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    «L’omino rosso» di Doina Ruşti. Una lettura di Diego Zandel 
       
     
     Sono diversi i motivi di interesse del romanzo di Doina Ruşti L’omino rosso, edito in queste  settimane in Italia dalla casa editrice fiorentina Nikita, alla quale va il  grande merito di far conoscere le letterature dei paesi dell’est europeo uscite  dalla dittatura dei regimi comunisti. Doina Ruşti è ben il quarto autore  romeno, dopo Florin Lăzărescu, Nora Iuga, Cecilia Ştefănescu, ad essere  tradotto da Nikita su 18 titoli finora pubblicati. Una media, come si vede,  alta che testimonia la vitalità dell’attuale narrativa romena, della quale  Doina Ruşti è senz’altro tra le esponenti più significative. 
       
        L’omino rosso, tradotto da  Roberto Merlo, è un romanzo complesso. Sicuramente offre un quadro della vita  romena d’oggi nell’ottica di una grande città della periferia europea come  Bucarest, pur sempre la capitale del Paese. È indubbio che, come tale,  rappresenti il centro culturale di esso, portatore pertanto anche di un potere,  a cominciare da quello editoriale, per poi da qui irraggiarsi ovunque. 
      È in questo contesto che facciamo la conoscenza di Laura, una  intellettuale che punta, per vivere, a pubblicare con grande competenza testi  adatti per le istituzioni scolastiche e universitarie, ma si vede ben presto  sminuita da giovanissime rampanti del suo stesso sesso che, belle e ben  addentro le tecniche di seduzione, hanno guadagnato la fiducia degli uomini di  potere che presiedono le case editrici di quelle stesse istituzioni. Laura usa  subito una definizione che ben si attaglia a queste ragazze intraprendenti:  Lolite. E lo fa in maniera cruda, giudicando già la prima di esse che incontra,  ben protetta per meriti sessuali, dal direttore della casa editrice, come «fighetta  illetterata ma che non molla l’osso. Alla fine della fiera, quello che voleva  era che firmassimo il libro insieme. Il procedimento è semplice: Lolita dice,  in quanto specialista, è ovvio, che il manoscritto è pieno di errori. Non ha  importanza se l’ha già letto un mucchio di gente prima di lei. Nulla ha  importanza, di fronte alle lolite». Il che dà idea di un (mal)costume diffuso,  del quale comunque la realtà romena non risulta unica: in Italia abbiamo Lolite  che, grazie a favori sessuali, si sono guadagnate addirittura il posto in  parlamento e nei consigli regionali.  
       
      Il fenomeno, pertanto, è ben chiaro. Doina Ruşti, attraverso  il personaggio di Laura, che è l’io narrante della storia, lo fa per quanto  attiene l’ambiente culturale del suo paese, dandole la chiave per introdurre il  personaggio in nuove dimensioni, in particolare quelle virtuali, favorite dalla  penetrazione di internet.  
      Accade che le delusioni accademiche di Laura la spingano a  un contradditorio rinchiudersi in se stesso davanti al computer  dando sfogo al racconto quotidiano della sua  vita: contraddittorio perché si tratterrà di uno sfogo pubblico nell’ambito di  un social network che avrà diversi effetti sia su di lei che sui suoi lettori. 
      Tutto nasce dal contatto con un interlocutore lontano,  Andrei, che ben presto si saprà essere a New York, un giovane romeno la cui  ambizione è quella di creare una rivista culturale che vedrebbe in Laura una  collaboratrice di punta. Il rapporto tra loro si fa sempre più frequente e si  arricchisce di curiosità, soprattutto quelle di Laura nei confronti  di Andrei, da spingerla fino  all’innamoramento.  
      Donna sola, frustrata, ricca di sogni nonostante le  disillusioni, Laura ha assoluto bisogno di amore. Questo vuoto emerge tutto  dalla sua storia, fatta di incontri, le illusioni delle amiche, la loro sordità  sentimentale, i suoi scambi epistolari elettronici, le sue riflessioni, sfoghi,  turbamenti, ricordi. Una quantità di materiali umani che diventano patrimonio degli  iscritti al social network i quali vi partecipano, come a una sorta di telenovela,  lasciando ad ogni capitolo i loro commenti.  
       
      Lo spaccato d’insieme che viene fuori è quello della Romania  d’oggi, che è un paese ormai del tutto inserito nel mondo capitalistico del  consumismo e delle multinazionali (abbiamo, oltre al mondo di internet, i  Macdonald, i Pizza Hut, la festa degli innamorati di San Valentino, fino a  dieci anni prima del tutto sconosciuti e così via). E abbiamo ancora la forte  presenza di scorie del passato regime comunista e della sua dissoluzione, che  emerge in pagine di grande vivezza come questa: «Alla fine degli anni Ottanta,  quelli che pensavano a perpetuare la specie, tanto per restare in tema, non si  limitavano più solo a rubare sul  posto di lavoro: ogni giorno qualcosa, non importa cosa, perché è peccato non  rubare, tanto non è di nessuno, e dall’usciere al direttore tutti si portavano  via un rocchetto di filo, una scatola di graffette, un pugno di chiodi, perché  sarebbe stata una vergogna tornare a casa a mani vuote. Nell’ultimo periodo  della dittatura comunista, la gente aveva iniziato a vendere la roba della fabbrica o dell’officina dove lavorava: chi  aveva bisogno, diciamo, di piastrelle, o andava di notte a rubarle in un  cantiere oppure, molto più semplicemente, dava dei soldi agli operai del  cantiere che le rubavano per lui». 
       
      Altri e diversi, naturalmente, sono i passaggi simili, così  come altrettanti sono le immagini inquietanti di oggi. La svolta, comunque,  avviene tutta a livello virtuale. Laura a poco a poco entra in uno spazio in cui  si aggira un omino rosso. È il frutto sperimentale di un hacker, Albert, che,  partecipando al network, si inserisce nel mondo di Laura, un mondo nuovo che  avrà il nome di Alazar. È qui che sparirà alla fine la donna. Della quale non  solo non resterà traccia nel social network, ma neppure nella vita reale della  quale scriveva.  
      L’epilogo, infatti, è interamente riservato ai suoi  interlocutori del social network, che, a un certo momento, non leggendo più  nulla di Laura si scambiano messaggi relativi alla sua fine. E c’è chi davvero  è andato a cercarla. «Ho pure cercato di rintracciarla», scrive uno, «ma è  scomparsa. Con Radio Regal non collabora più perché ho chiamato e ho chiesto a  qualcuno là». «Io ho visto quell’enciclopedia di cui parlava sempre in uno  stand della Fiera del Libro», scrive un altro ancora, «Ho chiesto di lei alla  commessa, ma non ne sapeva niente. Mi sono sempre chiesto che faccia avesse,  chi sia e ovviamente che fine abbia fatto». 
      Che sia scomparsa in un mondo virtuale, dove però ha  finalmente scoperto l’amore? E chi è veramente Albert, colui che le ha fatto  conoscere l’omino rosso?   
      Lo scioglimento del mistero lo lasciamo ai lettori. 
 
  Diego Zandel 
     (n. 4,  aprile 2012, anno II) 
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