Paul Celan e la dimensione romena, nella testimonianza dell'amico Petre Solomon

Un punto di vista particolare su Paul Celan: lo propone Giovanni Rotiroti nell'introduzione al libro di Petre Solomon, Paul Celan. La dimensione romena (a cura di Giovanni Rotiroti, traduzione di Irma Carannante, postfazione di Mircea Ţuglea, Mimesis, Milano-Udine, 2015). Il testo di Rotiroti illumina la dimensione più umana del Nostro poeta, il lato in cui si fa strada l’albeggiare della poesia celaniana.

Gli occhi dell’amicizia di Petre Solomon, poeta di Bucarest, illuminano un Celan che scrive in romeno nel periodo della sua giovinezza. Il poeta traduce dal tedesco al romeno, con l’aiuto del suo amico, la prima versione della Todesfuge – uno dei più importanti capolavori del Novecento – pubblicata con il titolo romeno Tangoul Morţii a Bucarest.
Celan, ebreo segnato dal nazismo, dalla guerra, dal dramma familiare dopo aver perso i genitori (uccisi dalle SS in un campo di lavoro), imprigionato lui stesso e poi tornato libero. Intorno al 1945-47 si ritrova a vivere una bella esperienza in una città viva quale era all’epoca Bucarest. Condivide con alcuni amici momenti indimenticabili, la bella stagione dei giochi di parole.
In Celan la poesia è testimonianza, messaggio, comunicazione che con l’andar degli anni diviene sempre più frammentata. Il flusso delle parole è spezzato continuamente da altre parole, incursori che minano ogni possibile accomodamento. Sembra che l’autore provi, con ogni mezzo a sua disposizione,a ’incutere angoscia e riflessione, ragionamento. Non ci si può permettere il lusso di adagiarsi su facili, preconfezionati, retorici o significati. La poesia è verità che libera responsabilizzando. «La vera testimonianza non implica solo il campo del diritto, le aule dei tribunali o la verità storica. La testimonianza risponde solo di colui che la sostiene attraverso l’unico supporto che ha, ovvero la parola» [1].

Celan è nato in Bucovina, ma la sua lingua madre è il tedesco. Questa terra a Nord-Est rimarrà sempre un punto di riferimento, come la Stella polare per chi rimane in mare aperto, sradicato e disorientato. La Bucovina natale, diceva Celan, era «una contrada in cui vivevano uomini e libri». «Uomini e libri», aggiunge Petre Solomon, hanno vissuto anche a Bucarest negli anni 1945-47.
Celan partirà da Bucarest nel 1947 per Vienna e si ritroverà a vivere a Parigi, città che gli rimarrà sempre un po’ aliena. In una lettera del 12 settembre 1962 spedita a Solomon scrive: «Ho conosciuto – e tradotto – un certo numero di grandi poeti francesi. (Come ho conosciuto il “fior fiore” dei poeti tedeschi.) Alcuni mi hanno testimoniato, negli invii e nelle dediche, un’amicizia di cui dirò solo questo: essa si è avverata essere molto “letteraria”. Ma ho avuto, molto tempo fa, degli amici poeti: era tra il ’45 e il ’47, a Bucarest. Non lo dimenticherò mai» [2].
Il giovane Paul Antschel, Paul Celan, si ritrova a Bucarest a venticinque anni, dopo un periodo molto doloroso, successivo alla perdita dei genitori. Fa amicizia con il poeta e scrittore Alfred Margul-Sperber, che avrà un ruolo molto importante per la sua carriera. In città trova un lavoro come traduttore, per la casa editrice Cartea Rusă, all’epoca frequentata da molti illustri scrittori romeni, come Mihail Sadoveanu e Cezar Petrescu. Qui Celan conosce il poeta Alexandru Philippide, nottambulo come lui e lo stesso Petre Solomon. «Grazie al suo talento filologico e alla sua straordinaria intelligenza, il redattore Paul Ancel – così all’epoca si firmava – non aveva grossi problemi sul lavoro. Le sue traduzioni de I contadini di Cechov, Un eroe del nostro tempo di Lermontov e La questione russa di Konstantin Simonov, firmate Paul Ancel oppure A. Pavel, attestavano una buona padronanza delle sfumature stilistiche delle lingue e una grande serietà professionale» [3].
Oltre al lavoro, la vita del giovane Paul Celan e dell’amico Solomon scorreva a Bucarest insieme agli amici uniti da interessi comuni. Era quella che Petre definisce «la bella stagione dei Calembour», la bella stagione dei giochi di parole. E chi, se non un poeta, ama giocare con le parole in modo intelligente per esaltarne o sminuirne i significati. La vera funzione dei giochi di parole «è la lotta contro i tabù», scrive Solomon citando Pierre Guiraud [4].
A casa di Nina Cassian, poetessa amica sia di Petre che di Paul, spesso i giochi di parole divenivano una specie di «Ioachim» in versi con rime predisposte. Scrive Solomon: «Io ero abbastanza allenato, ma quando Paul gustò le delizie di questo gioco surrealista, mostrò di avere certamente una vocazione molto più profonda della mia» [5].

Un «franco tiratore dell’avanguardia»

«Ma Celan è un poeta surrealista?», si chiede Petre Solomon.
«Celan prende dal surrealismo ciò che gli serve, cioè la parte poetica – la parte del sogno, la parte della notte, il miracolo. Ma anche la parte del gioco, l’umorismo verbale, la libertà dell’immaginazione; in breve, non il movimento in sé, ma lo stato d’animo surrealista era ciò che attraeva Paul Celan, franco tiratore dell’avanguardia, refrattario a qualsiasi inquadramento» [6].
Nelle poesie di Celan è importante il messaggio, la testimonianza del dolore causato dalla persecuzione nazista. In Celan respirano Kafka e Benjamin, ovvero la magia del linguaggio; la Parola come «matrice dell’esistenza e depositaria della memoria collettiva» [7].
Sarà a Bucarest, in questi anni, che Celan tradurrà in romeno, con l’aiuto dell’amico Petre, la poesia in lingua tedesca Todestango. Parafrasando Solomon, tradurre in un’altra lingua è come l’uscita di un cosmonauta nello spazio che si trova fuori dalla navicella; è un’uscita provvisoria ma è anche il modo di osservare la propria opera da un altro punto di vista, quello di un’altra lingua, quella romena, appunto. Il rientro nella navicella, la lingua madre, è compreso sin dall’inizio. Scrive Petre Solomon: «Ad un certo punto della sua evoluzione poetica, Paul Celan si era posto in modo acuto la domanda sull’effettiva possibilità di scrivere poesia dopo Auschwitz – domanda alla quale Theodor W. Adorno aveva risposto negativamente. Un poeta autentico non può rassegnarsi al silenzio, neppure in una situazione limite come quella dettata dalla risposta negativa del filosofo tedesco. Ma, d’altra parte, Celan sentiva chiaramente l’inadeguatezza del suo dire poetico al “messaggio” che voleva trasmettere – “messaggio” che non poteva soffocare né tanto meno mettere a tacere. Il suo dilemma era, allo stesso tempo, esistenziale e poetico, e coinvolgeva anche i suoi rapporti con la lingua madre e le relazioni con il proprio destino. Chi non comprende questo dilemma, non capisce assolutamente nulla della poesia di Celan che, nella sua totalità, rappresenta un dialogo disperato tra il poeta e la sua madrelingua. Più tardi, il poeta sottoporrà la lingua tedesca ad un processo di trasformazione radicale, attraverso la rottura dei suoi modelli sintattici e con l’introduzione di alcuni elementi lessicali stranieri (soprattutto lo yiddish e l’ebraico, le lingue delle vittime dell’olocausto nazista)» [8].

Paul Celan lasciò Bucarest per Vienna e poi per Parigi, dove rimase fino alla morte. Il poeta non sembra ritrovare più quei legami interpersonali, quelle amicizie sincere che trovò in quella città a Nord Est, Bucarest. Dalle lettere a Petre e a Nina traspare tanta amarezza. Il tempo che fu e le dolci accoglienti atmosfere passate insieme sembrano ormai impossibili.
Petre Solomon ritroverà Paul Celan a Parigi ma incontrerà un uomo cambiato, invecchiato e, forse, deluso dalle accuse di plagio mosse da Claire Goll, vedova del poeta espressionista Ivan Goll, per il quale Celan aveva tradotto alcune opere. Paul Celan fu deluso anche dagli Sessanta quando, nonostante tutto, assiste al risorgere dell’antisemitismo.
Le prove a cui un uomo viene sottoposto sono molte nella vita e sicuramente Paul Celan ne superò molte. Se poi un giorno decise di gettarsi tra le braccia della Senna, ciò non aggiunge né toglie niente al grande poeta, come all’uomo e amico che è stato.



Elena Marchi
(n. 7-8, luglio-agosto 2015, anno V)



NOTE

1. Giovanni Rotiroti, Introduzione, in Petre Solomon, Paul Celan. La dimensione romena, a cura di Giovanni Rotiroti, Mimesis, Milano-Udine, 2015, p. 27.
2. Petre Solomon, Paul Celan. La dimensione romena, cit., p. 54.
3. Ibidem, pp. 74-45.
4. Ibidem, p. 117.
5. Ibidem, p. 140.
6. Ibidem, p. 143.
7. Ibidem, p. 109.
8. Ibidem, p. 148.