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    «La mia patria A4»: una nuova raccolta di Ana Blandiana tradotta in italiano 
       
     
     Con sempre maggiore chiarezza, l’opera poetica  di Ana Blandiana sta assumendo i contorni e l’autorità di un vero e proprio  classico della letteratura romena contemporanea. Dal precoce debutto nel 1964  alla recente, e ultima in ordine di tempo, raccolta di versi del 2010, Patria mea A4 (Humanitas), la sua voce lirica  limpida, profonda, insieme tragica ed apollinea, ha attraversato con impareggiabile  forza la storia e le stagioni della poesia romena. 
      A metà degli anni Sessanta,  dopo il periodo del terrore stalinista e del quasi totale asservimento della  letteratura nazionale alle esigenze della propaganda e dell’ideologia di  partito, Ana Blandiana è stata la capofila di una generazione di giovani poeti  che ha saputo approfittare di un primo momento di disgelo del regime, per  conquistare nuovi insperati spazi di libertà per la propria scrittura, segnando  un distacco netto, diremmo irreversibile, dalla dottrina del realismo  socialista e riaffermando l’assoluta autonomia del discorso poetico, il suo  diritto a restare fedele unicamente a se stesso. In questo periodo, la poesia  della Blandiana ha contribuito in maniera sostanziale a riannodare i legami  spezzati con la tradizione del modernismo romeno interbellico, recuperando la  lezione dei grandi classici primo novecenteschi, in primo luogo quella,  altissima, di Lucian Blaga, ridotto al silenzio e completamente dimenticato nel  terribile primo decennio totalitario. Il lirismo assoluto blagiano, la sua  dizione poetica assertiva, oracolare, giubilatoria attraversano, infatti, tutte  le prime grandi raccolte della Blandiana, da Il tallone vulnerabile (1966) a Il  terzo sacramento (1969), volumi che hanno ridisegnato in gran parte, anche  grazie a questa ritrovata linfa poetica, il volto della lirica romena  dell’epoca. 
       
    Una voce mai allineata e sempre in campo 
          Sotto  il comunismo, del resto, Ana Blandiana ha semplicemente resistito. Anche negli anni  più bui del ceaușismo, ha sempre opposto alle pressioni ideologiche del regime  la propria dignità di scrittrice, contandosi fra quei letterati romeni che, pur  vivendo e scrivendo sotto la cappa totalitaria, non si sono mai allineati e non  hanno mai svenduto, per opportunismo o timore, la propria indipendenza  intellettuale. Combattendo e trattando, come tutti, con la censura,  approfittando delle ampie zone grigie e delle smagliature del sistema, ha  continuato soprattutto a produrre e a pubblicare grande poesia, come ad esempio  nelle sillogi poetiche che segnano la sua piena maturità creativa, gli straordinari Ottobre  Novembre Dicembre (1972) e L’occhio  del grillo (1981), in cui risuona la voce di una poesia nuova, libera e  fieramente soggettiva, impermeabile ad ogni tipo di retorica o di propaganda. Nell’ultimo  e più tetro periodo del regime, Ana Blandiana diventerà, inoltre, un vero e proprio  punto di riferimento del dissenso. Sono celebri, a questo proposito, i quattro  componimenti pubblicati nel 1984 sulla rivista «Amfiteatru» (Io credo, La crociata dei bambini, Delimitazioni, Tutto), che circoleranno anche clandestinamente  in migliaia di copie manoscritte, in cui la trama delle metafore si farà  esplicitamente politica, dipingendo l’inerzia, la disperazione, la miseria del quotidiano  e l’orizzonte claustrofobico della dittatura. 
      Dopo  la caduta del regime, infine, Blandiana resterà al centro della scena pubblica  nazionale, impegnandosi in prima persona nei processi di  democratizzazione e di ricostruzione di una società civile, sostenendo con  forza la necessità di fare i conti fino in fondo con il proprio passato recente  e con la memoria totalitaria. Non si può non ricordare, in questo senso, la  fondazione, assieme al compagno di una vita Romulus Rusan, del «Memoriale delle  vittime del Comunismo e della Resistenza» di Sighet (Maramureş), un importante museo  e centro di studi sulla storia del regime comunista romeno. Oggi, in Romania,  Ana Blandiana è fra le autrici più famose, non solo per la sua poesia e le sue  opere in prosa (ha scritto alcuni dei più intensi e perfetti racconti  fantastici della letteratura romena), ma anche per la sua saggistica, i suoi  interventi di critica militante, l’instancabile attività civile *.  
         
    Poesia classica e insieme contemporanea 
          Questa  notorietà ed autorevolezza, conquistate sul campo, hanno certamente contribuito  a fare dell’opera di Ana Blandiana un vero e proprio classico contemporaneo.  Tuttavia, la sua poesia può essere definita ‘classica’ anche in un senso più  profondo ed essenziale, che attiene alla sua sovrana inattualità e autosufficienza.  La lirica di Ana Blandiana, infatti, risolve e assume in se stessa ogni altra  dimensione esterna e può essere letta in assenza di ogni contingenza, ignorando  la dimensione pubblica o l’impegno civile dell’autrice. Liscia e ben squadrata,  lascia trasparire pochissimo, a volte quasi nulla, del suo complesso background politico ed esistenziale. La  fedeltà a se stessi, la responsabilità verso il proprio discorso interiore, il  rifiuto dell’autoinganno e l’impossibilità di mentire a se stessi, sono i suoi moventi  principali, i presupposti etici, che la attraversano come correnti profonde. Ma  i suoi versi non sembrano mostrare faglie o profondità, sono distesi  interamente sulla superficie piana e compatta del discorso. Anzi, si potrebbe  dire che il tratto caratteristico e distintivo della poesia di Ana Blandiana sta  proprio nella centralità assoluta del discorso, che domina sulle immagini e  sulle idee, le controlla e razionalizza, disponendole ordinatamente all’interno  delle strutture stabili e perspicue del ragionamento assertivo. 
      La  retorica che sorregge la sua poesia è una retorica della solennità, incarnata  in uno stile riflessivo e disadorno, perseguito per mezzo della ricerca  assoluta della semplicità e della perspicuità, quali virtù principali del  discorso poetico. La sintassi è semplice, priva di ambiguità, ben rilevata nei  suoi nessi logici. Il lessico è improntato ad un uso medio e corrente, senza  scarti o escursioni registrali, raggiungendo il risultato di una sublime gravitas per mezzo della rinuncia a  tutto ciò che poteva risultare insolito, irregolare, sperimentale o troppo  connotato in senso espressivo. Non a caso, una delle sue prime e più esplicite  dichiarazioni di poetica sta sotto il segno di Racine (nella bellissima Din auster și din naivitate, del 1966),  a confermare la scelta di uno stile in cui la «smorzatura classica» (la klassische Dämpfung di spitzeriana  memoria) e l’autocontrollo sono la condizione necessaria perché si realizzi la  scrittura tragica delle passioni.Il fascino e la forza di questa poesia nascono proprio  da un corto circuito fra l’imperturbabile normalità dello stile e la materia  pulsante, vissuta, estrema dei sentimenti rappresentati. All’interno del  recinto rassicurante dello stile, della sua ragionevole ‘grata di linguaggio’,  la poesia di Ana Blandiana è attraversata da fortissime inarcature emotive,  mettendo in scena un’Io ipersensibile, che presta la propria voce  all’inanimato, all’inerte, al vegetale, che investe oggetti fisici e ideali di  una medesima corrente lirica, allo stesso tempo languida e oggettiva, fredda,  riflessiva, ma pronta ad abbandonarsi completamente all’oscura felicità dei  sensi, al corso irrazionale delle paure e dei desideri.  
      Su  toni solo apparentemente elegiaci, nascono in questo modo versi di inquietante  bellezza, che declinano alcune grandi ossessioni sempre ritornanti: il fascino  mortale del sonno, dell’indolenza, della spossatezza, la fisicità negata, il  corpo armatura, il misto di attrazione e repulsione per la matrice vegetale  dell’esistenza, per la forza incontrollabile della germinazione e della  decomposizione.  
    Un'ulteriore riprova: «Patria mia A4» 
     
    Sono  motivi che si ritrovano anche nel suo ultimo volume di versi, Patria mea A4, pubblicato nel 2010 e ora  tradotto in italiano con amorevole cura da Mauro Barindi, che ne offre una  versione precisissima ed empatica (La mia Patria A4, Aracne Editrice). Si tratta di un libro che, se per certi  aspetti conferma le linee di fondo di sempre e l’incrollabile fedeltà della  Blandiana scrittrice al proprio mondo interiore, in molti punti sembra tentare  nuove, sorprendenti direzioni.  
  Il  fatto è che la poesia di Ana Blandiana è per sua stessa costituzione  refrattaria a ogni soliloquio, impensabile senza destinatari chiamati a  condividerne la testimonianza, discorso pubblico, anche quando sembra pura  confessione privata. La sua scelta non è mai stata la fuga o l’arroccamento, ma  quella di restare piantata nel mondo e nella storia, ugualmente lontana  dall’ingenuità consolatoria e dalla tentazione elitaria. Dagli anni Ottanta in  poi la poesia romena è cambiata rapidamente e, a volte, in maniera radicale. Una  forte corrente anti-lirica ha attraversato tutte le nuove generazioni di poeti  che si sono affacciati sulla scena nel periodo post-comunista e che sono  partiti proprio dal rifiuto del neomodernismo oracolare degli anni Sessanta, al  quale hanno contrapposto l’assunzione programmatica dei registri prosastici e  colloquiali, l’oralità esibita, il ricorso pervasivo all’autoironia, all’undertstatement, alla meta-letteratura. Si  potrebbe dire che con il suo nuovo volume, Ana Blandiana, con la consueta classica  naturalezza e senza rinunciare di una virgola alla propria poetica, abbia cercato  una sua posizione all’interno della attuale poesia romena, dialogando come  sempre con il proprio tempo. 
       
      Rispetto  al passato, è proprio la dimensione del solenne e del tragico ad essere  smussata, fin quasi a scomparire, a vantaggio di una colloquialità disinvolta, dimessa,  a volte ironica. I componimenti più innovativi, in questo senso, sono anche  quelli più riusciti. Pensiamo all’iniziale Nell’affresco,  con i suoi sarcastici affondi sul disincantamento del mondo: Fondatori che sorreggono in braccio a fatica  / I loro monasteri / Come un capitale convertibile / Al change office dell’aldilà;/ Giovani monaci/ Con dottorati  a Cambridge / E sacri paramenti baciati / Da vecchie contadine / Che si  trascinano sulle ginocchia / Su lapidi incise in cirillico; o al capolavoro  di Sui pattini, in cui la sublime pietas e il discorso sulla salvezza e la  redenzione dell’umano si risolvono nelle immagini comunissime e quotidiane  delle schiere di giovani che … sfrecciano  sui pattini / Con le cuffie rimbombanti negli orecchi, / Con gli occhi fissi  sui visori, / Senza accorgersi delle foglie che cadono, / Degli uccelli che  partono, / Sfrecciano sui pattini / E sopra scorrono le stagioni / Delle loro  vite / Come anche gli anni e i secoli / Senza che ne capiscano l’essenza. Al sublime e all’oracolare si sostituisce, alla fine, una pointe beffarda e commossa: Mentre  Dio / Scende fra loro 
      E impara a correre sui pattini / Per poterli salvare.  
      Proprio  con le movenze inattese dell’understatement si fa strada in Patria mea A4, il  tema serissimo e, per eccellenza, tragico, del sacro, prima solo sfiorato e ora  preso di petto, con la consueta impietosa lucidità, in alcuni testi altissimi,  da antologia, come Animal planet, in  cui il dialogo si instaura direttamente con la divinità, in una sorta di  rivisitazione della lunga tradizione poetica dei Salmi (che nel Novecento romeno aveva conosciuto l’esempio sommo di  Arghezi): Più innocente, ma non  innocente, / Comunque più innocente di te, / Autore di questa spietata  perfezione, / Che hai deciso tutto / Insegnandomi poi a porgere l’altra  guancia. 
      Persino  il motivo frequentissimo della germinazione e dell’empatia con il mondo  vegetale trova qui nuove forme di espressione, in testi di spiccata tendenza  anti-lirica e narrativa, come nella bellisima Ferita, dove ancora una volta è proprio il sublime ad essere  aggirato e occultato e la spinta elativa verso il tragico e tutta riassorbita  nella nuda rappresentazione: «Il nostro  ciliegio sta morendo», hai detto come se parlassi di un familiare / Quando hai  scoperto il ferro / E hai cominciato a sfilarlo lentamente, / Con attenzione  per non farlo soffrire, / Scrutandolo ogni tanto con lo sguardo / Per  controllare se l’operazione gli facesse male. / «Credi che ce la farà?», mi hai  domandato alla fine. / «Certamente», ti ho risposto, / Perché sapevo che il  ciliegio ci stava ascoltando.  
       
      Anche  da questi pochi scampoli, si sarà capito che la probità intellettuale e  l’intensità lirica di Ana Blandiana occupano un posto di primissimo piano sulla  scena della attuale letteratura europea. Se si dovesse individuare una  genealogia letteraria all’interno della quale inserire la sua poesia, si  dovrebbe pensare probabilmente alla dignità apollinea attraversata da  inquietudini abissali di Anna Achmatova o, ancora meglio, alla lirica salda,  riflessiva e determinata di Ingeborg Bachmann, con cui le corrispondenze e le  affinità sono a volte fortissime e sorprendenti. In questo senso, la  possibilità di leggere oggi in italiano Ana Blandiana significa anche fare i  conti con la grande poesia dell’Est europeo di questi ultimi cinquant’anni, per  recuperarla e integrarla a pieno titolo nel nostro orizzonte intellettuale e  spirituale, per ritessere sul meridiano della poesia, i legami spezzati fra le  due Europe. 
      
       
   
 
  * Il lettore italiano ha a disposizione  alcuni importanti volumi per farsi un’idea della variegata produzione  letteraria di Ana Blandiana: in primo luogo, la magnifica antologia poetica  curata da Bruno Mazzoni e Biancamaria Frabotta in Un tempo gli alberi avevano occhi (Donzelli, Roma, 2004), nonché i  bellissimi racconti fantastici di Progetti per il passato (Anfora, Milano, 2008) curati e  tradotti dal compianto Marco Cugno. Recentemente, infine, Mauro Barindi ha  tradotto le interessanti prose di viaggio di Il mondo sillaba per sillaba (Saecula Edzioni, Zermeghedo - Vicenza, 2012). 
   
   
   
   
  Nell’affresco 
 Fondatori  che sorreggono in braccio a fatica               
  I  loro monasteri                                                            
  Come  un capitale convertibile                                      
  Al  change office dell’aldilà;                                        
  Giovani  monaci                                                            
  Con  dottorati a Cambridge                                          
  E  sacri paramenti baciati                                              
  Da  vecchie contadine                                                   
  Che  si trascinano sulle ginocchia                                 
  Su  lapidi incise in cirillico;       
  Megafoni                      
  Che  trasmettono la messa                                            
  Fino  al cortile pieno di tende,                          
  Fino  alla strada sui cui cigli                                          
  Sono  parcheggiate le automobili                                  
  In  attesa della benedizione;                                         
  Mentre  la fede –                                                             
  Come  le rondini                                                           
  Che  s’intrufolano sotto la cupola                                 
  Spaurite  dalle campane –                                              
  Volteggia  impaurita                                                     
  Sbatte  contro le pareti dipinte,                                     
  Contro  il Pantocratore,                                                 
  Scende                                                                         
  E si posa docile nell’affresco.       
 
   
   
 
  În frescă 
Ctitori  purtându-şi în braţe cu greu 
  Mănăstirile,  
  Ca  pe un capital convertibil  
  La  change-office-ul vieţii de apoi; 
  Călugări  tineri 
  Cu  doctorate la Cambridge 
  Şi  odăjdii sărutate 
  De  ţărăncile bătrâne 
  Târându-se  în genunchi 
  Pe  lespezile cu inscripţii chirilice; 
  Megafoanele 
  Transmiţând  slujba 
  Până  în curtea plină de corturi,  
  Până  în şoseaua pe marginea căreia 
  Sunt  parcate maşinile 
  Aşteptându-şi  sfinţirea; 
  În  timp ce credinţa –  
  Asemenea  rândunelelor 
  Care  pătrund sub cupolă  
  Zburătăcite  de clopote –  
  Se  roteşte speriată,  
  Se  loveşte de pereţii pictaţi,  
  De  Pantocrator,  
  Coboară 
  Şi se aşază cuminte în  frescă. 
   
   
   
   
Animal Planet  
Più  innocente, ma non innocente, 
  In  questo universo dove 
  Le  leggi stesse della natura decidono 
  Chi  deve uccidere chi 
  E  colui che uccide di più è re: 
  Con  quanta ammirazione è filmato 
  Il  leone che placido e feroce scortica la gazzella, 
  E  io, chiudendo gli occhi o spegnendo il televisore, 
  Ho  la sensazione di essere meno partecipe al crimine, 
  Sebbene  sappia che nel lume della vita 
  Va  sempre versato sangue, 
  Il  sangue altrui. 
Più  innocente, ma non innocente, 
  Ho  mangiato al tavolo dei cacciatori, 
  Sebbene  mi piacesse accarezzare le orecchie lunghe 
  E  setose delle lepri 
  Gettate,  come su un catafalco, 
  Sulla  tovaglia ricamata. 
  Colpevole,  anche se non ero io a premere il grilletto, 
  Ma  mi tappavo gli orecchi, 
  Orripilata  dal rumore della morte 
  E  dall’odore del  sudore indecente di coloro che hanno sparato.  
Più  innocente, ma non innocente, 
  Comunque  più innocente di te, 
  Autore  di questa spietata perfezione, 
  Che  hai deciso tutto 
  Insegnandomi poi a porgere l’altra guancia.
   
   
   
   
  Animal planet 
   
  Mai  nevinovată, dar nu nevinovată,  
  În acest univers în care 
  Înseşi legile firii hotărăsc 
  Cine trebuie să ucidă pe  cine 
  Şi cel ce ucide mai mult  este rege: 
  Cu ce admiraţie este filmat 
  Leul placid şi feroce  sfârtecând căprioara,  
  Iar eu, închizând ochii sau  televizorul,  
  Am senzaţia că particip la  crimă mai puţin,  
  Deşi ştiu că-n opaiţul vieţii 
  Trebuie pus mereu sânge,  
  Sângele altuia. 
Mai nevinovată, dar nu  nevinovată,  
  Am stat la masă cu vânători,  
  Deşi îmi plăcea să mângâi  urechile lungi 
  Şi mătăsoase ale iepurilor 
  Azvârliţi, ca pe un  catafalc, 
  Pe faţa de masă brodată. 
  Vinovată, chiar dacă nu eu  apăsam pe trăgaci, 
  Ci-mi astupam urechile, 
  Oripilată de zgomotul morţii 
  Şi de mirosul sudorii neruşinate  a celor ce-au tras. 
   
  Mai nevinovată, dar nu  nevinovată,  
  Totuşi mai nevinovată decât  tine,  
  Autorul acestei perfecţiuni  fără milă,  
  Care ai hotărât totul 
  Şi apoi m-ai învăţat să  întorc şi celălalt obraz. 
   
   
   
   
Sui pattini  
 
Loro  sfrecciano sui pattini 
  Con  le cuffie rimbombanti negli orecchi, 
  Con  gli occhi fissi sui visori, 
  Senza  accorgersi delle foglie che cadono, 
  Degli  uccelli che partono, 
  Sfrecciano  sui pattini 
  E  sopra scorrono le stagioni 
  Delle  loro vite 
  Come  anche gli anni e i secoli 
  Senza  che ne capiscano l’essenza.   
  Loro  sfrecciano sui pattini 
  Fra  ombre della realtà 
  Che  credono reali 
  E  fra personaggi che a loro sembrano degli umani, 
  Meccanismi 
  Creati  da altri meccanismi 
  A  loro immagine e somiglianza, 
  Mentre  Dio 
  Scende  fra loro 
  E  impara a correre sui pattini 
  Per poterli salvare.  
   
   
   
  Pe role 
   
  Ei trec pe role 
  Cu căştile bubuind la urechi,  
  Cu ochii fixaţi pe monitoare,  
  Fără să observe frunzele care cad,  
  Păsările care pleacă,  
  Ei trec pe role 
  Şi peste ei trec rulând anotimpurile 
  Vieţilor lor 
  Şi anii, şi veacurile,  
  Fără să înţeleagă despre ce este vorba. 
  Ei trec pe role  
  Printre umbre ale realităţii 
  Despre care cred că există 
  Şi printre personaje care li se par oameni,  
  Mecanisme  
  Create de alte mecanisme 
  După chipul şi asemănarea acestora,  
  În timp ce Dumnezeu 
  Coboară printre ei 
  Şi învaţă să meargă pe role 
  Ca să îi poată salva. 
   
   
   
   
  Ferita  
   
  Qualcuno ha stretto un ferro 
  Intorno al tronco del ciliegio, 
  Ferendolo in profondità senza pietà 
  Perché non sapeva che un ciliegio può  essere ferito 
  (Socrate, mi pare, diceva che gli uomini  sono malvagi 
  Per ignoranza), 
  E ha cominciato a grondare abbondante 
  Un sangue colloso, 
  Bruno, simile all’ambra, 
  Come se si trattasse di un animale  sgozzato e non di un  
  albero. 
  E le sue foglie in piena estate si sono  fatte pallide  
  Come se per il dolore si fosse  trasfigurato. 
  «Il nostro ciliegio sta morendo», hai  detto come se 
  parlassi di un familiare 
  Quando hai scoperto il ferro 
  E hai cominciato a sfilarlo lentamente, 
  Con attenzione per non farlo soffrire, 
  Scrutandolo ogni tanto con lo sguardo 
  Per controllare se l’operazione gli  facesse male. 
  «Credi che ce la farà?», mi hai domandato  alla fine. 
  «Certamente», ti ho risposto, 
  Perché sapevo che il ciliegio ci stava ascoltando. 
   
   
   
  Rană 
   
  Cineva a răsucit o sârmă 
  În  jurul tulpinii cireşului,  
  Rănindu-l adânc fără milă 
  Pentru că nu ştia că un cireş poate fi rănit 
  (Socrate, mi se pare, spunea că oamenii sunt răi 
  Din neştiinţă),  
  Iar el a început să sângere abundent 
  Cu un sânge cleios,  
  Maroniu, asemenea chihlimbarului,  
  Ca un animal înjunghiat, nu ca un arbore. 
  Şi frunzele i s-au făcut în plină vară palide 
  Ca şi cum de durere s-ar fi schimbat la faţă. 
  „Cireşul nostru moare“, ai spus ca despre o rudă 
  După ce ai descoperit sârma 
  Şi ai început să o desfaci încet 
  Cu grija de a nu-l face să sufere,  
  Cercetându-l din când în când cu privirea 
  Să verifici dacă operaţia îl doare. 
  „Crezi c-o să scape?“, m-ai întrebat la sfârşit. 
  „Sunt sigură“, ţi-am răspuns, 
  Ştiind că cireşul ne aude. 
   
   
   
   
  La patria  dell’inquietudine  
   
  La patria dell’inquietudine è qui 
  Disposta a ripensarci 
  Da un momento all’altro 
  E tuttavia non desiste dall’attendere 
  Qualcosa d’indefinito. 
  La patria è qui, 
  Fra queste pareti 
  A pochi metri l’uno dall’altro, 
  E neppure in tutto lo spazio in mezzo, 
  Ma solo sul tavolo cosparso di fogli e di  matite 
  Pronte a scattare in piedi e mettersi a  scrivere, 
  Scheletri di vecchi calami rianimatisi  all’improvviso  
  Inutilizzati da tempo, dall’inchiostro  rinsecchito, 
  Che scivolano frenetici sulla carta 
  Senza lasciare traccia… 
  La patria dell’inquietudine è qui: 
  Riuscirò mai un giorno 
  A decifrare le tracce che non si vedono, 
  Ma che io so che esistono e che aspettano 
  Che le passi in bella copia 
  Nella mia patria A4? 
   
   
 
  Patria neliniştii 
   
  Aici este patria neliniştii,  
  Gata  să se răzgândească 
  Din  clipă în clipă 
  Şi,  totuşi, nerenunţând să aştepte 
  Ceva  nedefinit. 
  Aici  este patria,  
  Între  pereţii aceştia 
  La  câţiva metri unul de altul,  
  Şi  nici măcar în spaţiul întreg dintre ei,  
  Ci  doar pe masa cu hârtii şi creioane 
  Gata  să se ridice singure şi să scrie,  
  Schelete  brusc animate ale unor condeie mai vechi 
  Nefolosite  de mult, cu pasta uscată,  
  Lunecând  pe hârtie frenetic 
  Fără  să lase vreo urmă... 
  Aici  este patria neliniştii: 
  Voi  reuşi vreodată 
  Să  descifrez urmele care nu se văd,  
  Dar  eu ştiu că există şi aşteaptă 
  Să  le trec pe curat 
  În patria mea A4? 
 
   
  (n. 6,  giugno 2015, anno V)  
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