Andrei Pleșu: l’arte di invecchiare nella vita cristiana

Cinquant’anni fa usciva a Parigi un libro che avrebbe lasciato un segno in quei cristiani d’occidente desiderosi di conoscere meglio la spiritualità delle chiese ortodosse. Il libro si intitolava Le età della vita spirituale. L’autore era Paul Evdokimov, teologo ortodosso russo, osservatore al Concilio Vaticano II ed era percorso dal desiderio di recuperare nella tradizione spirituale ortodossa le traccia di una «santità che abbia del genio», secondo l’espressione di Simon Weil che Evdokimov faceva sua.
Declinare una spiritualità cristiana nel tempo significa mostrare come la fede cristiana sa parlare a tutte le età della vita, entra nella storia degli uomini e delle donne, svela il senso del passare del tempo, trasmette una speranza che attraversa la catena delle generazioni. L’intuizione di Evdokimov di una spiritualità al cuore della vita umana era la persuasione condivisa di un’intera stagione ecumenica, percorsa dalla gioia dell’incontro tra le chiese, dopo secoli di ostilità o ignoranza.

È anche l’intuizione che ha ispirato la scelta di dedicare al tema Le età della vita spirituale il XXI Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa tenutosi a Bose nel 2013, di cui sono stati pubblicati gli Atti dall’editrice Qiqajon (Comunità di Bose 2014, pag. 414, € 35). Invitato dalla Romania è stato uno dei nomi più in vista della cultura romena contemporanea, il filosofo e saggista Andrei Pleșu (ministro della cultura dal 1989 al 1991, ministro degli Esteri dal 1997 al 1999, fondatore nel 1994 del New Europe College di Bucarest di cui è direttore), cui è stato affidato il tema L’arte di invecchiare nella vita cristiana*.

Guida e mediatore: l’anziano nella Scrittura

L’apologia cristiana dell’età avanzata ha una base tratta dalla Scrittura poco incoraggiante. «Gesù ci ha insegnato le cose essenziali – precisa Pleșu – ma non è arrivato alla vecchiaia. La sua vita si è conclusa a trentatré anni, e i dodici apostoli ne avevano dai diciotto (di Giovanni) ai trentadue (di Pietro) quando il maestro li ha lasciati. D’altronde nel contesto evangelico l’età ideale, l’età dell’apoteosi spirituale, non è rappresentata dalla vecchiaia. La pienezza, la fede e la conoscenza mature sono proprie dell’età adulta, quella raggiunta da Gesù, l’età della compiutezza che si misura sul parametro di Cristo».
Con un breve sguardo al Nuovo Testamento, Pleșu analizza la figura del presbýteros nei Vangeli, negli Atti, nelle lettere di Paolo e nell’Apocalisse. «Due ruoli si delineano – scrive il saggista romeno – per gli anziani nell’ambito neotestamentario: quello di guida e quello di mediatore. La vecchiaia non è onorata come si conviene se chi arriva non è pronto ad assumersi queste due funzioni: sarà dunque, in virtù dell’esperienza accumulata, consigliere intelligente, maestro pieno di dolcezza e mediatore avveduto tra questo mondo e l’aldilà, tra ciò di cui si ha la certezza e ciò che attiene al mistero, tra la vita e la morte, o tra la morte e la resurrezione».
Nell’attuale contesto sociale la cultura europea ha tradotto, e sintetizzato, in due tipi l’approccio alla vecchiaia. «Uno è drammatico, cupo – evidenzia Pleșu – con una punta di masochismo, con l’impressione di un’ineluttabile condanna all’impotenza, al dolore e alla morte: in esso la vecchiaia è una penosa anticamera della fine, con un progressivo degrado, che ha come esito ultimo l’opacità del nulla. L’altro approccio della vecchia – prosegue lo scrittore – rasenta l’euforia e la presenta dotata di un invincibile fascino: una complessa miscela di sapienza, autorità e virtù, un’occasione per recuperare una modalità di vita più pura, libera dalle ingerenze della carne, che gode in pienezza dei benefici di un sapere che ha radici lontane. La vecchiaia sopraggiunge come una tregua meritata, l’occasione per rimettersi in moto verso un orizzonte ‘altro’ rispetto a quello dei determinismi di questo mondo terreno». Ora, attribuire al cristianesimo esclusivamente la versione più confortante sarebbe un errore. E su questo punto Pleșu è deciso e duro: «L’immagine esemplare di una vecchiaia santa, immersa nella luce edificante di chi è pronto a deporre la propria anima tra le mani accoglienti del Creatore non è altro che un luogo comune dell’insegnamento omiletico, asfittico per il tono edulcorato poco conveniente».

Virtù della vecchiaia: abbandonare l’inutile

La crisi forse inevitabile per ogni uomo è quella della soglia della vecchiaia. A ogni età si attende quella successiva e la si prepara. Solo nella vecchiaia si attende qualcosa d’altro: non è un’altra età ma un’altra condizione, un altro statuto, una vita ‘altra’. Più che nelle altre età dell’uomo, nella vecchiaia è costitutivo quello che Kierkegaard chiamava il «mistero della bilocazione». Prendendo spunto da questa espressione Pleșu afferma che «l’anziano vive simultaneamente su due piani differenti: nel qui e nell’altrove, nell’ora e nel non ancora, sulla terra e nei cieli. Chiunque riesce in questa impresa acquisisce, al momento opportuno, la virtù della vecchiaia. Avere tale virtù – prosegue Pleșu – significa, tra l’altro, essere capaci di abbandonare a tempo debito tutto ciò che già fin dai primi anni della vita attiva è prefigurazione della morte: esperienze inutili, idee fisse, stereotipi di linguaggio e di comportamento, sedentarismo intellettuale (e fisico)».
Il tempo che corre diventa, allora, occasione (kairòs), «valorizzazione lucida di ogni singolo momento, in vista di un’opera inscritta nella durata e in ciò che è al di là. Ben vissuta, la vecchiaia – evidenzia l’autore – è l’occasione in cui tutto può essere ripensato (comprese le proprie impotenze, la prossimità della morte, la solitudine, la marginalità) l’occasione di vedere in tutto questo una singolare ‘materia prima’ che attende di essere rimodellata».

L’anziano «abba»: la paternità spirituale

Attraverso l’esperienza dei padri del deserto dei primi secoli cristiani la paternità spirituale è divenuta un’istituzione. Gli anziani insegnano con la loro semplice presenza. Non offrono come punto di appoggio ai discepoli le sabbie mobili del discorso, ma la roccia dell’esempio. «Avere la fede – pone l’accento Pleșu – significa lasciarsi adottare, consegnarsi alla paternità divina. La vecchiaia dunque può suscitare la vocazione dell’affiliazione, dell’attaccamento filiale, primo passo di qualsiasi cammino spirituale».
Ma la vecchiaia, in fin dei conti, non è un’età superiore di per sé, frutto di un accumulo di esperienze meramente quantitativo, ma una «qualità» che può manifestarsi in ogni età della vita. In questa ottica è possibile addirittura una inversione dei ruoli padre-discepolo. In questo senso si pensi alla storia di quell’anziano del deserto che, dopo aver cacciato il discepolo dalla cella in un eccesso di collera, lo ritrova il giorno dopo ad aspettare saggiamente davanti alla porta, e gli dice: «Entra; d’ora in poi tu sei anziano e padre, io giovane e discepolo».
Avviandosi alla conclusione della sua profonda e ricca relazione, Pleșu invita il lettore al sano realismo che l’età della vecchiaia esige. «Di per sé la vecchiaia non è un paradiso – conclude – e sarebbe un’illusione, anzi, un atteggiamento poco cristiano, ignorare gli inconvenienti, le sofferenze, i drammi che riguardano l’esistenza di ogni anziano, per quanto dinamico, che finisce prima o poi per essere toccato. Non è possibile, a meno che non si sia ipocriti, affermare che la senilità è benedizione. Non si può subire l’invecchiamento dello spirito e del corpo senza provare amarezza. Le soluzioni cristiane al problema della vecchiaia sono però differenti: la pazienza, la preghiera e, per quanto possa apparire audace, la capacità di ridere di se stessi». Quest’ultima capacità può appartenere, lo auguriamo, a ogni età.



Giacomo Ruggeri
(n. 1, gennaio 2015, anno V)




* Mette conto segnalare che nel 2012 Pleșu ha pubblicato in Romania un corposo volume dedicato alle parabole di Gesù, non ancora tradotto in italiano (Parabolele lui Iisus. Adevarul ca poveste, Humanitas, București, 2012). La tematica religiosa e teologica fa parte dell'ampio spettro di interessi dell’autore, di cui ad esempio va segnalata anche un’originale rilettura in chiave soprattutto filosofica e antropologica della tematica degli angeli (Despre Ingeri, Humanitas, București, 2010).