«Baudelaire e l’esperienza dell’abisso»: prima edizione critica del testo di Benjamin Fondane

È recentemente uscita presso l’editrice Aragno, a cura e traduzione di Luca Orlandini, la prima edizione critica italiana di una delle monografie più importanti su Baudelaire, scritta da Benjamin Fondane, Baudelaire e l’esperienza dell’abisso, nonché il relativo compendio critico, firmato dallo stesso Luca Orlandini, La vita involontaria. In margine al Baudelaire e l’esperienza dell’abisso di B. Fondane (Aragno, Torino 2013). Sempre per i tipi della Aragno, a cura e traduzione di Luca Orlandini, è prevista l’uscita (maggio-giugno 2014) di un altro libro capitale di Benjamin Fondane: La conscience malheureuse (La coscienza infelice), tradotto dalla prima edizione critica recentemente pubblicata in Francia (Non-Lieu-Verdier, a cura di Olivier Salazar-Ferrer e Nicolas Monseu). Nel testo che segue, Luca Orlandini segnala in rapida sintesi alcuni degli assi portanti del testo di Fondane su Baudelaire.



«Se ci fossimo proposti lo studio del problema artistico in Baudelaire avremmo dovuto certamente soffermarci, da un lato, sull’analisi dettagliata della sua produzione poetica e, dall’altro, sulla sua produzione critica; avremmo affrontato indubbiamente il problema che il caso Baudelaire non smette di porre alla cultura. Ma non abbiamo a che fare con un problema culturale, e per quanto nato dal fatto culturale, e dal più complesso, non è un problema culturale quello che il pensiero di Baudelaire ci propone» (Benjamin Fondane).

Pare che Benjamin Fondane, autore del postumo Baudelaire et l’expérience du gouffre – «il est certain qu’on n’a jamais écrit quelque chose de plus profond sur Baudelaire» (Cioran) –, internato ad Auschwitz, citasse instancabilmente versi dell’autore de Les Fleurs du Mal. Monografia inclassificabile, eccentrica, oltre qualsiasi canone saggistico di critica letteraria e artistica, il suo Baudelaire obbliga, infatti, ad andare oltre ogni lettura estetica o esegesi letteraria o critica dell’opera di Baudelaire. Un’opera che ancora sembra «turbare» l’esegesi baudelairiana (quando non viene totalmente abbandonata per superficialità), apparsa nello stesso anno – 1947 – in cui uscì il Baudelaire di Jean-Paul Sartre, la cui influenza è stata spesso occultata, è ancora oggi essenziale per capire l’unicità di Baudelaire, per toccare al cuore la sua verità: «Sì, nella vita perfino la calma e l’ordine offrono un’apparenza non pacificata, inquieta, o qualcosa di balordo, di incompiuto. Mentre nell’arte anche l’inquietudine e la tensione hanno qualcosa di pacificato e confortante. Certo, ammettiamo che dietro alla scenografia troviamo la parete nuda, la tela inchiodata grossolanamente, il vaso di colla, le pulegge abbandonate – quello che Baudelaire definisce ‘le charlatanisme inévitable de l’art’ – ma rifiutiamo di immaginare l’agonia, l’insonnia, l’umiliazione, l’angoscia e la bruttezza assoluta. Perfino quando parliamo di ‘l’envers du décor’, è ancora al rovescio artistico che pensiamo, al contrario di un décor, e non alla vita arbitraria che lo regge: una cosa è la vita, una cosa è l’arte. L’arte non è forse una difesa contro la vita? Un rifugio, un’evasione? Non è forse superiore alla vita?» (Fondane)

La «filosofia esistenziale» di Fondane – che si distingue nettamente dall’Esistenzialismo, dall’ideologia dell’esistenza, sua estrema specializzazione e degradazione – riporta all’attualità quella domanda che Friedrich Schiller (come tanti altri, prima e dopo di lui, hanno presagito o espresso) avrebbe posto a noi all’alba del XIX secolo, nel suo Sulla poesia ingenua e sentimentale: qual è il modo d’essere dell’artista ingenuo nel mondo moderno sentimentale, filosofico? Fondane andava però oltre il «poeta» e l’«artista», il fatto semplicemente artistico, per abbracciare l’intera natura umana. E se Šestov, «maestro» di Fondane, portava avanti la lotta contro le evidenze con l’arma della Fede, quest’ultimo cercava un’esperienza anteriore alla conoscenza: nei primitivi e nel mito, nella «carica di verità delle ‘prime’ mitologie», alla luce della problematica estetica. Autentico sub specie aestheticae, egli ritrovava la giustificazione dell’essere del mondo e della vita umana come fenomeno estetico e piacere creativo «immoralista», e non come specifica attività artistica (il sub specie aestheticae dell’estetologo o del critico, come anche dello spettatore-lettore).



Luca Orlandini
(n. 12, dicembre 2013, anno III)