L’infanzia in Romania: l’esperienza del gruppo «Gli amici di Sighet»

Nel 2001 nasce a Fidenza (Parma) il Gruppo di Solidarietà Missionaria «Amici di Sighet», con lo scopo di aiutare i bambini ed i ragazzi di Sighet, in Romania. Padre Filippo Aliani, frate cappuccino della Provincia di Parma, partecipando a un campo di solidarietà missionaria organizzato dalla Lega Missionaria Studenti dei Gesuiti di Roma, fu affettivamente conquistato da quei bambini bisognosi di affetto, di una carezza, di un abbraccio, che partecipavano alle iniziative di animazione. Le attività del Gruppo sono cresciute e si sono rafforzate nel corso di questo decennio, dando vita a progetti mirati: edificazione di case accoglienza, costruzione di centri giovanili, riedificazione dell’orfanotrofio, attivazione di cooperative socio-educative. L’intento di aprire un futuro di speranza per i bambini di Sighet si è trasformato in un vero sviluppo di nuove comunità centrate sull’educazione permanente. Lo scorso anno, la Libera Università di Bolzano ha realizzato un convegno sul tema L’educazione permanente nei differenti contesti ed età della vita. Vivere e crescere nella comunicazione confluito negli Atti pubblicati da Franco Angeli (pp. 240, € 29). Nel testo, curato da Liliana Dozza, sono stati riportati gli interventi di Elisabetta Marzani e Valentina Giribaldi, entrambe insegnanti e collaboratrici del Gruppo di solidarietà, che raccontano, con una duplice relazione, la significativa esperienza dei PP. Cappuccini della Provincia di Parma a Sighet.

L’infanzia nel tempo della dittatura

Valentina Giribaldi nel trattare il tema L’infanzia in Romania: sviluppo di una comunità come capitale formativo e capitale sociale parte con una premessa sulla condizione dell’infanzia dalla dittatura ad oggi. «La Romania oggi, Sighet in particolare, – scrive la Giribaldi – è segnata da risvolti politici, sociali ed economici delle precedenti politiche di regime che, secondo un modello nazionalista, hanno lavorato ad una forte implementazione della famiglia. I valori e i mezzi di sussistenza della famiglia sono stati subordinati alla difesa del territorio. In generale, sotto un profilo economico, restano incisive le influenze dei mutamenti politici degli ultimi sessant’anni. Dopo un notevole sviluppo economico iniziale, particolarmente dovuto all’influenza dell’Unione Sovietica, con la salita al potere nel 1965 del dittatore Nicolae Ceauşescu, in pochissimo tempo, il popolo romeno venne ridotto alla fame. La miseria fu esito della folle politica nazionalista del dittatore, incentrata sull’industria pesante. Nel 1982 si ebbe l’annuncio di una politica di austerità funzionale a pagare un debito estero di oltre dieci miliardi di dollari. Il dittatore non voleva in alcun modo l’aiuto delle istituzioni finanziarie occidentali e statunitensi; un simile ausilio avrebbe coinciso con il finire nelle mani degli americani, ossia una sconfitta troppo grande, dopo il tentativo di un intero suo potere nell’allontanare la Romania dall’influenza sovietica. Diede dunque vita a quella che verrà definita la “guerra silenziosa di Ceauşescu”. Oltre alla riduzione delle importazioni e all’aumento delle esportazioni, il dittatore razionalizzò cibo, divertimenti ed energia. Lo sviluppo industriale venne favorito da una politica natalista, che fece della capacità riproduttiva femminile un fattore chiave da controllare e sfruttare: furono aboliti aborto e contraccettivi nonché istituite sovvenzioni in denaro destinate alle madri in base al numero dei figli, senza tuttavia preoccuparsi delle reali difficoltà di sussistenza familiare. La scelta di non dar luogo a differenza tra città e campagna venne perseguita privando i contadini delle proprie terre e radendone al suolo le abitazioni per aumentare i campi coltivati. Intere famiglie vennero trasferite nei cosiddetti bloc: rettangoli di cemento di soli sedici metri quadrati, ancor oggi presenti nelle città romene. Il clima di terrore in quegli anni fu pesantissimo; il dittatore creò le securitate ossia una polizia segreta formata da militari e volontari con il compito di individuare i dissidenti allo scopo di eliminare ogni forma di opposizione (politica, religiosa ed etnica)». Ceauşescu divenne un dittatore a tutti gli effetti; tra le altre, emanò una legislazione che vietava il diritto all’associazione, vietò le televisioni libere e falsificò le notizie che vennero divulgate in modo distorto. Per questi motivi, al di fuori dei confini romeni, restava, per certi versi, molto difficile capire cosa stesse realmente accadendo nel Paese. Fu nel 1989 a Timişoara, paese della Romania occidentale, che si posero le basi per la rivoluzione e la fine del regime del Conducator. L’insurrezione del popolo romeno verrà duramente repressa nel sangue dalla polizia fino al 25 dicembre, quando il dittatore venne condannato a morte in un processo sommario insieme alla moglie. Le prime elezioni libere vi furono nel 1990, mentre un anno dopo, con la promulgazione della Costituzione, la Romania divenne una Repubblica parlamentare. Nel 2004 il Pese entrò a far parte dell’ONU e nel 2007 della «Grande Europa».

Le condizioni dell’infanzia in Romania

È facile immaginare, in questo scenario, come l’infanzia romena sia stata l’età della vita e/o dell’educazione maggiormente colpita e violata. Valentina Giribaldi: «L’ultimo triennio del Novecento fu segnato dai risvolti positivi dei principi sanciti dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Grazie al censimento operato dall’allora neonato Dipartimento di protezione minorile, si palesò che l’1,7% dei minorenni romeni viveva in istituto. Il Governo, acquisita tale consapevolezza, mise in cantiere alcuni obiettivi, ritenuti fondamentali per diminuire il numero dei minori in istituto e favorire il ricongiungimento famigliare. Venne varata la Legge n. 108/1998 che, da un lato, interpretava per la prima volta l’istituzionalizzazione come una condizione temporanea e, dall’altro lato, decentralizzava l’amministrazione mentre le responsabilità per la protezione dei minori vennero affidate alle autorità nazionali e ai Consigli regionali. Peraltro fu abbandonata la rigida suddivisione iniziale degli istituti, che vennero sostituiti con nuovi centri di accoglienza per bambini e ragazzi di tutte le età al fine di promuovere una cultura del riconoscimento e del rispetto dei diritti dell’infanzia. Con l’ingresso nell’Unione Europea, infine, la Romania dovette adoperarsi nel rispetto dei programmi per la tutela dell’infanzia stessa, come previsto per tutti gli stati annessi.
Tali programmi prevedevano, tra l’altro, chiusura dei grandi istituti e loro sostituzione con servizi di cura alternativa, funzionali a prevenire l’abbandono. Tuttavia l’emergenza abbandono resta molto alta. Sono ancora numerose le famiglie romene che vivono in case fatiscenti, senza luce, acqua corrente e riscaldamento e che versano in gravi condizioni finanziarie, tali da non consentire di soddisfare nemmeno i bisogni primari, tanto da sacrificare i loro bambini, allontanati e abbandonati in strada».

La missione dei frati minori cappuccini a Sighet: un impegno concreto per la tutela dei diritti dell’infanzia

Elisabetta Marzani, collaboratrice attiva, entra nello specifico dell’attività del gruppo di solidarietà a Sighet. Come prima cosa è stata fondata l’Associazione Frati Minori Cappuccini, costituita da giovani volontari romeni e sostenuta dal Gruppo di Solidarietà Missionaria «Amici di Sighet» di Scandiano (RE) e Fidenza (PR), che fornisce dal 2002 sostegno nel territorio di Sighet. «Il supporto apportato – racconta la Marzani – ha inteso dapprima rispondere all’emergenza, ossia a quei bisogni irrinunciabili per l’uomo come il cibo, il riparo, la difesa e la cura dalle malattie, poi caratterizzarsi come risposta di prevenzione, educazione e recupero tramite la cura del contesto, secondo un modello ecologico di comunità, e la riattivazione e/o coscientizzazione dei soggetti singoli e collettivi. Lo sviluppo di una comunità come valore formativo e sociale è stato supportato da un intervento legato tanto all’alfabetizzazione/istruzione quanto alla socializzazione/educazione dei soggetti coinvolti, secondo un modello segnato da responsabilità collettiva e autonomia individuale. A Sighet, pur essendo cittadina relativamente piccola (45.000 abitanti), l’abbandono minorile è una vera e propria piaga: in città si contano due orfanotrofi; un centro di prima accoglienza per un periodo medio-breve rivolto a mamme e bambini di età prescolare in situazione di emergenza; dodici case di tipo familiare, di cui cinque per minori con problemi di handicap; quattro case-famiglia. Si tratta di confrontarsi con circa 500 minori in situazione di abbandono: una buona concentrazione per una città di 45.000 abitanti. Il progetto socio-educativo, nelle sue articolazioni interne inclusive di case-famiglia, centro giovanile, cooperativa socio-educativa, formazione-lavoro prevede tutoring fornito da figure adulte e/o esperte, che si prendono cura del contesto materiale e umano, ed educazione fra i pari che costituiscono il target di riferimento. La comunità educativa propone un modello che promuove sia la presa in cura del target di riferimento, sostenendo processi di crescita, formazione, emancipazione individuale e collettiva, nonché la revisione del profilo educativo delle figure parentali e/o professionali (genitori, insegnanti, educatori sociali, studenti tirocinanti di corsi di studio a carattere educativo e volontari)».

Storia di una presenza: i progetti

Le iniziative offerte al territorio di Sighet si forgiano dalla convinzione che la formazione e il benessere sociale dei suoi individui, soprattutto quelli più bisognosi, siano una capitale ineludibile per la crescita, l’integrazione e l’emancipazione dei soggetti coinvolti.

Centro giovanile S. Francesco
È stata la prima attività realizzata dall’Associazione; aperto poco più di cinque anni fa, è in pratica un Oratorio con diverse stanze attrezzate per il lavoro, lo studio, il gioco; qui i giovani si incontrano quotidianamente e ricevono una formazione umana, spirituale e lavorativa in un clima di amicizia e fraternità. I ragazzi vivono il centro come se fosse la loro casa: ne hanno cura, anche sul piano della gestione e passano gran parte della giornata svolgendovi le attività quotidiane di studio, assistiti dai ragazzi più grandi, dai frati e da alcuni volontari italiani, ospitati periodicamente presso la struttura. Sempre nel centro sono presenti una piccola falegnameria e una sartoria dove si realizzano prodotti artigianali e mobili d’arredo. Ai ragazzi che prestano la loro opera nei laboratori viene cole da permettere l’autosufficienza economica.

La casa famiglia Santa Chiara
Il progetto, nato nel 2008, ha come obiettivo primario quello di offrire stabilità affettiva ai minori che vivono situazioni d’abbandono. Nella collaborazione con gli istituti di accoglienza (pur importanti per il loro ruolo di risposta ai tanti bisogni dell’infanzia) si tocca con mano come l’esperienza dell’orfanotrofio sia comunque insufficiente a formare questi ragazzi che rimangono segnati da rifiuto e solitudine. Al contrario, il frutto del lavoro che una casa-famiglia riesce a concretizzare lascia un segno nella vita di queste persone in correlazione alla stabilità dei metodi educativi e ad una relazione educativa individualizzata e personalizzata insieme, che favorisce continuità e coerenza al rapporto affettivo.

La cooperativa socio-educativa
La cooperativa, intitolata al Piccolo Principe, vuole essere segno costruttivo e propositivo di una vita bella, segnata da relazioni umane rispettose e fiduciose con lo scopo di far intravedere come sia indispensabile avere fiducia nell’altro per costruire una società più giusta e solidale. Essa accoglie stabilmente circa cinquanta ragazzi in età scolare che vengono seguiti nelle attività di studio. La scelta del campo educativo e dell’accompagnamento di questi minori nelle attività scolastiche di doposcuola è nata dal convincimento che investire sul bene istruzione sia l’unica strada per offrire una concreta possibilità di riscatto: possedere gli strumenti culturali significa avere l’opportunità per pensare e progettarsi un futuro migliore. I ragazzi ospitati vengono seguiti da quattro educatori romeni del Gruppo Speranza che hanno terminato gli studi universitari.

Il nuovo progetto «Una casa per tutti»
Il punto di fragilità del complesso cammino di reinserimento sociale dei ragazzi istituzionalizzati è costituito dal raggiungimento della maggiore età, cioè quando lo Stato sospende i servizi di assistenza, garantiti fino a quel momento, senza farsi carico del reinserimento sociale e lavorativo. Nel 2008 in tutta la Romania 7.000 ragazzi hanno abbandonato gli orfanotrofi e lo stato ha reso disponibili per loro solo 467 appartamenti sociali. La formazione umana di questi ragazzi è fragile: le esperienze vissute li hanno indeboliti a tal punto da non essere capaci di scegliere e perseguire un proprio progetto di vita e in genere sono visti con diffidenza dalla gente del luogo; ben presto vengono etichettati ed emarginati. Usciti dall’orfanotrofio, il primo problema che incontrano è quello di trovare un alloggio e un lavoro e, inizialmente, occorre far fronte ai bisogni primari di vita e sussistenza, ma, allo stesso tempo, diviene indispensabile progettare insieme a loro un percorso protetto di inserimento. Da questa emergenza è nato quest’anno il progetto Una casa per tutti. Il Comune di Sighet, probabilmente sensibilizzato dalle tante iniziative di solidarietà realizzate in questi anni, ha risposto positivamente alla richiesta di collaborazione più volte presentata, offrendo all’associazione, in comodato gratuito, una centrale termica in disuso ubicata nel centro della città. Questa struttura, in via di ristrutturazione, permetterebbe la realizzazione di tredici monolocali con lo scopo di reinserire gradualmente in società i giovani implicati. Nel progetto sono previsti alcuni educatori romeni che accompagnerebbero per un periodo di tre anni i ragazzi accolti nella struttura, sostenendoli in un cammino di progressiva autonomia, proprio a partire dall’inserimento nel mondo del lavoro.




Giacomo Ruggeri
(n. 10, ottobre 2013, anno III)