Matei Vişniec e la poetica del ‘teatro decomposto’

La molteplicità feconda dell’opera di Matei Vişniec, drammaturgica e letteraria in senso più esteso, la tematica e la poetica pienamente coerenti con le nuove forme estetiche affermatesi all’interno dei paradigmi del teatro e della letteratura più recente, nonché le conseguenze sul piano artistico, che derivano dalla condizione bilingue della scrittura dell’autore, si prestano a letture ed approcci interpretativi e relazionali interdisciplinari.
Le modalità drammaturgiche adottate da Vişniec sul piano testuale, atte a  connotare il côté linguistico in prospettiva scenica, il potenziale espressivo polivalente, che perviene a illustrare, talvolta a livello di una singola pièce,  un crogiolo di registri stilistici diversi, collocano il suo teatro in prossimità di confini fluidi, là dove convergono la teoria dello spettacolo e quella letteraria, la teoria  della  traduzione, la letteratura comparata, le letterature e le lingue francese e romena, che l’autore ha scelto come idiomi della sua scrittura.

Verso una lettura in chiave interdisciplinare conducono anche le diverse articolazioni dei testi teatrali, compositive e tematiche, i cui esiti polisemici consentono di ricavare valenze registiche e semantiche, sia al livello complessivo di ciascun dramma, sia sul piano microtestuale delle sequenze chiave e delle immagini simboliche. All’intenzionalità di interrogare i segni peculiari delle testure  drammaturgiche e sceniche delle quattro  opere incluse nella raccolta Matei Vişniec, 'La storia del comunismo raccontata ai malati di mente' e altri testi teatrali (Editoria&Spettacolo Edizioni 2012), verranno  ad affiancarsi alcuni aspetti comparativi attinenti alla doppia declinazione della letteratura di Vişniec, costituita oltreché dal côté drammaturgico, largamente riconosciuto e apprezzato in Francia, Romania e altrove, dalla produzione in versi e in prosa dello stesso autore, altrettanto interessante e prestigiosa.
L’approccio comparativo teatro-poesia, teatro-prosa, teatro-giornalismo, sarà inteso a ipotizzare la migrazione trasversale di modalità espressive e aspetti stilistici nella poetica dell’opera di Vişniec, che indicheranno l’aderenza del teatro e degli altri generi letterari e non, in cui l’autore si è illustrato, a modelli che caratterizzano l’estetica drammatica e letteraria della postmodernità, l’antropologia culturale attuale e, in una accezione più ampia, il postmodernismo. Il raffronto si focalizzerà principalmente su alcune accezioni dell’intertestualità e del concetto di performance, presenti capillarmente nelle poetiche più innovative del teatro e della letteratura contemporanei.

L’opera drammaturgica dell’autore franco-romeno sintetizza e intreccia i tratti salienti della fase romena (1977-1987) e di quella francese per esplorare le problematicità fondamentali dell’essere umano e del teatro sperimentale più recente, illustrando i temi di maggiore interesse dell’attualità: l’informazione e il giornalismo in rapporto alle problematiche civili e antropologiche della società di massa, la riflessione e la rappresentazione dei traumi storici del Novecento – le guerre e le dittature –, le finalità dell’arte teatrale e della letteratura, partendo da presupposti che si focalizzano sui dilemmi dell’identità alienata dell’individuo, segnata dal frenetico consumismo odierno.
Tematiche quali la negazione e la reificazione dell’uomo conquistano nella  drammaturgia  di Vişniec  territori vasti che travalicano i confini circoscritti della politica e della storia, per giungere a definire la condizione umana tout court. La ‘resistenza culturale’ professata da Vişniec, dapprima contro le utopie ideologiche della politica e, nella fase francese, contro le forme più insidiose di manipolazione di massa – l’informazione, la pubblicità, i mercati del sesso e del potere –, che mirano ormai nella recente Europa dell’Est e nell’Occidente delle vecchie democrazie liberali all’appiattimento  più totale della libertà del pensiero critico o, con un sintagma del teatro vişniechiano, al ‘lavaggio  dei cervelli’, resta una delle modalità più lucide di partecipazione e di senso comunitario [1].

Un’esistenza e un’opera bilingue

L’esistenza e l’opera bilingue hanno reso possibile l’appartenenza e il riconoscimento del drammaturgo, sia sul piano editoriale, sia nell’ambito della rappresentazione scenica, in prima istanza in Francia e in Romania. Le circa quaranta messe in scena tratte dalle sue pièces e presentate a partire dal 1993 alle edizioni consecutive del Festival d’Avignone (nella sezione Off) fino a quella più recente, i numerosi allestimenti nei teatri di Parigi e di altre città francesi, oltreché gli spettacoli, alcuni dei quali invitati a festival internazionali, creati sui palcoscenici di una trentina di paesi e, d’altra parte, il primato indiscutibile delle sue opere drammaturgiche tra quelle degli autori romeni, rappresentate in Romania, confermano lo spessore e il potenziale di interesse insiti nel teatro di Matei Vişniec.
A ulteriore riprova del prestigio che l’opera si è procurata col passare del tempo, sarà opportuno rammentare quantomeno, tra i premi e i riconoscimenti conferiti al suo teatro da prestigiose istituzioni francesi e romene il «Prix coup de cœur de la presse» Avignone Off 2008 per la pièce Les détours Cioran, ou Mansarde à Paris avec vue sur la mort [Gli sviamenti di Cioran, ovvero Mansarda a Parigi con veduta sulla morte] e lo stesso premio per La parola ‘progresso’ sulla  bocca di mia madre suonava terribilmente falsa, nel 2009, testo teatrale incluso anche nel presente volume.

Negli studi recenti di drammaturgia e di letteratura romena e a seguito dei contatti che aveva stabilito fin dagli anni della dittatura con gli ambienti letterari e con i registi più autorevoli, Matei Vişniec appare come un drammaturgo fecondo e maturo ancor prima di lasciare la Romania, allorché la censura proibiva  sistematicamente la messa in scena dei suoi testi teatrali [2]. La consacrazione all’interno della cultura francese si è riverberata man mano nella cultura romena, e l’evolversi della drammaturgia degli anni ’90 e 2000 ha registrato la notorietà del drammaturgo in concomitanza con l’emergere di una nuova generazione di giovani autori, tra cui si affermano con esiti particolarmente originali Saviana Stănescu e Radu Macrinici. Coerente – per così dire – con il titolo scelto da Vişniec per l’edizione italiana che si presenta in queste righe, l’Anthologie critique des auteurs dramatiques européens (1945-2000) colloca l’autore franco-romeno nella discendenza del teatro dell’assurdo e propone come spunto  interpretativo il rapporto di interdipendenza creatosi fra l’esperienza quotidiana dell’assurdo, che ha pervaso nel modo più concreto l’esistenza del popolo romeno nei decenni bui della dittatura, e una stilistica propria del linguaggio drammatico atta a rispecchiarne la funesta spettralità [3].
Rispetto al panorama del teatro italiano contemporaneo, le caratteristiche più peculiari della scrittura di Matei Vişniec destinata ai palcoscenici vengono a coincidere con moduli concettuali e prassi creative in atto negli ultimi decenni. Il nuovo teatro postnovecentesco, la cui denominazione rinvia ai princìpi e alla terminologia del ‘teatro postdrammatico’, teorizzato da Hans-Thies Lehmann [4], come modello diffusamente omologato a livello internazionale del nuovo linguaggio teatrale (nella doppia articolazione del discorso testuale e della testura scenica), privilegia «le pratiche di una teatralità aperta al reale», l’esigenza di relazionarsi direttamente alle problematiche dibattute nel sociale e la «metabolizzazione degli eventi storici in personali forme di memoria» [5]. Tali prassi vengono attuate per lo più dai teatri di ricerca (Magazzini, la Socìetas Raffaello Sanzio ecc.) e da autori come Pippo Delbono, Franco Scaldati e Carmelo Bene, sulla  falsariga  dello sperimentalismo di maestri  come Eugenio Barba e Jerzy Grotowski e focalizzano l’attenzione della propria ricerca sul processo creativo, piuttosto che sul risultato compiuto dell’atto artistico. Va senz’altro colta la palese analogia con il disegno tematico e stilistico della pièce che presta il titolo al volume che qui commentiamo.
A decorrere dal 2006 i testi drammatici di Matei Vişniec hanno attirato l’attenzione di alcuni importanti  teatri [6] e hanno occasionato una serie di laboratori e tavole rotonde [7], organizzati all’interno di progetti di ricerca universitaria, che hanno contribuito alla prima fase della diffusione editoriale e della ricezione dell’opera in ambito accademico e del teatro di ricerca.


La vocazione al frammento: ‘moduli teatrali da comporre’

A delineare la poetica drammaturgica di Vişniec è emblematica, a nostro avviso, la rilevanza che riveste la raccolta dei ventiquattro testi monologici e dialogici Teatro decomposto  o l’uomo-pattumiera, scritta direttamente in francese (come pure le altre tre opere qui antologizzate) nel 1992 e pubblicata nel 1996 in coedizione da Éditions L’Harmattan di Parigi e dall’Istituto  Francese di Bucarest. I princìpi compositivi del testo esplicano all’inizio della fase francese non soltanto la cifra drammaturgica dell’autore, ripresa da alcune delle pièces successive, ma pervengono a intuire con precisa competenza doppiamente autoriale e registica talune delle idee centrali che definiranno la nuova estetica del teatro contemporaneo.
Nell’Avvertenza dell’autore, posta in apertura dell’opera, il punto cardine risiede nell’immagine dello specchio esploso, che prefigura il nuovo statuto dello spettacolo e del testo sotto il segno della frammentarietà, del superamento della struttura e dell’organizzazione sul piano dei segni drammaturgici, soggiacenti alla teoria aristotelica del dramma. Lo specchio rotto connota per l’appunto la perdita della coerenza e dell’omogeneità e dell’organicità a livello del ‘racconto’ (fabula) e del significato.

Il teatro modulare che Vişniec propone, ovvero i microtesti riuniti in sequenza successiva come ‘moduli teatrali da comporre’, instaura un’estetica della ricerca e della creazione destinata alla variabile riconfigurazione dei «tasselli» e allo svolgimento di un processo creativo con esiti sempre differenti. Da una diversa angolazione di lettura, per ‘decomposizione’ si vuole raffigurare un lungo processo evolutivo del teatro, che approda allo stadio attuale alla separazione dei suoi stessi elementi costitutivi, più precisamente, al bisogno di autonomia e di autoriflessione delle forme drammatiche  rispetto al proprio potenziale espressivo  (e senza più riconoscere il primato del testo). Le pièces antologizzate nel presente volume consentono al lettore di desumere in quale misura Matei Vişniec lascia pervadere il suo teatro dai nuovi linguaggi e possibilità di espressione che derivano da siffatte risultanze estetiche.
La vocazione al frammento accredita nella sua scrittura drammaturgica la proliferazione delle microstrutture testuali e la presenza di un personaggio-performer, messaggero privilegiato del discorso prevalentemente monologico, sposta l’asse della ricezione sul rapporto personaggio-performer-lettore/spettatore e, conseguentemente, configura alcune prassi riconducibili alla performance art. Un percorso simile segnerà la letteratura postmoderna, con esiti formali e tematici su cui sarà opportuno soffermarsi nelle parte finale di questo nostro contributo.
Sullo stesso piano delle forme compositive e concettuali, adottate da quella sintassi drammaturgica che opera dopo e al di là del dramma (eppure senza mai negarlo totalmente), va osservata un’ulteriore intuizione fondamentale di Matei Vişniec, probabilmente poco omologata alla data cui risale la stesura di questa prima raccolta: l’idea, commentata anche dal critico Georges Banu, che la successione dei brevi ‘moduli teatrali’, contenuti nella cornice intitolata Teatro decomposto  o l’uomo-pattumiera,  costituisce  idealmente  il  percorso di una  ‘mostra  pittorica’, all’interno della quale ciascun testo autonomo si presenta, rispetto agli altri, in  sequenza paratattica,  ovvero come parte di un «autoritratto  d’artista» [8].

Attraverso la pluralità delle opzioni compositive, di cui il visitatore è invitato a fare pienamente uso, la poetica modulare di Vişniec propone dunque una esplicita analogia con i princìpi della pittura cubista, riconfermando una delle caratteristiche  principali del teatro postmoderno e postdrammatico (Lehmann): la ricorrenza del modello fornito dalle arti figurative come possibilità interpretativa del nuovo linguaggio drammaturgico, propenso maggiormente a porre l’accento sull’appiattimento e l’astrazione o, in altri termini,  sull’‘immagine-rappresentazione’ [9].
Il teorico del postdrammatico asserisce che nell’ambito scenico ciò si spiega attraverso la metafora delle ‘superfici linguistiche’ (language surfaces), equivalenti alla rivoluzione avvenuta nella pittura moderna, allorché, al posto dell’illusione dello spazio tridimensionale, è stata raffigurata  la realtà bidimensionale dello stesso [10].
Concorre a legittimare ulteriormente tale posizione l’analogia con il montaggio scenico cui vanno associati i gesti e i movimenti dei personaggi, che sembrano strappati a un continuum spazio-temporale più vasto e coerente e isolati nei diversi scenari, a seconda dei canoni pittorici. Coerentemente con l’archetipo estetico riassunto in precedenza, i personaggi di Vişniec «si strutturano intorno al loro esserci e non più a partire da un vissuto personale», mentre nei brani monologici, privi di azione, essi «restituiscono verbalmente percorsi fisici e percezioni sensorie» [11].
In questa ottica, lo stesso palcoscenico diventa uno spazio diviso in campi autonomi e tematicamente definiti, dove la recita avviene in concomitanza, in analogia con il découpage cinematografico, in virtù dell’imposizione di un modello nongerarchico dei segni teatrali,  che invita  a una percezione sinestesica di ogni particolare visivo. La messa in scena come ‘quadro’ detta anche la percezione temporale della lettura testuale e scenica, poiché la ricezione si adatta alla modalità  di un ‘tempo-immagine’, privo di profondità e circoscritto alla dimensione statica del presente [12]. Conseguentemente, il ‘teatro decomposto’ di Matei Vişniec, ma anche le nuove forme drammaturgiche postnovecentesche condividono i procedimenti anti-narrativi, anti-mimetici, la vocazione all’incompiutezza, l’avversione rispetto all’idea di ascendenza aristotelica del dramma basato sul testo, la degerarchizzazione dei microtesti che vanno a comporre la testura dello spettacolo.

Peculiarità stilistiche e tematiche in prospettiva registica

In Vişniec, illustrative dell’ultima caratteristica sono le diverse opzioni operate, da una parte, dai registi, che, nelle proprie produzioni sceniche impiegano moduli  sempre diversi, scelti in base a preferenze e criteri scenici liberamente definiti e,  d’altra parte, dagli editori e dall’autore stesso. Nell’ultimo volume uscito a stampa in Romania [13], l’ordine dei «tasselli», presente nell’edizione francese, non si mantiene invariato. La stessa disposizione rovesciata si nota nell’edizione romena anche rispetto all’impostazione dei moduli che costituiscono, secondo uno schema compositivo simile, la raccolta Attenzione alle vecchie signore corrose dalla solitudine (2004).
Quanto  all’autore, in apertura delle due opere cui si è appena accennato, egli non manca di invitare il lettore/regista a riorganizzare e dunque a decomporre e a ricomporre il percorso espositivo della ‘mostra’, a operare delle scelte in funzione soltanto delle impressioni e percezioni estetiche soggettive, stimolate dalla polimorfica rete di rimandi interni, a ricreare – insomma – a ogni lettura/rappresentazione un nuovo testo/spettacolo [14].
La brevità dei moduli resta, dunque, decisiva al fine di chiarire lo statuto dei personaggi e, più in generale, le specificità stilistiche della scrittura drammaturgica vişniechiana. L’autore dichiara esplicitamente che spetterà al lettore «indovinare» dalle poche pagine di ciascuno dei suoi testi modulari la «potenzialità intera di vita» che, in altre condizioni, avrebbe configurato un destino. La compiutezza è tuttavia sacrificata a favore della concentrazione emozionale, perseguibile – spiega Vişniec – attraverso uno scatto unico del movimento della scrittura [15].

Dal punto di vista tematico, l’inclinazione alla decomposizione implica anche il dato antropologico più ricorrente nei testi: l’atroce solitudine dell’uomo contemporaneo, insidiato da nevrosi, angosce esistenziali, creature mostruose e voraci, in una società che incoraggia tutte le forme di alienazione. Il clochard illustra forse nel modo più netto l’inclinazione all’estremo e al paradossale, tanto congeniali all’estetica del teatro  postdrammatico.  Inoltre, il brano andrebbe letto come sviluppo drammatico della metafora centrale attorno a cui il poeta Vişniec ha composto il volume di versi Ora¸sul cu un singur locuitor [La città con un solo abitante, 1982]. [16] Nella città deserta, immersa nella più totale immobilità, l’unico abitante va incontro a situazioni assurde e bizzarre, fingendo la normalità e la serenità assoluta.
L’uomo chiuso in un cerchio, l’uomo assillato da un cavallo, il corridore che non può più fermarsi, l’‘uomo-pattumiera’, il cieco con il telescopio, l’illusionista che fa sparire il mondo compongono un’inquietante galleria di quadri, specchio onirico rivolto verso la realtà  circostante. I personaggi soffrono di psicosi, di paranoia o di allucinazioni a causa dell’isolamento, della guerra, del lavaggio del cervello e della pioggia acida che, dopo le invasioni delle farfalle e delle lumache pestilenziali, «controlla» con modalità ancor più insidiose le pulsioni psicologiche collettive.
Oltre agli aspetti presentati in precedenza, che conducono a riflettere sulla condizione stessa dell’arte drammatica, la ‘decomposizione’/disgregazione coinvolge la vita stessa, l’uomo, il suo corpo e le sue difese, private e sociali. Il ‘teatro decomposto’ è l’immagine riflessa dell’uomo disumanizzato, come tende a ribadire anche il monologo del Mangiatore di carne. Il personaggio appare completamente avvolto nella valanga carnivora della propria materia organica, che prolifera in quantità inarrestabili, minacciando di espandersi nell’intero quartiere e poi nella città.
L’‘uomo-pattumiera’ è l’emblema di un’umanità mercificata e consumistica, soggetto a torture psicologiche e fisiche umilianti, inflitte da regimi politici coercitivi o da società di ieri e di oggi, che mirano alla manipolazione e all’appiattimento più totale e programmatico del pensiero libero. Tuttavia, l’accostamento dentro la cornice del Teatro decomposto dell’‘uomo-pattumiera’, delle  diverse  creature-marionette (cui  vanno associati i fantocci che popolano alcuni moduli della raccolta Attenzione alle vecchie signore corrose dalla solitudine tra cui i memorabili Il ritorno a casa oppure La macchina per  pagare  il conto) e, infine, gli  animali feroci e gli oggetti infernali, siffatta analogia,  lungi dall’essere casuale, accentua la percezione della progressiva negazione dell’elemento umano nell’immaginario  del drammaturgo.  L’opzione tematica  appena  commentata  si risolve con modalità grottesche e al contempo poetiche in altrettanti esiti archiviati  dall’estetica  del teatro  postdrammatico e, con accezioni  in parte invariate, dalle elaborazioni teoriche del postmodernismo.

Gilles Losseroy colloca tutte le «presenze» cui si è fatto cenno in precedenza dentro la topografia di un «bestiario fantastico», dove gli animali terrificanti, che singolarmente convivono nell’ambiente famigliare e intimo dei personaggi (in Il domatore, il cervo con la criniera da cavallo e occhi umani), possono talvolta esibire attributi umani. L’autore asserisce che Vişniec moltiplica tale «animalità ibrida», riconducibile peraltro alla «zoologia surrealista», per meglio «dissezionare  l’uomo»,  ipotesi motivata anche dall’incombente, seppur indolore, divorazione cui l’uomo diventa preda [17].
Si può dunque affermare che il teatro innovativo di Vişniec fa emergere dalla sua polifonia modulare motivi neobarocchi e surrealisti che instaurano dialoghi intertestuali con alcune prassi specialmente pittoriche, ma anche con altri aspetti introdotti nel campo dell’arte dalle avanguardie storiche del Novecento, atti a illustrare il senso fisico e organico della ‘decomposizione’, nonché il passaggio fluido degli umani in fantocci [18].
Si potrebbe enucleare nell’autore franco-romeno una diversa gradazione di simili metamorfosi persino all’interno di uno stesso testo drammaturgico. Ad esempio, in Il ritorno a casa, a seguito della macerazione nel tritacarne, gli spiriti dei «morti per la patria», che agiscono tuttavia come esseri umani dotati di una qualche consistenza corporea, finiscono per diventare in senso proprio dolci ricordi per le famiglie, cioè a dire, prodotti di pasticceria.
Alienazione, degrado fisico e deriva ontologica, angoscia della perdita d’identità configurano in questa successione di testi monologici una sintesi dei temi e delle modalità formali, atte a rendere inconfondibile la cifra della scrittura di Matei Vişniec.
Infine, la decostruzione coinvolge il piano del discorso testuale, la componente linguistica in senso più esteso. Le prassi drammaturgiche postnovecentesche hanno dato vita anche in Vişniec a un teatro contrassegnato da «alfabeti capaci di mettere in moto processi di significazione pluricodice», da una testura polimorfica che si lascia pervadere dalla sovrapposizione e dalla fusione dei confini tra i generi – discorso, danza, pantomima – innescando strategie di riscrittura e destrutturazione, nonché processi di musicalizzazione della lingua, la cui funzione è quella di problematizzare, attraverso i linguaggi più diversi, la questione del senso [19].
In tutte le pièces dello scrittore franco-romeno il discorso verbale si struttura o meglio scompone come testura a più livelli. La lingua si presenta come materia da plasmare spesso attraverso il meticciato linguistico (repliche in diversi idiomi sono riscontrabili in ciascuno dei testi antologizzati nella presente edizione a stampa) oppure attraverso ciò che Hans-Thies Lehmann designa con ‘dialettica dell’astinenza’ (dialectic of  depriva-tion) [20], rintracciabile  in quei passi del testo pervasi dal silenzio, chiaramente indicati nelle didascalie, assai numerose in Vişniec, atte a disseminare il senso in immagini, gesti, metafore registiche. Per esempio, i moduli intitolati Voci nel buio del Teatro decomposto... indicano una dissociazione del corpo dalla voce, un non far coincidere l’azione con il gesto.

D’altra parte, i testi drammaturgici vişniechiani comportano notevoli potenzialità per valorizzare e accentuare l’oralità stratificata e plurivalente della scrittura, insita nella distribuzione delle ripetizioni, delle allitterazioni, delle rime a eco, delle pause, delle assonanze, delle invettive, presenti in sequenze con ritmicità distinta e precisa, modellate da simmetrie foniche e lessicali attentamente studiate, nonché da parallelismi e riprese ricercate, cui va aggiunta la precisa impostazione grafica dei poemi che costellano testi come Teatro decomposto o l’uomo-pattumiera, Attenzione alle vecchie signore corrose dalla  solitudine  e particolarmente La storia del comunismo raccontata ai malati di mente (2000), in cui l’ipertrofia delle ripetizioni traduce doppiamente l’ossessività patologica della malattia  e nel contempo l’ossessività coercitiva dell’ideologia.
Coerentemente alla percezione del tempo e dello spazio sub specie della drammaturgia visiva, messa in circolazione dalle elaborazioni teoriche nell’ambito delle arti visive e congeniale anche all’interpretazione del teatro postnovecentesco, liberato dalla tutela dell’unità e della gerarchia dei segni e del senso, lo statuto del testo tende anch’esso alla polifonia e legittima l’accezione della lingua come materiale o mezzo drammaturgico esposto, come oggetto esibito nella cornice della ‘mostra’, ossia della pièce.


Emilia David
(n. 3, marzo 2013, anno III)

NOTE

1. Matei Vişniec, Il lavoro ‘orizzontale’  dell’autore, in «Prove di drammaturgia.  Rivista di inchieste teatrali», numero tematico Il teatro di Matéï Visniec, impronta dei tempi, XV, n. 1, aprile 2009, Titivillus, Corazzano (PI), p. 4. Il testo del drammaturgo è ricavato dall’in- contro svoltosi il 10 novembre 2008 durante i Laboratori DAMS dell’Università di Bolo- gna, nell’ambito del progetto Scritture per la scena: il ruolo dell’autore nel teatro postnovecentesco (ott.-dic. 2008).
2. Nicolae  Manolescu,  Istoria critic˘aa literaturii  române,  Paralela  45,  Pite¸sti  2008, pp. 1390-1393.  Cfr. anche Mircea Ghit¸ulescu, Istoria  dramaturgiei  române contemporane, Albatros, Bucure¸sti 2000, pp. 324-337.
3. Mirella Patureau, capitolo Roumanie  et Moldavie:  insolence et créativité, in Michel Corvin, Anthologie  critique  des auteurs  dramatiques   européens (1945-2000),  Écritures Théâtrales Grand Sud Ouest, Montreuil-sous-Bois 2007, pp. 51-52.
4. Hans-Thies Lehmann, Postdramatic  Theatre,  traduzione e introduzione di Karen
Jürs-Munby, Routledge, New York 2006.
5. Gerardo Guccini, Teatri verso il terzo millennio: il problema della rimozione storiografica, in «Culture teatrali»,  nn. 2-3, 2000, pp. 11-26.
6. In ordine cronologico, oltre alla messa in scena della pièce Petit boulot pour vieux clown [Vecchio  clown cercasi],  con la regia  di S¸ tefan Iorda˘nescu,  al Piccolo Teatro di Milano, 1992, che ha rappresentato il primo momento di contatto dell’opera drammaturgica di Vişniec con il mondo teatrale italiano, le regie cui si è accennato nel testo appartengono a: Pascale Aiguier, presso il Teatro Laboratorio Alkestis di Cagliari,  2006 (spettacolo dal titolo Voci nel buio che adattava  diversi testi autonomi tratti dalle raccolte di microtesti Teatro  decomposto o l’uomo-pattumiera e Attenzione alle vecchie signore corrose dalla  solitudine);  Gianpiero Borgia, presso il teatro comunale «G. Curci» di Barletta (allestimento di una pièce scritta inizialmente in romeno, Occident Express [Occidental Express]), prodotto con il sostegno del P.O.FESR Puglia 2007/2013,  affidato dalla Regione Puglia al Teatro Pubblico Pugliese da Teatrul de Marionete di Arad (Romania) e Teatro dei Borgia di Barletta; e presso il Teatro Stabile di Catania, 2008 (messa in scena del testo teatrale La storia  del comunismo raccontata ai malati di mente, riproposta al teatro Valle di Roma, 2010); Elisa Di Liberato, Lorenzo Facchinelli e Marra Ferrier della compagnia Mali Weil, Mittel Fest, Cividale del Friuli, 2008 (allestimento intitolato Cabaret 900 ovvero cronache di un’alba abortita, tratto dai testi drammaturgici  Paparazzi ou la chronique d’un  lever de soleil avorté [Paparazzi o cronaca di un’alba abortita] e da Teatro decomposto o l’uomo-pattumiera); Nicola Bonazzi, presso il Teatro dell’Argine, Bologna, 2008 (allestimento della pièce La femme comme champ de bataille  ou Du sexe de la femme comme champ de bataille  dans  la guerre en Bosnie [La donna  come campo  di battaglia   o Del sesso della donna come campo di battaglia  nella guerra in Bosnia], 2009, riproposto al teatro Testoni di Casalecchio, Bologna, 2009 e ancora nel 2011, nell’ambito di un progetto proposto dall’Accademia di Romania,  dal Teatro dell’Argine/ITC  Teatro di San Lazzaro e dal CIMES dell’Università di Bologna); infine, Beno Mazzone, presso il Teatro Libero di Palermo, 2011 (messa in scena della pièce Richard  III n’aura  pas lieu ou scènes de la vie de Meyerhold  [Riccardo III non s’ha da fare]).
7. Il Centro di ricerca del Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna (CIMES), diretto dal Prof. Gerardo Guccini, ha organizzato nel 2008 tra diversi incontri e attività di ricerca una progettazione biennale dedicata alle «Scritture per la scena», in collaborazione con il Centro Universiteatrali dell’Università degli Studi di Messina e il premio Riccione Teatro. Il progetto ha occasionato nel 2009 un incontro con il drammaturgo Matei Vişniec, la messa in scena e un ciclo di letture dei testi teatrali Les chevaux à la fenêtre [Cavalli alla finestra] e La donna come campo di battaglia  o Del sesso della  donna come campo di battaglia  nella guerra in Bosnia, raccolte nel volume Matéï Visniec, Drammi di resistenza culturale. Cavalli alla finestra, La donna come campo di battaglia, traduzione di Pascale Aiguier, Davide  Piludu e Giuseppa Salidu, con un saggio introduttivo di Gerardo Guccini, Titivillus, Corazzano (PI) 2009.
8. Georges Banu, Matei Visniec ou de la Décomposition, in Matei Vişniec, Théâtre décomposé ou l’homme-poubelle, Institut Français de Bucarest-Éditions L’Harmattan, Paris 1996, pp. 7-9.
9. Steven Connor, Postmodernist Culture. An Introduction to Theories of  the Contemporary, 2a edizione, Blackwell Publishers Ltd., Oxford 1997 [Cultura postmodern˘a. O introducere în teoriile  contemporane,  traduzione  in  romeno di Mihaela  Oniga,  Meridiane,  Bucure¸sti 1999, p. 187].
10. Hans-Thies Lehmann, Postdramatic Theatre, cit., p. 18.
11. Gerardo Guccini, Intrecci senza Fabula, personaggi senza passato, in «Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali»,  numero tematico Il teatro di Matéï Visniec..., cit., p. 15. Cfr. ID., Pensare i corpi. I teatri di Visniec, in Matéï Visniec, Drammi di resistenza culturale..., cit., pp. 45-54.
12. Hans-Thies Lehmann, capitolo Postdramatic  Aesthetics of  Time, in ID., Postdramatic Theatre, cit., pp. 153-158.
13. Matei Vişniec, Omul din cerc. Antologie de teatru scurt 1977-2010, Paralela 45, Pite¸sti 2012.
14. Matei Vişniec, Avertissement, in ID., Théâtre décomposé ou l’homme-poubelle, cit., pp. 11-12, e ID., Attention aux vieilles dames rongées par la solitude, Lansman, Paris 2004, p. 4.
15. Matei Vişniec, Ce este o pies˘a scurt˘a? [Che cos’è una pièce breve?], in ID., Omul din cerc..., cit., pp. 5-6.
16. Matei Vişniec, Ora¸sul cu un singur locuitor, Cartea Româneasca˘, Bucure¸sti 1982.
17. Gilles Losseroy, Matéï Visniec o l’esperienza vampirica, traduzione di Pascale Aiguier, Davide Piludu e Giuseppa Salidu, in «Prove di drammaturgia.  Rivista di inchieste teatrali», numero tematico Il teatro di Matéï  Visniec, impronta dei tempi, cit., pp. 16-18.
18. Ibid.
19. Piersandra Di Matteo, Il post(o) del dramma, in «Prove di drammaturgia.  Rivista di inchieste teatrali», numero tematico Dramma vs Postdrammatico: polarità a confronto, a cura di Gerardo Guccini, XVI, n. 1, giugno 2010, Titivillus, Corazzano (PI), p. 23.
20. Hans-Thies Lehmann, capitolo Postdramatic Aesthetics of  Time, in Postdramatic Theatre, cit., p. 88.