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 |  |  Fatto morire tra i topi del carcere: Papa Francesco beatifica Anton Durcovici, il vescovo di Iaşi 
 
  Lo scorso 31 ottobre, Papa Franceco ha dichiarato ufficialmente beato Anton Durcovici, vescovo cattolico di rito latino di Iaşi  morto nel carcere di Sighetu Marmaţiei durante il regime comunista. È il quinto romeno riconosciuto sulla via della santità. La cerimonia di beatificazione si terrà in Vaticano, verosimilmente il prossimo marzo. 
 Il vescovo che amato la  chiesa e il popolo romeno
 
 Anton Durcovici è nato in Austria nel 1888, figlio di padre croato e madre  austriaca. La giovane madre rimasta vedova cadde nell’estrema indigenza e  dovette emigrare in Romania per lavorare presso parenti agiati. Anton era uno  dei suoi due figli e aveva solo sei anni quando emigrò. L’arcivescovo di  Bucarest lo notò subito, invitandolo al seminario minore diocesano, dove spiccò  per intelligenza e forza di volontà concludendo i suoi studi di cinque anni con  un esame di maturità nec plus ultra. Il presule, entusiasta di questo ragazzo  fuori dal comune, lo inviò a studiare a Roma. All'età di 24 anni il giovane  Anton ha già preso tre dottorati: filosofia, teologia e diritto canonico. Viene  ordinato sacerdote a San Giovanni in Laterano nel settembre 1910 e subito dopo  torna in Romania. Scoppia però la I Guerra Mondiale e come i suoi connazionali  austriaci (più tardi egli diventerà cittadino romeno a tutti gli effetti),  viene internato per un paio di anni in un campo di concentramento nella piena  forza della sua gioventù. Il tifo che contrasse in questo posto insalubre gli  lascò segni per il resto dei suoi giorni.
 Nel 1924 viene nominato rettore del  Seminario di Bucarest. Per diverse vicissitudini l’arcivescovo di Bucarest  dovette presentare le sue dimissioni mentre calava sulla Romania la notte  comunista e così mons. Durcovici si trova a dirigere il cattolicesimo della  capitale da vicario generale. Inizia dunque lo scontro che lo porterà al  martirio. Si nega a stilare un documento d’indipendenza di Roma e di  sottomissione alle autorità civili. Alcuni (pochi, solo 3) sacerdoti corrotti  lo tradiscono e lo calunniano, ma tanto basta per costruire ingiusti capi  d’accusa. Pio XII lo nomina vescovo di Iasi, capitale della Moldavia, e  nell’aprile 1948 viene consacrato a Bucarest. Il prestigio di mons. Durcovici è  immenso e la sua posizione rimane intransigente verso le pretese comuniste di  addomesticare la Chiesa cattolica. «Il martirio di Anton Durcovici, vescovo di  Iaşi, non è iniziato il 26 giugno 1949, data del suo arresto brutale a  Bucarest, ma quasi due anni prima, subito dopo la sua nomina di vescovo di  Iaşi» come scrive Don Cornel Adrian Benchea, sacerdote di origini romene e  incardinato nella diocesi di Livorono, in uno studio su mons. Durcovici dal  titolo Gli ultimi anni di un martire  della Chiesa cattolica di Romania. Dopo la Rivoluzione del dicembre 1989,  si è potuto accedere ai dossier della ex-polizia politica comunista,  tristemente nota come Securitate.
 
 584569 e 7512: due dossier  speciali sul vescovo Durcovici
 
 584569 è il numero del dossier personale di mons. Durcovici creato dalla  Securitate nel periodo di pedinamento e sorvegliamento nei confronti del  vescovo. 7512 è il numero del dossier penale di mons. Durcovici durante il  periodo in carcere. L’intenzione della Polizia politica è stata premeditata  dall’inizio, cioè di realizzare non solo un semplice dossier informativo di  sorveglianza, ma un dossier di sorveglianza penale, per incriminare, arrestare  e condannare il sorvegliato. «Si deve fare menzione del fatto – scrive Don  Benchea – che l’intenzione della polizia politica era di sorvegliarlo  individualmente, un’eccezione tra i chierici cattolici di allora che sarebbero  stati implicati nelle investigazioni e poi arrestati in 'gruppi'. Il sistema di  pedinamento e di sorveglianza promosso dalla Securità nel "caso  Durcovici" è stato molto complesso. Gli uffici di informazioni dei servizi  provinciali di Bacău e di Roman hanno seguito ogni passo del vescovo Durcovici  durante le sue visite canoniche fatte nei villaggi e le comunità cattoliche  delle province di Bacău e di Roman, ed a Iaşi è stato sempre sorvegliato dai  marescialli di Securitate».
 Le relazioni e le note informative scritte dagli  ufficiali della Securitate contengono decine di accuse al vescovo Durcovici, per  incriminarlo e mandarlo dinanzi alla Giustizia comunista. «Nei substrati  dell’omelia fatta dal vescovo Durcovici a Luizi Călugăra il 15 settembre 1948 –  evidenzia Don Benchea – gli ufficiali della Securità scoprivano 'la tendenza  dei fedeli cattolici di approfondire il sentimento religioso fino al fanatismo.  Il sentimento religioso nella massa di contadini cattolici è molto sviluppato,  e queste omelie tenute dal clero cattolico hanno un grande effetto…'. In  un’altra relazione redatta dalla Securità di Roman, il vescovo Durcovici era  accusato di aver tracciato, con le sue omelie, 'una linea di condotta dei  sacerdoti cattolici, incoraggiandoli ad azioni di istigazione mirante il regime  democratico', o che le parole del vescovo fossero 'una precisazione della  posizione anti-comunista e anti-governamentale della Chiesa cattolica'. Le  visite canoniche fatte dal vescovo Durcovici nelle province di Bacău e di Roman  e, con queste occasioni, le solennità religiose, sono state considerate dalla  Securità come 'rafforzamento del misticismo religioso nelle masse, fino  all’assurdo, e consolidamento dei rapporti con il Papa', fatti incompatibili  con la linea politica del regime democratico popolare».
 
 «D’ora in poi vedremo il  vescovo molto raramente»: l'arresto.
 
 Sono le parole del parroco di Bacau, il 25 febbraio 1949, nei confronti dei  suoi fedeli dopo un incontro con il vescovo Durcovici. L’arresto del vescovo  Durcovici è stato fatto dalla Securitate in un modo assolutamente illegale e  segreto, senza mandato di arresto. «In una dichiarazione del 28 gennaio 1950,  il sacerdote Rafael Friedrich – afferma Don Benchea riferendosi ai documenti  della Securitate – descrive a sua volta le circostanze dell’arresto del vescovo  Durcovici: "Il 24 giugno, mi ha pregato il vescovo Durcovici, di  mantenermi libero la domenica di 26 giugno dalle funzioni parrocchiali  domenicali, per poter accompagnarlo nel villaggio Popeşti Leordeni (vicino Bucarest),  dove doveva amministrare il sacramento della Confermazione e aveva bisogno di  me, essendo queste celebrazioni più ampie e richiedendo più sacerdoti aiutanti.  Su questa strada verso Popeşti Leordeni sono stato arrestato, insieme con Sua  Eccellenza, il 26 giugno 1949". Subito dopo l’arresto, l’intenzione del  regime comunista era di consegnare il vescovo Durcovici alla Giustizia  comunista. Però, considerando che non aveva sufficienti prove accusatorie, il  secondo giorno dopo l’arresto, la Centrale della Securità di Bucarest  sollecitava alla Direzione Regionale della Securità di Iaşi nuovi dati  compromettenti sull’arrestato. Ecco un simile ordine: "In 48 ore inviate  dichiarazioni non ritrattabili contro il nominato Anton Durcovici, dalle quali  risulti l’attività anti-democratica e anti-sovietica del sopra nominato, il  materiale possibilmente ottenuto dai sacerdoti detenuti che fanno parte del  complotto cattolico". Cominciava, il 26 giugno 1949, per il vescovo  Durcovici un lungo Calvario che si sarebbe concluso in modo drammatico il 10-11  dicembre 1951 con la sua morte di martire nella prigione di Sighetu Marmaţiei  (nella regione Transilvania).
 
 «Mons. Durcovici morì assistito  dai topi della prigione». La testimonianza di Ioan Ploscaru
 
 La Securitate era convinta che il vescovo Durcovici non collaborasse con le  autorità comuniste; per questo motivo decise, il 7 settembre 1951, di  trasferirlo nella famosa prigione di Sighetu Marmaţiei (la più dura del regime  comunista di Romania), dove era imprigionata in quel tempo l’alta società  politica, culturale e religiosa di Romania. «Il 10 settembre 1951, il vescovo  Anton Durcovici è stato trasportato da Jilava a Sighet, in massima discrezione,  decisa dalla Securità. Il capo della prigione di Sighet, Vasile Ciolpan, ha ricevuto  una decisione dalla Centrale della Securità di Bucarest di imprigionare,  all’inizio, il vescovo Durcovici in una cella comune. Partendo dal caso dello  storico Gheorghe Brătianu, del sacerdote romano-cattolico Rafael Friedrich, ma  anche di altre personalità imprigionate a Sighet, i cui dossier li abbiamo  indagati, possiamo pensare che il vescovo A. Durcovici è stato  amministrativamente condannato in assenza, senza essere informato dall’Alta  Commissione Militare del Ministero dell’Interno».
 Particolarmente toccante è la testimonianza diretta del vescovo greco cattolico Ioan  Ploscaru, anche lui detenuto nel carcere di Sighetu Marmaţiei, in merito agli  ultimi giorni e istanti di vita del vescovo Durcovici. Nel libro Catene e terrore. Un vescovo clandestino  greco-cattolico nella persecuzione comunista in Romania (Edb, Bologna 2012, già  recensito su «Orizzonti Culturali») Ioan Ploscaru dedica un capitolo dei suoi scritti alla morte del vescovo Anton  Durcovici. «La direzione della prigione – scrive Ploscaru – lo aveva messo in  isolamento quando si era resa conto che stava per morire. Fu proprio lasciato  morire di fame, da solo, perché non se ne avesse notizia. Se il vescovo  Durcovici fosse stato in cella insieme agli altri, forse avrebbero potuto  aiutarlo, dandogli sollievo negli ultimi momenti di vita. L'11 dicembre 1951  sentii padre Ioan Deliman, che scaricava carbone in cortile, mentre diceva ad  alta voce in francese: monseigneur Durcovici est décédé. Dopo che fu portato  via, di notte con la carretta che serviva per le immondizie, il giorno seguente  bruciarono la paglia del materasso, come si soleva fare; poi misero il suo  vestito a righe ad asciugare sul mucchio di legna che c'era nel cortile. Due  giorni dopo un poliziotto mi condusse nella cella 13, perché facessi un po' di  pulizia. Era la della dove era morto il vescovo Anton Durcovici. La prima  impressione fu dolorosa. Con uno solo sguardo compresi la solitudine e la  miseria in cui era morto. Per tanto tempo – conclude Ploscaru – ringraziai  nelle mie preghiere mons. Durcovici, perché dopo la sua morte le sue coperte mi  avevano riscaldato e un vetro della sua cella preso grazie alla bontà del  poliziotto, dal quale potevo godere la luce naturale, aveva trasformato  l'ambiente funereo della cella. Mons. Anton Durcovici morì come un martire,  assistito solo dai topi della prigione».
 
 
 
 Giacomo Ruggeri(n. 12,  dicembre 2013, anno III)
 
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