Mircea Eliade: «Salazar e la rivoluzione in Portogallo». Una lettura di Filippo Coralli

«Questo libro di storia politica è stato scritto da un uomo che non si occupa né di storia né di politica. È nato da un dubbio e ha visto la luce per rispondere a una domanda che l’autore non si stanca di porsi da ormai dieci anni: è possibile una rivoluzione spirituale? È storicamente possibile una rivoluzione che abbia come protagonisti uomini che credono, anzitutto, nel primato dello spirituale?» (Mircea Eliade, Salazar e la rivoluzione in Portogallo, Edizioni Bietti, Milano, 2013)

Queste prime righe di Eliade racchiudono il senso di questo suo scritto, così bene curato da Horia Corneliu Cicortas, nel quale la vicenda di Salazar assume un carattere paradigmatico, al di là della evidente simpatia che l’autore nutre nei suoi confronti. Oggi possiamo ritenere la figura di Salazar attuale o comunque interessante per più motivi: egli fu un dittatore, per così dire, tecnico [1], in quanto preso dalla società civile inizialmente come ministro delle finanze; ma egli era anche qualcosa di più, un cattolico formato alla scuola della dottrina sociale della Chiesa. Proprio la dottrina sociale – cioè la consapevolezza per la Chiesa di dover intervenire sulle questioni economiche, sociali e politiche sorte con la nascita degli stati moderni – era nata poco prima, nel 1891 con la Rerum Novarum di Leone XIII, non solamente per la necessità di rispondere alle sfide socialista e liberale, ma anche per rispondere alla secolarizzazione della società, che la Chiesa respingeva e condannava come una vera e propria apostasia delle nazioni rispetto ai valori evangelici [2], ovvero alla trasformazione avvenuta nei rapporti tra stato e chiesa dopo la rivoluzione francese, ed al fatto che lo stato non solo si era separato dalla Chiesa in una società laica, ma che le nuove rivoluzioni pretendevano addirittura di ridurre il cristianesimo ad un fatto personale, se non proprio ad eliminarlo tout court dalla vita delle masse. Fin dal termine della tempesta rivoluzionaria, la cultura cattolica europea aveva cercato di individuare un nuovo modello sociale di ispirazione cristiana ispirandosi alla società medievale [3], peraltro mitizzata, che si contrapponeva a quella rivoluzione politica, frutto di una catena diabolica di errori dell’età moderna che, partendo dalla riforma luterana e passando poi per la massoneria, la rivoluzione francese e le successive rivoluzioni liberali e socialiste, aveva lo scopo di combattere la Chiesa e Cristo.

Eliade riprende questa visione storica e di fatto contrappone una rivoluzione «cattiva», cioè un movimento rivoluzionario strisciante di matrice liberale, socialista e massonica, che tra ’800 e ’900 aveva distrutto la società portoghese, rinnegandone le tradizioni e volendo assimilare il paese al giacobinismo francese, ad una rivoluzione «buona», che è quella di Salazar e della giunta militare, che invece è spinta dai valori tradizionali, dal cristianesimo sociale, dal rispetto rigoroso delle regole della buona economia e della proprietà privata. Non fu un caso, infatti, che Salazar, salito al potere, riuscì come ministro delle finanze a risanare l’economia portoghese, conquistandosi anche un consenso che gli permetterà di rimanere a lungo in sella.
La domanda dunque che si pone Eliade, che, non dimentichiamocelo, nasce come storico delle religioni, è pertinente ed è il centro del saggio: è possibile una rivoluzione fatta sulle basi di valori come quelli incarnati dalla dottrina sociale? Evidentemente per l’autore la risposta era positiva, ancorché il frutto della rivoluzione fosse uno stato dittatoriale, ed in questo Eliade non tenne conto dell’enciclica Quadragesimo anno di Pio XI (1931), dove, pur rimanendo nella dottrina sociale al più alto livello il modello corporativo cristiano come «terza via» cristiana modellata sulla cristianità medievale, era stato anche espresso per la prima volta un nuovo concetto, quello di sussidiarietà, affermazione del diritto degli individui e dei corpi intermedi ad operare per fini di lucro ma anche per il bene comune senza essere espropriati dall’autorità statale, con una critica neanche troppo velata ai totalitarismi di stampo comunista e fascista e al loro dirigismo sociale.
Eliade era dunque rimasto indietro? E la sua domanda è oggi di attualità?
Ovviamente no, nel senso che ad Eliade non interessava spiegare quanto la posizione di Salazar fosse in linea con gli sviluppi della dottrina sociale della Chiesa, quando piuttosto gettare le basi ideologiche di un movimento patriottico-conservatore-tradizionalista da esportare possibilmente nella sua Romania, cosa che già nel 1945, quando abbandona il saggio, si rivelerà impossibile. D’altra parte questo saggio riveste oggi interesse perché pone delle domande di attualità alla Chiesa e alla politica: è possibile una rivoluzione politica su basi tradizionali e religiose? In questo senso penso si possa dire che sia la politica che vasti ambiti della Chiesa siano rimaste attardate ad una visione novecentesca. Oggi probabilmente non è più possibile, in una società liquida come quella occidentale, parlare né di rivoluzione né di dottrina sociale nei termini che conosciamo, come ha ben capito papa Francesco, che di fatto ha rinunciato ad un intervento forte nella società, lasciando ai vescovi ed ai laici una grande autonomia. Al di là delle rivoluzioni islamiste, dove non c’è un rapporto religione-società ma semplicemente un assorbimento della seconda nella prima, è assai arduo parlare di valori religiosi o di tradizioni nazionali (che non siano quelle artigianali o enogastronomiche) in un mondo politico globalizzato dove tutto è interdipendente e omologato, né lo si può fare in una società dove il concetto stesso di rivoluzione come lotta di popolo è stato rifiutato da tempo a favore di un individualismo esasperato. Dunque la domanda di Eliade pone un problema ancora attuale alla politica ed alle religioni sul dove possiamo e dobbiamo andare e se è giusto che il nostro individualismo egoistico ci tolga ogni ansia di rivoluzione, intesa come cambiamento «buono», che guardi al futuro senza rinnegare il passato e che possa reintrodurre nella politica quei valori senza i quali diventa difficile combattere la corruzione da un lato e la tecnocrazia dall’altro. Su questo c’è ancora da camminare e da trovare nuove strade: certamente il saggio di Eliade su Salazar pone alcune questioni che dovrebbero portare politica, religione e finanza ad interrogarsi sui valori che le legano, per poter operare un ripensamento dei propri rapporti con le società umane e le loro tradizioni, cosa necessaria in un momento di crisi come quello presente.


Filippo Coralli
(n. 12, dicembre 2014, anno IV)

NOTE


1. Cfr. M. Sacco, Slazar. Ascesa e caduta di un dittatore «tecnico», Besa 2014.
2. Cfr. D. Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Einaudi 1993, pp. 136 e ss.; cfr. anche F. Coralli,  Ciascuno fa la sua preghiera e ciascuno fa la sua guerra. Modelli di santità militare nell’epoca della guerra asimmetrica, intervento al Convegno di Casole d’Elsa del 13-14 maggio 2005.
3. J. De Maistre, Du Pape, a cura di J. Lovie e J. Chetail, Ginevra 1966, pp. 182-194.