mai iubit dintre morţi, / când te lasă inima să-l visezi: // „Dragule, în ziua aia când soarele de noiembrie / era călduţ ca un cadavru proaspăt / şi eu îţi muream în braţe / nu-mi închipuiam că aici, / unde totu-i înfricoşător de bine, / e un aer tare ca votca»: «Cosa ti dice uno dei tuoi morti / più cari, il più amato fra i morti, / quando il cuore te lo lascia sognare: / “Caro, quel giorno quando il sole di novembre / era tiepido come un corpo appena spento / e io ti morivo fra le braccia / non mi figuravo che qui, / dove tutto è tremendamente buono, / ci fosse un'aria greve come grappa»).
Ora, la forma è quella della villanella, canto di origine popolare napoletana, ma già passato attraverso numerose trasfigurazioni e riletture, anche otto-novecentesche, dal Parnasse al Novecento, da Banville a Leconte de Lisle, da Auden a Sylvia Plath a Dylan Thomas (ossia dalla cantabilità levigata, quasi neo-settecentesca, gelidamente ironica, dei cultori ottocenteschi della perfezione formale ad alcune delle voci più tormentate, visionarie e scavate della contemporaneità).
Nella Plath, il reiterarsi (non più musicale ormai, non più melodioso e rassicurante, ma semmai ossessivo come un tarlo, una scheggia nella carne, una freudiana coazione a ripetere) delle parole e delle formule ritmiche, nel momento stesso in cui tenta l'impossibile rievocazione della eterna ciclicità della natura, segna invece l'alternarsi, nel pensiero, dell'illusione e della nullificazione, della felicità sognata e della sua distruzione («I shut my eyes and all the world drops dead. / I think I made you up inside my head»: «Chiudo gli occhi e precipita il mondo nella morte / Nella mia mente, credo, ti ho creato»).
Ma è a Dylan Thomas che si deve quella che è forse la più celebre villanella della poesia contemporanea («Do not go gentle into that good night, / Old age should burn and rave at close of day; / Rage, rage against the dying of the light»: «Non scivolare inerte in quella mite notte, / arda l'età tarda, e faccia del crepuscolo un'orgia; / Ringhia, ringhia contro la luce che tramonta»), vicina ai versi di Vancu per l'ipnotico ricorrere, e rincorrersi, di formule rime assonanze (al cui rispecchiamento ho a volte sacrificato la fedeltà alla lettera) che avvolgono e modellano l'intrico di amore e morte, di tenebre e luce (si può pensare, ma qui in chiave del tutto terrena, senza illusioni metafisiche, alla via tenebrarum, alla noche oscura del alma, proprie dei mistici – ma si potrebbero citare, nel mondo romeno, certi versi di Lucian Blaga sulle «meraviglie della tenebra», minunile-ntunericului, sull'attesa della notte, del buio, dell'angoscia necessari perché in essi si accendano e ardano, per contrasto, gli astri nitidi del pensiero e dell'intuizione).
Anche una forma che pare ormai svuotata, ridotta a curiosità folclorica, a reperto erudito o ad esercizio virtuosistico, può recuperare una nuova, insospettabile ed incessante, vitalità: vitalità un tempo popolare, ingenua, sorgiva, ora inevitabilmente filtrata, polverosa, cupa ed inquietante, forse, come quella di un revenant, di un morto sopravvissuto a se stesso, che ritorna nei sogni come sulle pagine, nei pensieri come nei versi con i loro refrain insistiti ed ossessivi.
Refrain che, a dire il vero, non suggellano, qui, alcuna «circulata melodia», non sono disegno o confine di compiutezza formale; essi suonano, piuttosto, quasi come un controcanto insistito, un sommesso sommerso mormorio, che l'occhio del lettore è indotto a percepire come una seconda voce: un sostrato persistente ma diveniente, un fluire quasi impercettibile, ma costante, di pensieri subconsci legati in catene, sempre sottesi alla voce principale, al filo apparente del discorso.
Per tentare di preservare questo elemento, direi questo sortilegio, formali, ho cercato di ricalcare lo schema delle rime, talvolta sostituendole con assonanze, consonanze o echi imperfetti, anche a costo di venir meno alla fedeltà letterale. In rari casi come in questo, credo, la forma è di per sé, volutamente, portatrice di significato, anzi quasi tramite stesso dell'alienazione del pensiero da se stesso, dell'excessus mentis sprofondato nell'eternità del nulla.


Dalla reccolta Biographia litteraria

prima villanella d'amore

non puoi sapere quando la luce è veramente luce
o soltanto il morire delle tenebre mentre
la tua assenza si fa di giorno in giorno più atroce.

perciò entra in me lo sguardo che traluce
dai tuoi occhi verdi di tenebra ardente
non puoi sapere quando la luce è veramente luce.

nudo, il tuo notturno seno si fa nelle mie mani ansante voce
e i nostri corpi divengono uno solo dolcemente -
la tua assenza si fa di giorno in giorno più atroce -,

poi, il tuo notturno seno diviene alla mia anima croce
e ferita. Le luci da lei stillano in canto.
(non puoi sapere quando la luce è veramente luce.)

prendi l'anima ferita nella mano che riluce
e la delibi come un vapore, in un unico incanto.
la tua assenza si fa di giorno in giorno più atroce.

sulla tua pelle la notte come spuma sottile s'induce.
sul fondo, riluce la mia anima come un pensiero infranto.
non puoi sapere quando la luce è veramente luce.
la tua assenza si fa di giorno in giorno più atroce.




întâia villanellă de amor

nu poţi şti când lumina e-ntr-adevăr lumină
ori numai moartea dulce-ntunericului când
absenţa ta se face din ce în ce mai plină.

deşi coboară-n mine privirea cea satină
a ochilor tăi verzi, întunecat arzând,
nu poţi şti când lumina e-ntr-adevăr lumină.

goi, sânii tăi noptatici în mână îmi suspină
şi trupurile noastre se-ngemănează blând -
absenţa ta se face din ce în ce mai plină -,

apoi, sânii noptatici de suflet mi se-anină
şi-l sfâşie. lumini ţâşnesc din el cântând.
(nu poţi şti când lumina e-ntr-adevăr lumină.)

iei sfâşiatul suflet în mâna cristalină
şi-l sorbi ca pe un abur, din doi unul făcând.
absenţa ta se face din ce în ce mai plină.

pe pielea ta e noaptea o spumă tot mai fină.
sub ea, sufletul meu luceşte ca un gând.
nu poţi şti când lumina e-ntr-adevăr lumină.
absenţa ta se face din ce în ce mai plină.




seconda villanella d'amore

cade la pioggia in nere parvenze sui tuoi gesti intrisi.
più fonda è la notte come quella del cuore, eppure
più della notte è fonda la luce da cui siamo accesi.

ridi, e il tuo riso è il minuscolo spirito di diluvi più estesi; 
la tua chioma impregnata la scuoti con suono candido e chiaro.
cade la pioggia in nere parvenze sui tuoi gesti intrisi.

oscuramente il tuo passo si specchia nelle fangose distese,
dalla pozza della notte profonda risorgi come alchemico oro.
più della notte è fonda la luce da cui siamo accesi.

palpitano le tue parole lucenti e il loro sciame proteso
muta la notte opaca in un luminoso poema di cinereo ardore. 
cade la pioggia in nere parvenze sui tuoi gesti intrisi.

lungo l'angusto sentiero solamente noi due siamo attesi
con la natività della luna alle orfiche tartaree dimore.
più della notte è fonda la luce da cui siamo accesi.

dolce un pianto riversa la luna su noi di luci soffuse,
vano è dunque che nella notte infinita la luce arda ancora:
cade la pioggia in nere parvenze sui tuoi gesti intrisi.
più della notte è fonda la luce da cui siamo accesi.




a doua villanellă de amor

ploaia cade-n forme negre peste gesturile-ţi moi.
mai adâncă este noaptea ca a sufletului, dar     
decât noaptea mai adâncă e lumina din noi doi.

râzi, şi râsul tău mic este duhul infinitei ploi;
ude, buclele le scuturi cu un sunet alb şi clar.
ploaia cade-n forme negre peste gesturile-ţi moi.

pasul tău se oglindeşte-n mod hermetic în noroi,
din mocirla nopţii-adânce creşti, alchimic aur, iar.
decât noaptea mai adâncă e lumina din noi doi.

vorbele tale lucente pâlpâie şi al lor roi
schimbă noaptea mată într-un scintilant poem de jar.
ploaia cade-n forme negre peste gesturile-ţi moi.

pe aleea cea îngustă suntem doar noi amândoi
şi cu luna ce răsare peste liricul tartar.
decât noaptea mai adâncă e lumina din noi doi.

luna plânge lacrimi blânde de lumină peste noi,
însă-n noaptea infinită e lumina în zadar:
ploaia cade-n forme negre peste gesturile-ţi moi.
decât noaptea mai adâncă e lumina din noi doi.




terza villanella d'amore

ora so che non è luce la mia luce
ma il malvagio brillare della tenebra quando
carnalmente come un'anima innanzi si produce.

come il rimorso il suo acre veleno introduce
in me vaste bolge di memoria scavando,
ora so che non è luce la mia luce.

come con la plastilina giocano mani mordaci
con la memoria che in frante forme a quando a quando
carnalmente come un'anima innanzi si produce.

l'inferno è chimera in cui giù si conduce
la mia lurida psiche il paradiso sognando.
ora so che non è luce la mia luce.

all'orlo dell'essere il mio essere come trama si cuce
come diabolico gorgo, sotto di esso turpemente crescendo,
carnalmente come un'anima innanzi si produce.

in me l'inferno come enigma intrecciato s'introduce 
la mia immagine sempre infine componendo.
ora so che non è luce la mia luce -
carnalmente come un'anima innanzi si produce




a treia villanellă de amor

acum ştiu că lumina mea nu este lumină
ci reaua strălucire-a-ntunericului când
în carne ca un suflet începe să parvină.

cum remuşcarea-şi varsă otrava ei salină
în mine bolgii ample de amintiri iscând,
acum ştiu ca lumina mea nu este lumină.

maligne mâini se joacă precum cu plastilină
cu amintiri ce-n forme stricate rând pe rând
în carne ca un suflet încep să îmi parvină.

infernul e un idol la care închină
scârboasa mea psihee la paradis visând.
acum ştiu că lumina mea nu este lumină.

de marginea fiinţei fiinţa mea se-anină,
căci hăul diabolic, sub ea pervers crescând,
în carne ca un suflet începe să parvină.

infernurile-n mine ca puzzleuri se-mbină,
mereu figura mea în fine compunând.
acum ştiu că lumina mea nu este lumină -
în carne ca un suflet începe să parvină.





Inedito

quasi una villanella

Fulgido giorno
in cui Satana fa
che tu ti veda nello specchio
con una lama in mano.

E nei tuoi occhi
quello sguardo. Quello
che hanno i suicidi
nel fulgido giorno

come se li colpisse
perennemente negli occhi
una luce d'estate.
(Satana fa).

Rilucentissima estate
quanto invischiati restano
alla sua luce in un
fulgido giorno.

Quanto la sua meravigliosa luce
distende sulle rétine
lebbrosi tuberi.
(Satana fa).

Fulgido giorno
in cui Satana fa.




quasi una villanella

Glorioasa zi
în care dracul face
să te vezi în oglindă
când te bărbiereşti.

şi-n ochii tăi
privirea aia. Pe care
o au sinucigaşii
în glorioasa zi

de parcă le-ar bate
mereu în ochi
o lumină de vară.
(Dracul face.)

O vară atât de strălucitoare
încât rămân încleiaţi
în lumina ei într-o
glorioasă zi.

Încât lumina ei frumoasă
le aşterne pe retine
tuberculi leproşi.
(Dracul face.)

Glorioasa zi
în care dracul face.



A cura e traduzione di Matteo Veronesi
(n. 7-8, luglio-agosto 2014, anno IV)