«Ecco il verbo che ti perdona». Versi di Valeriu Armeanu

Sul poeta e prosatore residente a Drobeta Turnu-Severin (nato nelle località Giroc, regione di Timiş, esordiente nel 1970) scrivevo tempo fa, riferendomi ai suoi volumi di poesie Ripulsioni (1997) e Seminati di fantasmi (2001), che non smentivano la sua adesione ad una poetica del piacere voluttuosa e straripante come cura omeopatica e provocatoria che non esclude momenti di lirismo autentico, ma anche di ribellione contro il conformismo, l’ipocrisia, la cupidità dei suoi contemporanei. Momenti di acerba scomunica nei confronti di un mondo ostile alla poesia ben si adeguano alla confessione-deposizione sull’inevitabile condizione del poeta quale eretico cacciatore di vento. I versi scanditi su ritmi epico-drammatici riescono a suggerire lo statuto à la page della poesia, metabolizzando il ludico, il delirio e l’assurdo esistenziale.
Paradossalmente, l’eretico dimostra di possedere uno spirito religioso, scrivendo commoventi preghiere, degne di essere messe accanto alla devozione implorante insita nelle poesie di un Claudel, Vasile Voiculescu, Pierre Emmanuel, Daniel Turcea ecc.: «I miei passi/ hanno calcato incenso e discordia,/ montagne d’incenso,/ Dio Onnipotente/ dammi un segno della tua esistenza,/ edifica sulla mia lingua una chiesa/ ove essere gloriato./ Le ossa della morte hanno pulsato dalla finestra/ le ossa della morte hanno pulsato sui chiodi/ come se piangessero dirottamente i santi,/ appena staccati dalle icone./ I miei passi/ hanno camminato su incenso e discordia/ montagne d’incenso,/ Dio Onnipotente/ dammi un segno del tuo riscatto,/ fa delle mie ossa/ un flauto di luce/ per ogni peccato».  
Un falso trovatore che può fare (ognora) la parte di un falso clown, maldicente con stile aristocratico, una sorta di re dei folli, un folle dei re, versatile, inventivo su piano semantico, alcune volte in maniera ostentata, cacciatore di sintagmi rari. I temi di Valeriu Armeanu  muovono  facilmente tra lo squallido quotidiano e il presente delle delusioni e la poesia che prevalendo sul pensiero filosofico offre memorabili metafore rivelatrici. Le nostre impressioni sono pienamente confermate dai suoi quattro libri degli ultimi due anni: Hoţii de fulgere (Ladri di fulmini), Vânare de vânt (Alla caccia del vento), Elegii, Şapte melancolii din Fanar (Sette malinconie dal Fanar*), quest’ultimo uno spettacolo totale del linguaggio poetico romeno, dalle origini fino ai giorni nostri.      
Nel volume Elegie c’imbattiamo nei già conosciuti accenti melodici, che ricordano una sorta di inesauribile scongiuro magico, il prosodico incantamento del salmo biblico. Sono presenti tanto il substrato del nostro folclore, quanto il codice della grande poesia colta, a partire della grande scuola interbellica, Tudor Arghezi, Lucian Blaga, Ion Vinea, Geo Dumitrescu, Nichita Stănescu compresi. Lo spazio e il tempo della regressione all’immaginario fiabesco dell’infanzia sono uno scudo contro la sanguinante elegia del presente: «io che scavo con la bocca/ la tomba di questa nevicata/ non posso nemmeno gridare/ non posso nemmeno morire/ per piangere gli altri mi fecero lo scenario».
Valeriu Armeanu è autore di bellissime poesie d’amore e morte, sulla scia di Mihai Eminescu fino ai più noti autori di ballate, Miron Radu Paraschivescu, Radu Stanca, Mihai Ursachi oppure Stefan Augustin Doinaş. Dall’ampio ambito del suo universo lirico non potevano mancare le tonalità simbolistiche-spettacolari di un Bacovia, l’icasticità modernista di Ion Vinea oppure le sequenze tratte dal surreale immediato tipo Gellu Naum o Leonid Dimov: «Arriverai verso sera/ come pioggia delle antiche epidemie,/ lungo l’aorta delle bruciate maledizioni/ a raccontarmi/ come camminano d’estate le beccacce sui poggioli del delta,/ quando il sole brucia nel loro gozzo». Il lettore non può trascurare la sconfinata sete di purezza, di cielo e fede, di idealità e mito orfico. Emblematica per le Elegie di Valeriu Armeanu è un’ars poetica dello strazio e pentimento, dell’umiltà e della preghiera. Le parole-chiave ricorrenti portano il marchio rovinoso di una minaccia imminente (bufera, orrore, diluvio, nevicate polari), echi di alcuni gravi elementi biografici, di une fin de partie compresa. Bellezza tragica di un discorso poetico scisso tra amore e morte, tra eros e thanatos, tra la gioia di riveder le stelle e la vanità del cacciatore di vento.        

* Quartiere della città di Istanbul, popolato a partire dal quattrocento da nobili greci; è anche sede del patriarca ecumenico di Costantinopoli.



Come se

Come se
disegnassi una finestra
sull’involucro di un’eco
e dentro di me si mostrasse                               
la bocca di colui che grida.
Come se la mia dimora fosse
nelle branchie di una parola
da cui esco sempre più straziato,
perché sostituisce il mio corpo
e la mia tomba.                                                    
Come se
ingoiassi una chiesa
e i santi si muovessero
nel mio ventre
con tutti i muri alle spalle.
Come se la mia dimora
fosse addirittura un urlo                                        
e io stesso estremità                                   
di un altro urlo,
condannato a vivere sempre
come una belva.



Ca şi cum

Ca şi cum
aş desena o fereastră
pe învelişul unui ecou
şi înlăuntru mi s-ar arăta
gura celui care strigă.
Ca şi cum aş locui
în branhiile unui cuvânt
din care ies tot mai greu,
pentru că îmi ţine loc de trup
şi îmi ţine loc de mormânt.
Ca şi cum
aş înghiţi o biserică
şi sfinţii mi-ar umbla
prin burtă
cu toate zidurile-n spate.
Ca şi cum aş locui
de-a dreptul într-un urlet,
eu însumi fiind
terminaţia altui urlet,
condamnat să trăiască mereu
ca o fiară.




Maria

Sento dei brividi, Maria
e grido per le stanze
il tuo nome;
incubi e graticolati, in fondo,
buttati per strade,
mentre io non sono
che un cimitero di nevicate,
assegnate per sbaglio.
Potrei
sputare i miei polmoni
nel vestibolo.
ossia sputarli
in un qualsiasi poema,
se non sapessi che tu
con le tue mani
mi butteresti dentro questo animale                
a cui ogni giorno
insegni a poco a poco
come morire.
Sento dei brividi, Maria
e grido per le stanze
il tuo nome;
incubi e graticolati, in fondo,
buttati per strade,
finanche la mia carne
diventa una tormenta di neve
che l’inverno alza in vortice contro i vetri,
mentre la tua bocca è più calda
e viene dai peccati più antichi,
tanto che la nevicata quasi prende
le sembianze di questo racconto.



Maria

Mi se face frig, Maria
şi strig prin casă
                 numele tău;
coşmaruri şi grilaje, în fond,
aruncate pe străzi,
în vreme ce eu nu sânt
decât un cimitir de ninsori,
rambursate greşit.
Aş putea
să-mi scuip plămânii
                             în antreu
ori să mi-i scuip
într-un oarecare poem,
dacă n-aş şti că tu
cu mâinile tale
mă arunci în acest animal
pe care în fiecare zi
îl înveţi câte puţin
cum să moară.
Mi se face frig, Maria
şi strig prin casă
                   numele tău;
coşmaruri şi grilaje, în fond,
aruncate pe străzi,
până şi carnea mea
devine o viforniţă
pe care o spulberă iarna la geam,
iar gura ta e mai caldă
şi vine din păcate mai vechi,
încât ninsoarea de-afară
parcă ia chipul acestei poveşti.



Il verbo

Ecco il verbo che ti perdona,
te l’ho detto,
lui è il verme
che spunta dal frutto
e muore crocifisso, come Gesù.
Ecco il verbo che t’inganna,
lui è il verme
che s’annida sulla lingua
e muore dalla lingua disfatto.
Ecco il verbo che ti compiange,
te l’ho detto,
lui è il verme
che dorme nel flauto
e il flauto è fatto solo di pianto.
Ecco il verbo impegnato a perderti,
te l’ho detto,
lui è il verme
che scende dai lumini da notte
e si lascia flagellare, come un santo.



Cuvântul

Iată cuvântul care te iartă,
ţi-am spus,
el este viermele
ce iese din fruct
şi moare răstignit, ca Iisus.
Iată cuvântul care te minte,
ţi-am spus,
el este viermele
ce zace pe limbă
şi moare de limbă răpus.
Iată cuvântul care te plânge,
ţi-am spus,
el este viermele
ce doarme în flaut
şi flautul e numai din plâns.
Iată cuvântul care te pierde,
ţi-am spus,
el este viermele
ce coboară din candeli
şi se lasă biciuit, ca un sfânt.




Il vizio della materia

Ė così che mi sono addormentato
nel tuo grembo,
mentre tu mi tenevi
quasi fossi morto da tempo.
Quando mi sono svegliato,
quel luogo era caduto in peccato
e aveva le sembianze della morte              
perché sopra le mie ossa
l’inverno suonava il suo requiem
per il flauto
e le nevi sulla collina.
Poi mi lavai le mani
nella nenia del mare
perché l’acqua
era divenuta il vizio della materia,
mentre questa poesia
altro non è che il vizio
di una parola



Viciul materiei

Şi uite-aşa am adormit
în braţele tale,
iar tu mă ţineai
de parcă murisem de mult.
Când m-am trezit,
locul acela căzuse în păcat
şi luase faţa morţii,
căci peste oasele mele
iarna sufla ultimul recviem
pentru flaut
şi zăpezile de pe deal.
Apoi mi-am spălat palmele
de bocetul mării
pentru că apa
devenise viciul materiei,
în vreme ce poemul acesta
nu este decât viciul
unui cuvânt.



Il museo della polvere

Ci sono voluti anni
per riscattare un solo sbaglio
davanti al mare,
anni e anni ci sono voluti
per scoprire un coacervo di malattia                                                   
dietro l’angolo, per cui si è accertata
una sindrome di errori.
C’ erano sbarre,
collocate a nome della libertà,
acidi e  solfuri
e pure un regno di candori,
dove era stato fondato
il museo della polvere.
Poi la dinastia del freddo
e delle nevicate
accanto al cranio del dio;
in fine,
ci sono voluti anni
a riscattare un solo sbaglio
davanti al mare.



Muzeul prafului

Ani de zile mi-au trebuit
să răscumpăr o singură greşeală
în faţa mării,
ani de zile mi-au trebuit
să descopăr o fabrică de boli
după colţ, la care s-a stabilit
un sindrom de erate.
Erau acolo gratii,
depuse în contul libertăţii,
acizi şi sulfuri
şi chiar un regat de candori,
unde fusese întemeiat
muzeul prafului.
Apoi dinastia frigului
                              şi-a ninsorii
lângă craniul de zeu;
în sfârşit,
ani de zile mi-au trebuit
să răscumpăr o singură greşeală
în faţa mării.


A cura e traduzione di Geo Vasile
(n. 4, aprile 2014, anno IV)