Sacro, tradizione, esoterismo: nuove prospettive nell’ermeneutica di Mircea Eliade

Che Mircea Eliade abbia mostrato una certa prudenza riguardo alle interferenze della sua opera scientifica con l’esoterismo «tradizionale», precauzione dettata anche dalla relazione intellettuale intrattenuta con René Guénon (il principale esponente del concetto di Tradizione nell’ambito della modernità) e con Julius Evola, non ha impedito a molti studiosi di far rientrare lo stesso Eliade nel campo dell’esoterismo. «Perché il mondo della Massoneria accorda tanta importanza a Mircea Eliade? Perché, anche in campo massonico, è visto come una figura di riferimento?» – si domanda Giovanni Casadio, citato da Giancarlo Seri nell’introduzione al volume AA.VV., Mircea Eliade, Le forme della Tradizione e del Sacro, curato da Giovanni Casadio e Pietro Mander, uscito nel 2012 presso le Edizioni Mediterranee a Roma, sintesi dei lavori di un congresso del 2007, organizzato a Perugia dal Rito Antico di Memphis e Misraïm, in collaborazione con l’associazione Accademia dei Filaleti. Considerata come un’opportunità ideale di collaborazione tra il mondo accademico e gli interessi degli iniziati, la celebrazione dell’opera di Mircea Eliade per il centenario della sua nascita gode degli interventi di alcuni prestigiosi intellettuali italiani come Grazia Marchianò, Pietro Angelini, Enrico Montanari, Roberto Scagno, Giovanni Casadio, Pietro Mander, Carlo Prandi e Guido Ravasi.

Lo studio di Pietro Angelini, Eliade, De Martino e il problema dei poteri magici parte con un’archeologia dell’investigazione dei poteri magici negli studi di Mircea Eliade, insistendo sullo sviluppo del soggetto nelle Tecniche dello Yoga, libro recensito subito dopo l’uscita (1948) da Ernesto de Martino, nella prestigiosa rivista di Raffaele Pettazzoni, «Studi e Materiali di Storia delle Religioni», e continua con una dettagliata analisi dell’evoluzione del pensiero di de Martino sulla magia in analogia con le idee di Mircea Eliade. L’interesse dello studioso italiano per l’interpretazione eliadiana del rito come uscita dalla storia e per gli studi consacrati alle tecniche di controllo dei poteri magici si manifesta in un’epoca di sospetto nei confronti del «caso Eliade», un «caso» diventato controverso e politicamente non desiderabile per via dell’intervento consolare del nuovo governo comunista insediatosi in Romania dopo la Seconda Guerra Mondiale.
In quest’atmosfera, de Martino si schiera dalla parte di Buonaiuti e di Tucci, pubblica nelle loro riviste estratti dagli studi di Eliade e, con l’appoggio di Pavese, propone nel 1948 a Einaudi la traduzione italiana delle Tecniche dello Yoga, apparsa in ritardo e in sordina nel gennaio del 1952, con una prefazione che, aldilà dell’accento posto sull’idea dell’abolizione della storia e sulla gestione dei poteri magici, accentua il suo distacco dal pensiero di Mircea Eliade, – poiché il nucleo principale della disgiunzione è l’antistoricismo – sullo sfondo del cambiamento registrato nella concezione dello studioso italiano «dal magismo etnologico alla magia intesa come problema prevalentemente storico-religioso».
La seconda parte dello studio di Pietro Angelini isola diacronicamente le convergenze e le divergenze tra le posizioni di Eliade e de Martino relative al problema della realtà dei poteri magici, preparando il terreno per l’analisi del modo critico in cui le teorie de Il Mondo magico, volume del 1948 di de Martino, sono state recepite da Mircea Eliade nelle recensioni pubblicate nelle riviste «Critique»e «Revue de l’histoire des religions», punto in cui Angelini sanziona l’inconsistenza dell’analogia operata dallo studioso romeno tra idealismo storico di de Martino e l’idealismo «magico» di Evola, discute l’influenza del pensiero rivale di Croce nel discorso di de Martino, e segue il modo in cui questa ricezione intacca il dialogo intellettuale tra Eliade e de Martino.

In un discorso dinamico e accattivante, condito con suggestioni esoteriche, in Mircea Eliade visto da Mircea Eliade,Giovanni Casadio presenta la biografia e l’inventario degli scritti dello studioso romeno, sottolineando elementi eccezionali (come il fatto che è l’unico storico delle religioni menzionato nelle opere di due papi: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) e si sofferma sul periodo compreso nelle pagine del Diario portoghese (10 febbraio 1941-13 febbraio 1945), volume considerato da Casadio come «il più importante tra i diari d’Eliade», per il suo carattere di documento genuino, non censurato prima della pubblicazione, anche se sono ormai note le inclinazioni di Eliade nel costruirsi con cura «il personaggio» in funzione dei posteri. Giovanni Casadio insiste, comunque, soprattutto sul contenuto del diario, sulle riflessioni essenziali presenti in esso, sulla comprensione di due delle successive opere dell’autore (Trattato di storia delle religioni, rispettivamente Il mito dell’eterno ritorno) e sui pensieri generati dal momento storico nefasto che attraversava il popolo romeno e dalla malattia di Nina, moglie di Eliade, tragedie, queste, interpretate nei termini della corrispondenza tra il macrocosmo – mondo e microcosmo – e l’uomo, riflessi di una «polarità derivata da una tradizione» familiare di Eliade (quella indiana) ātman-brahman. L’incursione ermeneutica di Giovanni Casadio nell’universo rivelato dal diario portoghese trova la propria equivalenza con una sottile analisi comparativa delle riflessioni di Eliade che riguardano l’eros e l’amore, ma anche con una coraggiosa decifrazione della sessualità dello scrittore romeno dall’economia della sua vita psichica, con stimolanti digressioni psicologiche, filosofiche ed esoteriche, da cui non poteva mancare il concetto di Julius Evola proveniente dalla Metafisica del sesso. Vi si aggiunge un’interessante prospettiva sulla relazione tra eros e agape, rapportata alla crisi religiosa nella vita di allora di Eliade, costruita sulla logica del valore sacrificale della sofferenza e della morte di Nina, essendo il percorso interpretativo finalizzato nella prospettiva soteriologica di un «Eliade intimo», nel contesto della superiorità e della preminenza dell’Amore. Tuttavia, l’equazione è capovolta da Casadio nella configurazione del profilo politico di Eliade, in cui l’odio è dominante, e il risultato non è la realizzazione «del processo di integrazione – metabolizzazione» dei suoi legami, «trasformati in un’ipostasi vampiresca», con la Guardia di Ferro.

L’esigenza metodologica di Pietro Mander trasforma il suo intervento, L’Assirologia ed Eliade, in un attento esame del contributo che il campo dell’assirologia può ricevere dallo «studio interdisciplinare combinato con la fenomenologia eliadiana o con ricerca storico-religiosa»; mentre la sua sfumata polemica nei confronti degli altri specialisti del settore evolve in uno studio del recupero della scuola panbabilonista, che compara l’opera di Mircea Eliade e con quella di Simo Parpola.

Sulla linea tangenziale del pensiero di Eliade con le riflessioni di altri specialisti delle religioni si inscrive anche lo studio firmato da Grazia Marchianò, L’ordine sacro del cosmo: l’imperativo smarrito. Posizioni a confronto Eliade – Zola – Culianu, raffinata interpretazione del modo in cui tre generazioni di studiosi hanno reagito a un secolo «profano». Lo studio inizia con la tesi di Mircea Eliade riguardo ai due modi di essere del mondo – l’homo religiosus tradizionalmente integrato in un cosmo sacro e l’io storico moderno inserito in un cosmo dissacrante – e con la sua teoria riguardante la presenza camuffata del sacro nel mondo moderno; continua con l’intransigente tesi di Elémire Zolla, secondo cui «le forme della tradizione e il senso del sacro» – che hanno cominciato a degradarsi esponenzialmente a partire dal XVIII secolo – «una volta espiantati dall’orizzonte del soggetto storico, si sono dissolti». L’ultima parola appartiene a Ioan Petru Culianu, nel cui pensiero domina – precisa l’autrice – «una configurazione frattale», dove il mito e la storia (reale o virtuale) «si interseca e si interaziona in un sistema che si autogenera continuamente».

Menzionato in più saggi raccolti in questo volume, Julius Evola rappresenta il complemento di una relazione intellettuale che Mircea Eliade ha mantenuto sporadicamente in più decenni. Queste implicazioni sono analizzate impeccabilmente da Enrico Montanari in Eliade ed Evola, Aspetti di un rapporto ,,sommerso”. In apparenza secondario nel perimetro dei legami dello studioso romeno con gli intellettuali italiani, specialmente nel periodo interbellico, la presenza di Evola nell’economia della formazione intellettuale di Eliade (specialmente nell’accezione evoliana del «pensiero tradizionale») si rivela – dice l’autore – difficilmente ricostruibile a causa delle testimonianze parziali, dovute alla perdita della metà eliadiana della corrispondenza tra i due, come anche a causa della sovrapposizione dell’immagine di Evola su quella di Giovanni Papini, figura assolutamente di grande fascino per il giovane Eliade. Una prima testimonianza della storia dei rapporti tra Eliade ed Evola è rappresentata da una lettera mandata dal pensatore italiano a Calcutta, nel 1930, una lettera che si concentra sulle tradizioni che si conservano in alcuni centri spirituali dell’India. Secondo Enrico Montanari, almeno due tra gli studi di Eliade degli anni ’20 sono elaborati sulla scia delle idee tradizionaliste di Evola (Magia e ricerche meta-psichiche,1926, e Magia e metapsichica, 1927). Entrambi trattano l’autentica valorizzazione dei fenomeni meta-psichici in rapporto con le interpretazioni «riduzioniste», avanzate dalla scienza ufficiale nel campo psicologico, folcloristico ecc. Su un piano speculativo superiore, l’autore rileva che un’altra convergenza con le idee evoliane ha luogo sotto il segno «dell’amoralismo eroico», presente nella prosa giovanile di Eliade, che sarà prolungato successivamente, almeno in apparenza, nei rapporti esegetici e politici tra i due. «In apparenza», perché – considera Enrico Montanari – negli anni in cui Eliade recensisce Revolta contra lumii moderne [La rivolta contro il mondo moderno] di Evola (1934), quest’ultimo viene a Bucarest per incontrare Corneliu Zelea Codreanu (1938, incontro reso possibile grazie alla mediazione di Eliade); dopo di allora, inizia un allontanamento, che si intensificherà nel tempo e che si convertirà, da parte dell’autore romeno, in un inasprimento nei confronti del «pessimismo» dei tradizionalisti. In modo simmetrico, il «“magismo” iniziale come progetto di costruzione dell’“Individuo Assoluto”» è sostituito, nel pensiero di Eliade, con un interesse «culturale» per il tema che, pur non trascurando «una visione primordiale del mondo», egli rifiuta di equiparare con «le basi metafisiche della “Tradizione”».

Il dibattito intellettuale generato dall’homo religiosus costituisce il punto di partenza della studio di Carlo Prandi, Tempo del mito e tempo del moderno in Mircea Eliade, un viaggio ermeneutico che accentua, da una parte, la superiorità del sacro nell’opera del pensatore romeno, specificando il rapporto tra il sacro, la cultura primitiva e «l’eterno ritorno», e dall’altro, il cristianesimo come «una religione dell’uomo moderno, dell’uomo storico, che ha scoperto simultaneamente la libertà personale e il tempo continuo».

All’incrocio tra la teoria del sacro e le tradizioni esoteriche si colloca lo studio di Guido Ravasi, La struttura iniziatica dell’opus, Il simbolismo metallurgico-biologico nella considerazione eliadiana dell’alchimia. Si tratta di un’investigazione meticolosa e solidamente armata dal punto di vista esegetico, che commenta non solo il background delle considerazioni di Eliade a proposito dell’opera dell’alchimista – il quale, puntando sulla trasformazione del metallo in oro, «seguiva il proprio perfezionamento» –, ma riguarda anche le relazioni simboliche in cui sono implicati gli elementi alchemici, «le strutture mentali» che stanno alla base delle pratiche metallurgiche e alchemiche, «la solidarietà cosmobiologica» identificata nel mondo immaginario dell’alchimista e nel modo in cui egli tratta la materia come organismo vivente, cioè «la cosmosoteriologia alchemica», la cronologia cromatica, il linguaggio alchemico e, soprattutto, la morte e la rinascita iniziatica intesa come mutamento del regime ontologico.

Affrontando la selva impenetrabile della «foresta filosofica» delle interpretazioni dedicate a Mircea Eliade, Roberto Scagno denuncia, in Eliade e il Giudeo-Cristianesimo, gli stereotipi e gli eccessi ermeneutici (come quelli di Daniel Dubuisson) generati dalla disputa tra i detrattori e i difensori di Eliade, «l’interpretazione ideologica deviata» che mettono in ombra – considera l’autore – «i nodi teorici del pensiero» di Eliade, cioè il rapporto tra la cultura arcaica e la cultura moderna, la nozione di archetipo e «il suo statuto ambiguo tra platonismo e junghismo e morfologia», la nozione di homo religiosus, il rapporto tra il mito vivo e la tradizione giudeo-cristiana, la relazione tra la tradizione esoterica, l’iniziazione e l’ermeneutica. Esaminati anche da Carlo Pradi, i mutamenti del quadro della concezione ciclica del tempo (in cui Eliade si avvicina strutturalmente al giudaismo e al cristianesimo, religioni che favoriscono il tempo continuo e sostengono che gli avvenimenti storici hanno un senso attraverso loro stessi, nella misura in cui sono determinate dalla volontà di Dio) ritornano in maniera sfumata nello studio di Roberto Scagno, con attenti rilievi che riguardano il rapporto tra il messianismo e la storia, e il regime «del terrore della storia» nella concezione dell’autore romeno. Andando contro «la vulgata» di un Eliade «neopagano», lo studioso italiano si sofferma sulle nozioni eliadiane di «cristianesimo cosmico» e isola, dalle pagine del Diario portoghese, di cui è stato in Italia il curatore nel 2009, le testimonianze della religiosità di Mircea Eliade, filtrate anche attraverso l’interpretazione data da Ioan Petru Culianu «dell’irriconoscibilità del miracolo», considerata dall’autore come una formula eliadiana «affascinante e produttiva», che catalizza sia le contraddizioni che le tensioni interiori dell’uomo e insieme dello studioso Mircea Eliade.

Oltre all’elogio tributato all’opera di Mircea Eliade e alla sua influenza nel XX secolo, tutti i saggi raccolti in questo volume si propongono di chiarire aspetti sconosciuti o insufficientemente trattati del pensiero eliadiano, cercano di approfondire aspetti discussi dall’esegesi e di oltrepassare i limiti della sua «oscura» legenda, facendo appello a documenti originali, così come appaiono nel complesso dossier dei legami spirituali che il pensatore romeno ha intrattenuto con lo spazio culturale italiano.

Constantina Raveca Buleu
Traduzione dal romeno di Iuliana Boghean
(n. 4, aprile 2013, anno III)