«La mia patria A4»: una nuova raccolta di Ana Blandiana tradotta in italiano

Con sempre maggiore chiarezza, l’opera poetica di Ana Blandiana sta assumendo i contorni e l’autorità di un vero e proprio classico della letteratura romena contemporanea. Dal precoce debutto nel 1964 alla recente, e ultima in ordine di tempo, raccolta di versi del 2010, Patria mea A4 (Humanitas), la sua voce lirica limpida, profonda, insieme tragica ed apollinea, ha attraversato con impareggiabile forza la storia e le stagioni della poesia romena.
A metà degli anni Sessanta, dopo il periodo del terrore stalinista e del quasi totale asservimento della letteratura nazionale alle esigenze della propaganda e dell’ideologia di partito, Ana Blandiana è stata la capofila di una generazione di giovani poeti che ha saputo approfittare di un primo momento di disgelo del regime, per conquistare nuovi insperati spazi di libertà per la propria scrittura, segnando un distacco netto, diremmo irreversibile, dalla dottrina del realismo socialista e riaffermando l’assoluta autonomia del discorso poetico, il suo diritto a restare fedele unicamente a se stesso. In questo periodo, la poesia della Blandiana ha contribuito in maniera sostanziale a riannodare i legami spezzati con la tradizione del modernismo romeno interbellico, recuperando la lezione dei grandi classici primo novecenteschi, in primo luogo quella, altissima, di Lucian Blaga, ridotto al silenzio e completamente dimenticato nel terribile primo decennio totalitario. Il lirismo assoluto blagiano, la sua dizione poetica assertiva, oracolare, giubilatoria attraversano, infatti, tutte le prime grandi raccolte della Blandiana, da Il tallone vulnerabile (1966) a Il terzo sacramento (1969), volumi che hanno ridisegnato in gran parte, anche grazie a questa ritrovata linfa poetica, il volto della lirica romena dell’epoca.

Una voce mai allineata e sempre in campo

Sotto il comunismo, del resto, Ana Blandiana ha semplicemente resistito. Anche negli anni più bui del ceaușismo, ha sempre opposto alle pressioni ideologiche del regime la propria dignità di scrittrice, contandosi fra quei letterati romeni che, pur vivendo e scrivendo sotto la cappa totalitaria, non si sono mai allineati e non hanno mai svenduto, per opportunismo o timore, la propria indipendenza intellettuale. Combattendo e trattando, come tutti, con la censura, approfittando delle ampie zone grigie e delle smagliature del sistema, ha continuato soprattutto a produrre e a pubblicare grande poesia, come ad esempio nelle sillogi poetiche che segnano la sua piena maturità creativa, gli straordinari Ottobre Novembre Dicembre (1972) e L’occhio del grillo (1981), in cui risuona la voce di una poesia nuova, libera e fieramente soggettiva, impermeabile ad ogni tipo di retorica o di propaganda. Nell’ultimo e più tetro periodo del regime, Ana Blandiana diventerà, inoltre, un vero e proprio punto di riferimento del dissenso. Sono celebri, a questo proposito, i quattro componimenti pubblicati nel 1984 sulla rivista «Amfiteatru» (Io credo, La crociata dei bambini, Delimitazioni, Tutto), che circoleranno anche clandestinamente in migliaia di copie manoscritte, in cui la trama delle metafore si farà esplicitamente politica, dipingendo l’inerzia, la disperazione, la miseria del quotidiano e l’orizzonte claustrofobico della dittatura.
Dopo la caduta del regime, infine, Blandiana resterà al centro della scena pubblica nazionale, impegnandosi in prima persona nei processi di democratizzazione e di ricostruzione di una società civile, sostenendo con forza la necessità di fare i conti fino in fondo con il proprio passato recente e con la memoria totalitaria. Non si può non ricordare, in questo senso, la fondazione, assieme al compagno di una vita Romulus Rusan, del «Memoriale delle vittime del Comunismo e della Resistenza» di Sighet (Maramureş), un importante museo e centro di studi sulla storia del regime comunista romeno. Oggi, in Romania, Ana Blandiana è fra le autrici più famose, non solo per la sua poesia e le sue opere in prosa (ha scritto alcuni dei più intensi e perfetti racconti fantastici della letteratura romena), ma anche per la sua saggistica, i suoi interventi di critica militante, l’instancabile attività civile *.

Poesia classica e insieme contemporanea

Questa notorietà ed autorevolezza, conquistate sul campo, hanno certamente contribuito a fare dell’opera di Ana Blandiana un vero e proprio classico contemporaneo. Tuttavia, la sua poesia può essere definita ‘classica’ anche in un senso più profondo ed essenziale, che attiene alla sua sovrana inattualità e autosufficienza. La lirica di Ana Blandiana, infatti, risolve e assume in se stessa ogni altra dimensione esterna e può essere letta in assenza di ogni contingenza, ignorando la dimensione pubblica o l’impegno civile dell’autrice. Liscia e ben squadrata, lascia trasparire pochissimo, a volte quasi nulla, del suo complesso background politico ed esistenziale. La fedeltà a se stessi, la responsabilità verso il proprio discorso interiore, il rifiuto dell’autoinganno e l’impossibilità di mentire a se stessi, sono i suoi moventi principali, i presupposti etici, che la attraversano come correnti profonde. Ma i suoi versi non sembrano mostrare faglie o profondità, sono distesi interamente sulla superficie piana e compatta del discorso. Anzi, si potrebbe dire che il tratto caratteristico e distintivo della poesia di Ana Blandiana sta proprio nella centralità assoluta del discorso, che domina sulle immagini e sulle idee, le controlla e razionalizza, disponendole ordinatamente all’interno delle strutture stabili e perspicue del ragionamento assertivo.
La retorica che sorregge la sua poesia è una retorica della solennità, incarnata in uno stile riflessivo e disadorno, perseguito per mezzo della ricerca assoluta della semplicità e della perspicuità, quali virtù principali del discorso poetico. La sintassi è semplice, priva di ambiguità, ben rilevata nei suoi nessi logici. Il lessico è improntato ad un uso medio e corrente, senza scarti o escursioni registrali, raggiungendo il risultato di una sublime gravitas per mezzo della rinuncia a tutto ciò che poteva risultare insolito, irregolare, sperimentale o troppo connotato in senso espressivo. Non a caso, una delle sue prime e più esplicite dichiarazioni di poetica sta sotto il segno di Racine (nella bellissima Din auster și din naivitate, del 1966), a confermare la scelta di uno stile in cui la «smorzatura classica» (la klassische Dämpfung di spitzeriana memoria) e l’autocontrollo sono la condizione necessaria perché si realizzi la scrittura tragica delle passioni.
Il fascino e la forza di questa poesia nascono proprio da un corto circuito fra l’imperturbabile normalità dello stile e la materia pulsante, vissuta, estrema dei sentimenti rappresentati. All’interno del recinto rassicurante dello stile, della sua ragionevole ‘grata di linguaggio’, la poesia di Ana Blandiana è attraversata da fortissime inarcature emotive, mettendo in scena un’Io ipersensibile, che presta la propria voce all’inanimato, all’inerte, al vegetale, che investe oggetti fisici e ideali di una medesima corrente lirica, allo stesso tempo languida e oggettiva, fredda, riflessiva, ma pronta ad abbandonarsi completamente all’oscura felicità dei sensi, al corso irrazionale delle paure e dei desideri.
Su toni solo apparentemente elegiaci, nascono in questo modo versi di inquietante bellezza, che declinano alcune grandi ossessioni sempre ritornanti: il fascino mortale del sonno, dell’indolenza, della spossatezza, la fisicità negata, il corpo armatura, il misto di attrazione e repulsione per la matrice vegetale dell’esistenza, per la forza incontrollabile della germinazione e della decomposizione.

Un'ulteriore riprova: «Patria mia A4»

Sono motivi che si ritrovano anche nel suo ultimo volume di versi, Patria mea A4, pubblicato nel 2010 e ora tradotto in italiano con amorevole cura da Mauro Barindi, che ne offre una versione precisissima ed empatica (La mia Patria A4, Aracne Editrice). Si tratta di un libro che, se per certi aspetti conferma le linee di fondo di sempre e l’incrollabile fedeltà della Blandiana scrittrice al proprio mondo interiore, in molti punti sembra tentare nuove, sorprendenti direzioni.
Il fatto è che la poesia di Ana Blandiana è per sua stessa costituzione refrattaria a ogni soliloquio, impensabile senza destinatari chiamati a condividerne la testimonianza, discorso pubblico, anche quando sembra pura confessione privata. La sua scelta non è mai stata la fuga o l’arroccamento, ma quella di restare piantata nel mondo e nella storia, ugualmente lontana dall’ingenuità consolatoria e dalla tentazione elitaria. Dagli anni Ottanta in poi la poesia romena è cambiata rapidamente e, a volte, in maniera radicale. Una forte corrente anti-lirica ha attraversato tutte le nuove generazioni di poeti che si sono affacciati sulla scena nel periodo post-comunista e che sono partiti proprio dal rifiuto del neomodernismo oracolare degli anni Sessanta, al quale hanno contrapposto l’assunzione programmatica dei registri prosastici e colloquiali, l’oralità esibita, il ricorso pervasivo all’autoironia, all’undertstatement, alla meta-letteratura. Si potrebbe dire che con il suo nuovo volume, Ana Blandiana, con la consueta classica naturalezza e senza rinunciare di una virgola alla propria poetica, abbia cercato una sua posizione all’interno della attuale poesia romena, dialogando come sempre con il proprio tempo.

Rispetto al passato, è proprio la dimensione del solenne e del tragico ad essere smussata, fin quasi a scomparire, a vantaggio di una colloquialità disinvolta, dimessa, a volte ironica. I componimenti più innovativi, in questo senso, sono anche quelli più riusciti. Pensiamo all’iniziale Nell’affresco, con i suoi sarcastici affondi sul disincantamento del mondo: Fondatori che sorreggono in braccio a fatica / I loro monasteri / Come un capitale convertibile / Al change office dell’aldilà;/ Giovani monaci/ Con dottorati a Cambridge / E sacri paramenti baciati / Da vecchie contadine / Che si trascinano sulle ginocchia / Su lapidi incise in cirillico; o al capolavoro di Sui pattini, in cui la sublime pietas e il discorso sulla salvezza e la redenzione dell’umano si risolvono nelle immagini comunissime e quotidiane delle schiere di giovani che … sfrecciano sui pattini / Con le cuffie rimbombanti negli orecchi, / Con gli occhi fissi sui visori, / Senza accorgersi delle foglie che cadono, / Degli uccelli che partono, / Sfrecciano sui pattini / E sopra scorrono le stagioni / Delle loro vite / Come anche gli anni e i secoli / Senza che ne capiscano l’essenza. Al sublime e all’oracolare si sostituisce, alla fine, una pointe beffarda e commossa: Mentre Dio / Scende fra loro
E impara a correre sui pattini / Per poterli salvare.
Proprio con le movenze inattese dell’understatement si fa strada in Patria mea A4, il tema serissimo e, per eccellenza, tragico, del sacro, prima solo sfiorato e ora preso di petto, con la consueta impietosa lucidità, in alcuni testi altissimi, da antologia, come Animal planet, in cui il dialogo si instaura direttamente con la divinità, in una sorta di rivisitazione della lunga tradizione poetica dei Salmi (che nel Novecento romeno aveva conosciuto l’esempio sommo di Arghezi): Più innocente, ma non innocente, / Comunque più innocente di te, / Autore di questa spietata perfezione, / Che hai deciso tutto / Insegnandomi poi a porgere l’altra guancia.
Persino il motivo frequentissimo della germinazione e dell’empatia con il mondo vegetale trova qui nuove forme di espressione, in testi di spiccata tendenza anti-lirica e narrativa, come nella bellisima Ferita, dove ancora una volta è proprio il sublime ad essere aggirato e occultato e la spinta elativa verso il tragico e tutta riassorbita nella nuda rappresentazione: «Il nostro ciliegio sta morendo», hai detto come se parlassi di un familiare / Quando hai scoperto il ferro / E hai cominciato a sfilarlo lentamente, / Con attenzione per non farlo soffrire, / Scrutandolo ogni tanto con lo sguardo / Per controllare se l’operazione gli facesse male. / «Credi che ce la farà?», mi hai domandato alla fine. / «Certamente», ti ho risposto, / Perché sapevo che il ciliegio ci stava ascoltando.

Anche da questi pochi scampoli, si sarà capito che la probità intellettuale e l’intensità lirica di Ana Blandiana occupano un posto di primissimo piano sulla scena della attuale letteratura europea. Se si dovesse individuare una genealogia letteraria all’interno della quale inserire la sua poesia, si dovrebbe pensare probabilmente alla dignità apollinea attraversata da inquietudini abissali di Anna Achmatova o, ancora meglio, alla lirica salda, riflessiva e determinata di Ingeborg Bachmann, con cui le corrispondenze e le affinità sono a volte fortissime e sorprendenti. In questo senso, la possibilità di leggere oggi in italiano Ana Blandiana significa anche fare i conti con la grande poesia dell’Est europeo di questi ultimi cinquant’anni, per recuperarla e integrarla a pieno titolo nel nostro orizzonte intellettuale e spirituale, per ritessere sul meridiano della poesia, i legami spezzati fra le due Europe.



Dan Octavian Cepraga


* Il lettore italiano ha a disposizione alcuni importanti volumi per farsi un’idea della variegata produzione letteraria di Ana Blandiana: in primo luogo, la magnifica antologia poetica curata da Bruno Mazzoni e Biancamaria Frabotta in Un tempo gli alberi avevano occhi (Donzelli, Roma, 2004), nonché i bellissimi racconti fantastici di Progetti per il passato (Anfora, Milano, 2008) curati e tradotti dal compianto Marco Cugno. Recentemente, infine, Mauro Barindi ha tradotto le interessanti prose di viaggio di Il mondo sillaba per sillaba (Saecula Edzioni, Zermeghedo - Vicenza, 2012).




Nell’affresco

Fondatori che sorreggono in braccio a fatica             
I loro monasteri                                                          
Come un capitale convertibile                                    
Al change office dell’aldilà;                                      
Giovani monaci                                                          
Con dottorati a Cambridge                                        
E sacri paramenti baciati                                            
Da vecchie contadine                                                 
Che si trascinano sulle ginocchia                               
Su lapidi incise in cirillico;     
Megafoni                    
Che trasmettono la messa                                          
Fino al cortile pieno di tende,                        
Fino alla strada sui cui cigli                                        
Sono parcheggiate le automobili                                
In attesa della benedizione;                                       
Mentre la fede –                                                           
Come le rondini                                                         
Che s’intrufolano sotto la cupola                               
Spaurite dalle campane –                                             
Volteggia impaurita                                                   
Sbatte contro le pareti dipinte,                                   
Contro il Pantocratore,                                               
Scende                                                                       
E si posa docile nell’affresco.       



În frescă

Ctitori purtându-şi în braţe cu greu
Mănăstirile,
Ca pe un capital convertibil
La change-office-ul vieţii de apoi;
Călugări tineri
Cu doctorate la Cambridge
Şi odăjdii sărutate
De ţărăncile bătrâne
Târându-se în genunchi
Pe lespezile cu inscripţii chirilice;
Megafoanele
Transmiţând slujba
Până în curtea plină de corturi,
Până în şoseaua pe marginea căreia
Sunt parcate maşinile
Aşteptându-şi sfinţirea;
În timp ce credinţa –
Asemenea rândunelelor
Care pătrund sub cupolă
Zburătăcite de clopote –
Se roteşte speriată,
Se loveşte de pereţii pictaţi,
De Pantocrator,
Coboară
Şi se aşază cuminte în frescă.




Animal Planet

Più innocente, ma non innocente,
In questo universo dove
Le leggi stesse della natura decidono
Chi deve uccidere chi
E colui che uccide di più è re:
Con quanta ammirazione è filmato
Il leone che placido e feroce scortica la gazzella,
E io, chiudendo gli occhi o spegnendo il televisore,
Ho la sensazione di essere meno partecipe al crimine,
Sebbene sappia che nel lume della vita
Va sempre versato sangue,
Il sangue altrui.

Più innocente, ma non innocente,
Ho mangiato al tavolo dei cacciatori,
Sebbene mi piacesse accarezzare le orecchie lunghe
E setose delle lepri
Gettate, come su un catafalco,
Sulla tovaglia ricamata.
Colpevole, anche se non ero io a premere il grilletto,
Ma mi tappavo gli orecchi,
Orripilata dal rumore della morte
E dall’odore del sudore indecente di coloro che hanno sparato.

Più innocente, ma non innocente,
Comunque più innocente di te,
Autore di questa spietata perfezione,
Che hai deciso tutto
Insegnandomi poi a porgere l’altra guancia.



Animal planet

Mai nevinovată, dar nu nevinovată,
În acest univers în care
Înseşi legile firii hotărăsc
Cine trebuie să ucidă pe cine
Şi cel ce ucide mai mult este rege:
Cu ce admiraţie este filmat
Leul placid şi feroce sfârtecând căprioara,
Iar eu, închizând ochii sau televizorul,
Am senzaţia că particip la crimă mai puţin,
Deşi ştiu că-n opaiţul vieţii
Trebuie pus mereu sânge,
Sângele altuia.

Mai nevinovată, dar nu nevinovată,
Am stat la masă cu vânători,
Deşi îmi plăcea să mângâi urechile lungi
Şi mătăsoase ale iepurilor
Azvârliţi, ca pe un catafalc,
Pe faţa de masă brodată.
Vinovată, chiar dacă nu eu apăsam pe trăgaci,
Ci-mi astupam urechile,
Oripilată de zgomotul morţii
Şi de mirosul sudorii neruşinate a celor ce-au tras.

Mai nevinovată, dar nu nevinovată,
Totuşi mai nevinovată decât tine,
Autorul acestei perfecţiuni fără milă,
Care ai hotărât totul
Şi apoi m-ai învăţat să întorc şi celălalt obraz.




Sui pattini

Loro sfrecciano sui pattini
Con le cuffie rimbombanti negli orecchi,
Con gli occhi fissi sui visori,
Senza accorgersi delle foglie che cadono,
Degli uccelli che partono,
Sfrecciano sui pattini
E sopra scorrono le stagioni
Delle loro vite
Come anche gli anni e i secoli
Senza che ne capiscano l’essenza. 
Loro sfrecciano sui pattini
Fra ombre della realtà
Che credono reali
E fra personaggi che a loro sembrano degli umani,
Meccanismi
Creati da altri meccanismi
A loro immagine e somiglianza,
Mentre Dio
Scende fra loro
E impara a correre sui pattini
Per poterli salvare.



Pe role

E
i trec pe role
Cu căştile bubuind la urechi,
Cu ochii fixaţi pe monitoare,
Fără să observe frunzele care cad,
Păsările care pleacă,
Ei trec pe role
Şi peste ei trec rulând anotimpurile
Vieţilor lor
Şi anii, şi veacurile,
Fără să înţeleagă despre ce este vorba.
Ei trec pe role
Printre umbre ale realităţii
Despre care cred că există
Şi printre personaje care li se par oameni,
Mecanisme
Create de alte mecanisme
După chipul şi asemănarea acestora,
În timp ce Dumnezeu
Coboară printre ei
Şi învaţă să meargă pe role
Ca să îi poată salva.




Ferita

Qualcuno ha stretto un ferro
Intorno al tronco del ciliegio,
Ferendolo in profondità senza pietà
Perché non sapeva che un ciliegio può essere ferito
(Socrate, mi pare, diceva che gli uomini sono malvagi
Per ignoranza),
E ha cominciato a grondare abbondante
Un sangue colloso,
Bruno, simile all’ambra,
Come se si trattasse di un animale sgozzato e non di un
albero.
E le sue foglie in piena estate si sono fatte pallide
Come se per il dolore si fosse trasfigurato.
«Il nostro ciliegio sta morendo», hai detto come se
parlassi di un familiare
Quando hai scoperto il ferro
E hai cominciato a sfilarlo lentamente,
Con attenzione per non farlo soffrire,
Scrutandolo ogni tanto con lo sguardo
Per controllare se l’operazione gli facesse male.
«Credi che ce la farà?», mi hai domandato alla fine.
«Certamente», ti ho risposto,
Perché sapevo che il ciliegio ci stava ascoltando.



Rană

C
ineva a răsucit o sârmă
În jurul tulpinii cireşului,
Rănindu-l adânc fără milă
Pentru că nu ştia că un cireş poate fi rănit
(Socrate, mi se pare, spunea că oamenii sunt răi
Din neştiinţă),
Iar el a început să sângere abundent
Cu un sânge cleios,
Maroniu, asemenea chihlimbarului,
Ca un animal înjunghiat, nu ca un arbore.
Şi frunzele i s-au făcut în plină vară palide
Ca şi cum de durere s-ar fi schimbat la faţă.
„Cireşul nostru moare“, ai spus ca despre o rudă
După ce ai descoperit sârma
Şi ai început să o desfaci încet
Cu grija de a nu-l face să sufere,
Cercetându-l din când în când cu privirea
Să verifici dacă operaţia îl doare.
„Crezi c-o să scape?“, m-ai întrebat la sfârşit.
„Sunt sigură“, ţi-am răspuns,
Ştiind că cireşul ne aude.




La patria dell’inquietudine

La patria dell’inquietudine è qui
Disposta a ripensarci
Da un momento all’altro
E tuttavia non desiste dall’attendere
Qualcosa d’indefinito.
La patria è qui,
Fra queste pareti
A pochi metri l’uno dall’altro,
E neppure in tutto lo spazio in mezzo,
Ma solo sul tavolo cosparso di fogli e di matite
Pronte a scattare in piedi e mettersi a scrivere,
Scheletri di vecchi calami rianimatisi all’improvviso
Inutilizzati da tempo, dall’inchiostro rinsecchito,
Che scivolano frenetici sulla carta
Senza lasciare traccia…
La patria dell’inquietudine è qui:
Riuscirò mai un giorno
A decifrare le tracce che non si vedono,
Ma che io so che esistono e che aspettano
Che le passi in bella copia
Nella mia patria A4?



Patria neliniştii

Aici este patria neliniştii,
Gata să se răzgândească
Din clipă în clipă
Şi, totuşi, nerenunţând să aştepte
Ceva nedefinit.
Aici este patria,
Între pereţii aceştia
La câţiva metri unul de altul,
Şi nici măcar în spaţiul întreg dintre ei,
Ci doar pe masa cu hârtii şi creioane
Gata să se ridice singure şi să scrie,
Schelete brusc animate ale unor condeie mai vechi
Nefolosite de mult, cu pasta uscată,
Lunecând pe hârtie frenetic
Fără să lase vreo urmă...
Aici este patria neliniştii:
Voi reuşi vreodată
Să descifrez urmele care nu se văd,
Dar eu ştiu că există şi aşteaptă
Să le trec pe curat
În patria mea A4?



(n. 6, giugno 2015, anno V)