Ancora su Cioran: «Ineffabile nostalgia. Lettere al fratello 1931-1985»

«Guardo con nespus dor (ineffabile, indicibile nostalgia, in lingua romena, ndr), quella piccola via solitaria, dove mi piacerebbe passeggiare in questo momento! Impossibile immaginare la mia giovinezza senza di essa». Ineffabile nostalgia si intitola il prezioso libretto edito (per la prima volta in Italia) da Archinto, per la cura di Massimo Carloni e Horia Corneliu Cicortaș, che raccoglie il sentimento familiare di Emil Cioran: una corrispondenza epistolare con il fratello Aurel, detto Relu, sulla traiettoria parigina che incrocia la terra d’origine, tra il 1931 e il 1985. Duecentotrentasette missive che svelano la sovrana e inaspettata, per certi versi, umanità del filosofo e pensatore romeno (1911-1995), lungo un cinquantennio, piegatosi alla lingua francese in una delle forme più eleganti nella sua opera, ma qui «salvato» nella propria lingua madre dagli affetti più cari.

Răşinari, Sibiu, Şanta rappresentano i luoghi del cuore, gli scenari di un’immaginazione che rivive in tocchi brevi ma intensi, dove la memoria parla attraverso un ricordo di un’infanzia mai esiliata dall’anima. Lo sdoppiamento ironico di esistenze lacerate dalla storia governano la malinconia latente e fisicamente presente, in una famiglia nella quale l’intellettuale sradicato non dimentica la nobiltà del lavoro manuale, i profumi degli spazi marini, i sapori delle psicologie femminili.

«Cambiare lingua è ben più grave che cambiare paese», ma anche le illusioni del passato, la forza degli ideali di una gioventù spezzata (la storia tragica di una Romania vittima di autoritarismi senza sbocco che conducono a colonizzazioni straniere) segnano persino le illusioni delle età più attardate, le più pericolose, secondo Cioran. E pure una lingua che si è smesso di scrivere diventa inconsistente, perché sappiamo che il senso del tragico sboccia nei malintesi, nella mancanza di un approccio quotidiano alla natura, come la visione pacifica degli alberi: solo in certi contesti è possibile la contemplazione della morte, la totale assenza di vita rasenta la perfezione che non ci è data. Nella Parigi matrigna, Cioran rifugge la conversazione, il dialogo, l’incontro con le persone che lo assillano nella notorietà crescente, preferisce interloquire con una puttana piuttosto che con uno scrittore, nella certezza che sono i ricordi a rafforzare i nostri legami, ricordi che non vanno profanati con il ritorno verso ciò che amiamo.

Le parole consumano, bisogna coltivare il silenzio. Camminare, passeggiare è importante quanto rimanere nell’ombra, non esporsi alla violenza della luce, curare il proprio sistema nervoso, obliterare ogni forma di sensazionalismo a buon mercato. Calma, tranquillità, abbandono diventano imperativi categorici di una personalità pensante propensa a un’infaticabile lettura e a una scrittura più meditata, frammentata. Il piacere di leggere e camminare, l’ascolto della musica e della poesia sovrastano persino l’oculata presenza della compagna Simone Boué (1919-1997), che lo segue come un’ombra, anche se Cioran scriverà che ogni matrimonio è uno smacco e una complicazione.

Vite incompiute presentano interesse, non importa che siano attuali, è l’autenticità che va preservata. Il passo breve ma incalzante della corrispondenza con il fratello è ricco di consigli affettuosi, che conoscono una premura attenta ad osservare ciò che conta, a cogliere l’essenziale, a rispondere anche a esigenze pratiche, con una predisposizione al lavoro con le mani, all’esperienza diretta con le cose, gli oggetti, al lavoro fisico che mette freno alla tristezza. Tra ombra e sogno si sviluppa la vita, nel riconoscimento della storia e degli storici, degli esempi grandi, Shakespeare è tra questi, nel rifiuto di ogni passività (la televisione, ad esempio).

Emil Cioran possiede il fascino di un linguaggio aforistico che si può apprezzare in Sommario di decomposizione, La tentazione di esistere, Storia e utopia, L’inconveniente di essere nati, Squartamento, Esercizi d’ammirazione, Confessioni e anatemi. Nelle lettere al fratello, si può leggere l’affetto parentale verso una terra e una famiglia d’origine che non ha dimenticato la propria cultura e il desiderio di rivivere il sentimento veemente della propria infanzia. Una nostalgia potente, smemorante.




Stefano Chemelli
(n. 5, maggio 2015, anno V)




* Questa recensione è uscita, col titolo Cioran scrive le parole del silenzio, anche sul quotidiano L’Adige di Trento, il 16 aprile scorso.