«Dayan e altri racconti». I labirinti di Mircea Eliade

La traduzione non è una semplice operazione di trasferimento di contenuti da una lingua all’altra, ma rappresenta un processo molto più complesso – pensiamo, ad esempio, alla traduzione letteraria – durante il quale un buon traduttore tocca «l’anima» stessa dell’opera che traduce. È quel che succede con il volume Dayan e altri racconti che, nella traduzione a cura di Horia Corneliu Cicortaş (postfazione di S. Alexandrescu, Bietti, Milano 2015, pp. 200), riesce a trasportare il lettore italiano e italofono nell’atmosfera della narrativa fantastica di Mircea Eliade, mettendo a disposizione un testo che non sembra nemmeno tradotto, ma scritto direttamente in italiano dall’autore, che abbiamo il piacere di leggere come se fosse l’originale. Tramite un eccellente lavoro, il traduttore ci svela tre racconti di Eliade, inediti in italiano, scritti tra il 1975 e il 1982 e pubblicati in Francia, paese adottivo dove lo scrittore romeno si trasferisce alla fine della Seconda Guerra Mondiale e rimane fino al 1956. Si tratta di un materiale particolarmente interessante sul piano letterario, ma anche per i riferimenti di natura politica in esso contenuti e a causa dei quali non è stato mai pubblicato in Romania durante la dittatura di Ceaușescu, ma solo in seguito, nel 1991, dopo la caduta del regime nel dicembre del 1989.

I racconti scelti rivelano la straordinaria e polivalente personalità dello scrittore, che riesce a concentrarvi aspetti e temi che caratterizzano il suo pensiero – religione e scienza, filosofia e mitologia – che coprono aree di interesse riguardanti il tempo, l’esistenza, il sogno, la morte e l’accesso ad altri spazi e dimensioni. Un filo rosso che sembra unire i tre racconti è rappresentato dall’elemento politico, inserito in un determinato contesto temporale del secondo Novecento. Una specie di entità perpetua e allo stesso tempo altamente convertibile acquisisce dimensioni fantastiche e altrettanto assurde, alla maniera di Kafka, attraverso il mistero e la suspense che l’autore sa creare partendo da un fatto che, destando sospetto e curiosità, dà il via all’azione.

Dayan, il primo e più lungo dei tre racconti, scritto a Palm Beach e a Chicago tra il dicembre del 1979 e il gennaio del 1980, tratta il tema del tempo attraverso l’incredibile prospettiva aperta dalla matematica per cui il Tempo ha la capacità di concentrarsi e dilatarsi a seconda delle circostanze. Il racconto segue una traiettoria labirintica nella quale il personaggio che gli dà il nome compie un percorso di composizione e decomposizione esistenziale strettamente «accompagnato» da due presenze diametralmente opposte: Ahasverus, una sorta di anima mundi, Spirito del Mondo che potrebbe essere ognuno di noi e l’onnipresente Securitate, la polizia segreta romena, che indaga le vicende fantastiche nelle quali viene coinvolto Dayan, un geniale studente di matematica che diventa sospetto e finisce, seguendo il classico e crudele scenario prediletto dalle autorità comuniste romene del tempo, in un ospedale psichiatrico con la diagnosi di una «classica schizofrenia».

La mantella (in romeno Pelerina), datata Puerto de Andratx, agosto 1975, è il racconto che più permette al lettore di calarsi nell’atmosfera di sospetti e intrighi di un paese socialista al tempo della Guerra Fredda. Il filo narrativo prende avvio da un’anomalia, un fatto oscuro, una specie di scandaloso segreto che sconvolgerebbe il mondo intero. Il tema del tempo, che sembra «atemporale» e insieme molto preciso, aumenta il senso di incertezza e ansia in un universo nel quale tutto sembra di una gravità eccezionale, colossale, irreparabile. Un universo dominato dalle azioni paranoiche della Securitate, pronta a soffocare ogni tipo di complotto contro il Partito che, come afferma un suo alto dirigente, «non sbaglia mai», ma si sente minacciato dalla misteriosa formula che risulta dalla decodificazione degli incomprensibili messaggi inviati attraverso le copie apocrife di «Scînteia», il quotidiano ufficiale del regime.
La formula scoperta dalle autorità che indagano sull’incomprensibile complotto – Sognatori di tutto il mondo, unitevi! – risulta essere un’alterazione ironica del noto slogan Proletari di tutti i paesi, unitevi!, mettendo così in discussione le radici ideologiche del regime comunista e la sua ingannevole immagine di costruttore del «paradiso socialista».

Emergono, in questi primi due racconti del volume, i metodi tipici adottati dalla Securitate durante la dittatura comunista (pedinamenti, intercettazioni, ricatti, minacce), ben descritti da un Eliade che si rivela un ottimo conoscitore della Romania comunista, dove non mise mai piede dopo la guerra. Sebbene nel terzo racconto, All’ombra di un giglio… (La umbra unui crin, Chicago-Eygalières, aprile-agosto 1982), il nome dei servizi segreti romeni venga menzionato solo da uno dei personaggi che fa riferimento a un episodio del passato, i metodi polizieschi continuano a esservi presenti. Lo scrittore sceglie per quest’ultimo racconto un’altra geografia, diversa da quella della città di Bucarest, spostando l’azione all’estero, tra un gruppo di romeni emigrati a Parigi. Come negli altri due racconti, le circostanze, per quanto plausibili, diventano man mano inverosimili. «Incontrarsi all’ombra di un giglio» costituisce la frase chiave della narrazione che apre la discussione su temi che preoccupano la società degli anni Ottanta, con misteriosi riferimenti agli UFO o alle possibilità di alterazione di spazio e tempo confermate dalla scomparsa, in un determinato tornante di una strada statale, di alcuni camion che «entrano in uno spazio con altre dimensioni rispetto al nostro». Così, la natura sembra governata da leggi e regole che trascendono il tempo, o almeno la temporalità che conosciamo. Parimenti, gli stessi protagonisti dei tre racconti trascendono l’esperienza comune. Dayan, ma anche Pantelimon (La mantella) e Postăvaru (All’ombra di un giglio), conducono solo apparentemente un’esistenza normale. In realtà, ognuno di loro ha delle stranezze difficilmente spiegabili, compie gesti bizzarri e aperti a varie interpretazioni, mescolando il piano della realtà e quello onirico.

Nonostante la composizione complessa che rischia talvolta di confondere il lettore, tutti e tre i racconti sono caratterizzati da un dinamismo particolare che risulta dai dialoghi, tesi, ironici e penetranti allo stesso tempo. Come osservava Alex Ştefănescu nella sua Storia della letteratura romena contemporanea (Istoria literaturii române contemporane), Eliade non risparmia il suo pubblico, ma lo espone a una quantità esagerata di personaggi che si ritrovano a parlare dei grandi problemi dell’umanità, in particolare della probabilità di un’esistenza anche «al di là», del Sacro Graal dotato di poteri mistico-magici, della possibilità di fermare il tempo, del potere del ricordo e dell’amnesia.
Il lettore si trova di fronte a tre narrazioni che riguardano quella «dialettica del fantastico» – di cui Sorin Alexandrescu parla in un celebre studio sulla narrativa eliadiana – che, secondo lo scrittore, è in grado di mostrare il senso fondamentale dell’esistenza anche in un mondo spopolato dagli dèi. Senso dell’esistenza e (ri)scoperta del proprio destino sono racchiusi nelle tre narrazioni di questo volume che, grazie anche alla breve ma illuminante postfazione di Sorin Alexandrescu, riesce a introdurci pienamente nei labirinti letterari di Mircea Eliade.

 

Elena Lavinia Dumitru
(n. 5, maggio 2016, anno VI)


Ndr: un elenco delle numerose traduzioni in italiano delle opere di Mircea Eliade è disponibile nel nostro database Scrittori romeni in italiano.