Tomaso Kemeny: «La veglia del suono». Versi inediti

Con il titolo «La veglia del suono», Tomaso Kemeny – poeta e critico italiano di origine ungherese, dal 1948 residente a Milano – ci propone alcune sue poesie inedite di una serie in progress.







1.
Sotto lo strascico appassito di mille comete
nel campo in agonia un filosofo metallico
annuncia “la rosa muore d’inopia
e per ibridazioni”

La rosa vermiglia colta nell’orto simmetrico
alla misteriosa bellezza di Afrodite offerta
non c’è più – si vende solo la rosa globulare
alle sentinelle dell’emicrania

Sulla frontiera del nulla e della infinita nostalgia
vibrando, il suono precede la parola incerta,
si condensa furtiva nella rosa rossa e smania
simulando un sogno


2.
Inchiodati sulla terra come farfalle disseccate
il suono scorre sulle frontiere dell’eterno
e come musica nel tempo si realizza poi
soggiogando per metamorfosi il nostro corpo
in sostanza stellare

Oltre l’osceno ora la musica si riverbera nell’inferno
di frasi musicali improvvisamente reversibili
lungo le rive di vetro di un oceano abissale
dove il suicidio è vocazione se si disperde il profumo
dell’amore iniziale

Ma la rosa nera con fiamme senz’ombra
come se nulla fosse accaduto m’impiuma
e moltiplica la voglia nell’ascensione indicibile
e ogni suono è granello di sabbia nella spirale
alle radici dell’assoluto

Immersi ora in una luce ignota prima
viviamo questa nuova avventura imprevedibile
e incompiuta oltre la soglia della melodia che adombra
il ruotare lento della Terra inabissandola
nel fulgore astrale

 

3.
Onde sonore per un piacere danzabile
sensazioni nel luogo della alture ruotanti
nella polvere di candide aurore ricamate
nell’invisibile

Infiniti cicli cosmici a rivivere chiamate
sulla riva opposta al piccolo scheletro chiuso
nell’armadio delle parole pietrificate o
dell’emiciclo ove giovinezza scuote la sua
chioma indomabile

Con cinque dita porgo il mio fegato doloroso
all’aquila e allaccio i fili del silenzio
poiché tutto deve essere deciso prima che
il materno idioma si trasformi in un albero
dentro una gabbia

 

4.
Sonora metamorfosi della mia persona
in una partitura inseparabile dall’idea di bellezza

Misteriosa forza forse ctonia e sinfonìa
per la costruzione di un mondo

Soffio vitale dell’universo per flauti
e oboe, dialogo con strumenti a corde

Ed ecco l’autentico demone furibondo
a orientarmi eroico in un turbinio di scintille

Flusso di cosmica energia che scorre
in una rete di vasi, ma orde
di mostri che non hanno seme invadono
la scena con musiche canagliesche

Dal fango pur striato di neve fresca
istrioni pagliacci clown emergono
con sussulti effimeri per mancanza
di una forma. Sonora, bimba mia,
salvami dal flaccido sbavare, nella veggenza.

 

5.
In una notte fragorosa di pioggia
un movimento rapsodico contiene un gran
silenzio a trasformare il paesaggio senza limiti
nell’ignoto

Nuova avventura strumentale
ma di subordinazione armonica
di foggia antica a capofitto
nel vento

(“Si!” urlano i diavoli scatenati
e appena dopo l’urlato monosillabo
mi sovviene come prima di Pavia
brillavano i pioppi tremuli nel vento)

 

6.
Dal “do” al “si” sette note segnano
sette cerchi intorno a colui che è pronto
(“essere pronti è tutto”) a esprimersi in trance
ascensionale nello spazio oltre i limiti
del mondo

E il Dio in abbandono non è più il centro
dell’essere e del racconto: è la Bellezza
la sola a risplendere ovunque come urgenza
di riorientamento senza percorsi prestabiliti
verso il futuro

Ma non verso lo spettro del Libro-a-venire (oh, Mallarmé!)
invece su una scala di durata che corrisponda
e un’epica aerospaziale in vista della trasformazione
dell’uomo e della donna in sostanza
stellare

Verso un infinitesimo lasso intervallare, breccia
attraverso cui creare uno scorrere costante
di oggetti/soggetti sonori pur mantenendo ad ognuno
il proprio éthos di solista unico entro le onde
magnetiche

Lo pneuma reso melodioso dallo scorrere nel tempo
ritroverà dei valori per l’organizzazione formale
work in progress (oh, James Joyce!) visibile solo
nello spettro delle frequenze sonore, pura genetica
musicale

Uragani di creatività per cicli necessari alla Creazione
filtrati dal cristallo di prismi acustici resi sacri
nel diffrangere il suono in vocali e consonanti:
balzeranno qua e là, su e giù, fonemi
tracce di vocali evidenziate in nuove unità di tempo
e di luogo

Composizioni in movimento verso l’irrappresentabile
verso ciò che deve rimanere nascosto, perché
terribile e privo di senso, ma che renderà sensibili
l’uomo e la donna alla voce parlante del suono
“oh, musique concréte!”

Residui allo stato puro nel vibrare
tonale (oh,L.v.B.!), figura mai perduta
dell’energia eroica latente: e dall’abisso delle dissonanze
l’armonia emergerà in margine al mistero inviolato,
simul inflatus

 

7.
“ ‘Hot water works ?’, vorresti fare il musicista?”
la musica per me è un barlume  nel cuore del verso-
persevero ‘Allegro ma non troppo-presto’, rubandone
l’essenza segreta per adombrare le scorie più grevi
del linguaggio verbale

Vuoti e pieni a seguire il luccichio vago
delle dodici costellazioni del sistema zodiacale
un modo per innestarsi nell’esistenza viva dell’Universo
versi ora circondati dall’oscuro spazio vuoto ora persi
nello sfolgorìo

Ma la pressione dello spazio bianco insiste tra le stanze
reclamando il coro casto dei boschi montani e riversi
tra sillabe si ruota nell’impensabile come resti
di un naufragio

(n. 3, marzo 2012, anno II)