«Catene e terrore». Ioan Ploscaru, il martirio di un vescovo greco-cattolico romeno

Pubblichiamo ampi stralci del testo di Mons. Virgil Bercea in prefazione al volume di Ioan Ploscaru, Catene e terrore. Un vescovo clandestino greco-cattolico nella persecuzione comunista in Romania, edito dalle Edizioni Dehoniane Bologna, che ringraziamo per la gentile concessione.


Parlare di martiri ai nostri tempi sembra anacronistico. Gli avvenimenti storici recenti, invece, ci dimostrano che il martirio è «professione di fede» che accompagna la via della Chiesa di Cristo, sia come testimonianza della presenza del regno di Dio, sia – nel caso dei martiri e dei confessori della fede greco-cattolici – come una testimonianza sulla realtà  della Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica e sul valore spirituale di questa unità (...). Non dimentichiamo che la funzione più importante della Chiesa è «la professione di fede» o martyria [1], un processo storico intimamente legato alla missione, affidata da Gesù  ai suoi apostoli,  di diffondere la buona novella e di guidare tutta l’umanità alla salvezza, ossia di liberarla dalla schiavitù del peccato e di strappare l’individuo al terrore di essere  sottoposto allo scorrere del tempo e alla morte. Questa testimonianza di fede, però, implica una lotta con le forze che si oppongono al piano di Dio; per questo la «professione di fede» (martyria) molte volte è divenuta «martirio» nel senso di cui oggi discutiamo. Iniziando da santo Stefano, in ogni secolo della storia della Chiesa vi è una sequela impressionante di uomini e di donne che hanno fatto professione di fede a prezzo della vita. (...) Questi avvenimenti hanno segnato la Chiesa  cristiana  in epoca  contemporanea, dalle persecuzioni dei cristiani in Armenia all’inizio del XX secolo, alla difficile situazione delle Chiese  cristiane di oggi del Vicino Oriente o del Nord Africa, all’inizio del XXI secolo.

Il secolo XX è stato anche il secolo del martirio delle élites intellettuali e degli uomini di fede in Romania. Come in ogni persecuzione fatta da un gruppo di uomini contro i propri simili, il male e la sofferenza provocati – a prescindere dalla loro motivazione ideologica – sono grotteschi, incomprensibili e contro i valori umani. Tanto  più difficile è accettare il fatto che nella storia recente del popolo romeno siano potuti  accadere simili avvenimenti. Il regime totalitario instauratosi in Romania alla  fine  della seconda guerra mondiale si è, in virtù di un’ideologia, eretto non solo contro i valori del mondo civile, ma contro la libertà dello spirito; per questo la Chiesa e soprattutto l’unità tra i cristiani furono tra le prime vittime. Senza addentrarci nei dettagli della teologia del martirio, il semplice ricordo dei grandi spiriti che lottarono e soffrirono contro il rullo compressore della storia è un dovere. I martiri dell’epoca comunista e coloro che soffrirono persecuzioni furono la sola resistenza efficace contro il potere brutale e la violenza: hanno dimostrato, una volta ancora, che il bene esce vincitore da ogni tentazione, sebbene con tanta sofferenza. Coloro che passarono attraverso le persecuzioni dell’epoca comunista costituiscono le vere colonne su cui si edifica il futuro. Essi collegano il mondo libero di prima e la libertà che dobbiamo riconquistare, sono le strutture della resistenza che sostengono la spiritualità romena.

Il contesto politico e storico del martirio romeno

I territori della Romania, situati al confine tra l’Occidente e l’Oriente, tra la cultura slava a nord e quella greca a sud, ebbero da soffrire davanti  agli interessi delle grandi potenze. Nonostante ciò, con una resistenza passiva davanti al mondo che scorre – ma con un atteggiamento positivo nei confronti della storia –, con la cultura popolare, la fede e una spiritualità propria, il popolo romeno ha resistito nello spazio geo-culturale, a cui è intimamente legato e in cui ha ben radicato la propria esistenza [2]. Nel 1700, i romeni di Transilvania desiderarono integrare la loro spiritualità specifica nell’universalità del cristianesimo cattolico, scoprendo nell’unità e nella diversità della Chiesa quel sostegno in favore dell’affermazione della propria identità e, soprattutto, per l’emancipazione del popolo che era stata chiamata a pascere. La Școala Transilvană [Scuola di Transilvania] fu il fermento che dette l’impulso allo sviluppo della cultura romena, propagandola al di là dei confini statali di allora, in tutte  le province romene. I valori della romanità danubiana, la grafia latina, l’integrarsi in modo attivo nella spiritualità europea, sono da allora un marchio perenne della spiritualità e della cultura romene. Nel XIX secolo i romeni si integravano nel mondo moderno, riformando le proprie istituzioni, ottenendo l’indipendenza, ma soprattutto guadagnando gradualmente un quadro in cui si manifestasse come un’unica nazione, unita in un solo Stato.
Il desiderio dell’unità  nazionale doveva realizzarsi nel 1918, alla fine della prima guerra mondiale, dopo la disintegrazione dell’Impero austro-ungarico e la decisione della Bessarabia e della Bucovina di unirsi al Regno di Romania. La Chiesa romena unita con Roma (greco-cattolica) portò il suo contributo anche sul piano dell’unità nazionale di tutti i romeni, iniziando da Câmpia Libertăţi di Blaj sino alla proclamazione solenne dell’Unione del 1° dicembre 1918; uno dei figli di questa Chiesa romena, il vescovo Iuliu Hossu – più tardi nominato cardinale in pectore – lesse, accanto al vescovo ortodosso Miron Cristea (che sarebbe divenuto patriarca della Chiesa ortodossa romena), il documento della Grande Unione [3].

Dopo aver compiuto la missione di promuovere la cultura romena con l’apertura delle prime scuole moderne, dopo aver guidato con le sue élites il popolo e aver svolto la sua azione pastorale tra i fedeli, dopo aver portato il suo contributo nella realizzazione dell’unità dello Stato di tutti i romeni, la Chiesa greco-cattolica era considerata, nell’ambito della Romania riunita, come un faro che guidava l’avvicinarsi  di tutti  i romeni  ai valori  del mondo e della civiltà occidentale, pur serbando la propria spiritualità e le particolarità  del cristianesimo di matrice greco-bizantina. Nel 1921 il vescovo di Oradea, Demetriu Radu, cadeva vittima di un attentato nel senato della Romania.
Nel periodo interbellico la Chiesa romena unita con Roma continuò ad affermarsi con le scuole e le istituzioni di carità, sostenendo attivamente la cultura e la spiritualità del popolo romeno. Da posizione di Chiesa maggioritaria dei romeni di Transilvania, però, si era ritrovata minoritaria in una Romania a maggioranza ortodossa [4]. In questo contesto la Chiesa  greco-cattolica progredì nello spirito  del tempo, organizzando l’impegno attivo  dei  laici conformemente al modello dell’Azione cattolica e riservò un’attenzione particolare alla formazione del clero nelle Accademie teologiche di Oradea, Cluj e Blaj e inviando  studenti al Collegio  di sant’Atanasio di Roma  o al proprio Collegio Pio romeno.
L’inizio della seconda  guerra  mondiale doveva recare sofferenza a tutte le Chiese, perché gli uomini  passavano di nuovo  attraverso tribolazioni e disagi di un periodo di sofferenza generale, ma ha significato anche la modifica delle frontiere, con il Diktat di Vienna (30 agosto 1940), in seguito al quale quattro milioni di romeni di Bessarabia, Bucovina  del nord  e del nord-ovest della Transilvania venivano separati dai loro  fratelli. Nella Transilvania occupata, i romeni greco-cattolici, maggioritari, mostrarono solidarietà verso i loro fratelli ortodossi, rimanendo uniti davanti alle persecuzioni e alle pressioni che venivano dal regime di Horty. È il periodo dei massacri di Ipe Trăznea (1940), ma anche dei tentativi di attentati rivolti contro il vescovo di Cluj-Gherla Iuliu  Hossu (Budocul Român e Bistriţa Năsăud) o il vescovo ortodosso Nicolae Colan (Cluj).
Dopo la morte  del metropolita Alexandru Nicolescu nel 1941, la Chiesa  romena unita  non  aveva  un  capo riconosciuto ufficialmente dallo Stato, situazione che doveva  perpetuarsi, purtroppo, sino al 1989. La fine della guerra recava nuove speranze, ma anche confusione. Gradualmente la Romania «liberata» dai sovietici entrò, con il governo di Petru Groza, in un periodo buio e di sofferenza. Però, questa volta, le persecuzioni toccavano in modo diretto le Chiese cristiane della Romania. Quella che fu oppressa in modo maggiore fu la Chiesa greco-cattolica, forzata a entrare realmente nelle catacombe, mentre i suoi figli e le sue figlie erano perseguitati, imprigionati o chiamati a pagare  il loro tributo di sangue.

Secondo il modello già sperimentato in Ucraina, a cominciare dal 1946 nei paesi del blocco comunista in cui esistevano le Chiese greco-cattoliche fu messo in atto  un piano  di liquidazione delle istituzioni ecclesiastiche che si trovavano in comunione con Roma. Il regime comunista, speculando sull’appartenenza alla stessa spiritualità greco-bizantina, desiderava la rottura dei fedeli con la gerarchia unita e il passaggio di questi alla Chiesa ortodossa nazionale, specifica di ogni Paese.  Un processo che prevedeva l’arresto e la minaccia al clero, ai fedeli militanti che, per la loro preparazione catechistica e le loro conoscenze religiose, aderivano in modo cosciente e per convinzione all’unità della Chiesa; poi, con decreti dello Stato, non si riconobbe più la gerarchia unita, il clero fedele entrava nell’illegalità, i beni – e soprattutto le chiese e le case parrocchiali – entravano in possesso della Chiesa ortodossa, mentre si imponevano ai fedeli preti  e parroci ortodossi.
In Romania questo sopruso vestiva una forma originale, con l’organizzazione di alcune parodie che simulassero una decisione popolare e una decisione  firmata  dai protopopi e da almeno un vescovo, secondo il modello dell’Atto di unione della Chiesa romena di Transilvania del 1700. Ma, al momento di attuare questa messa in scena, la gerarchia greco-cattolica era già incarcerata e decisa a dare testimonianza di fede restando in unione con la Chiesa, mentre il clero e il popolo che rifiutavano il «passaggio» alla Chiesa  ortodossa erano perseguitati. Per questa farsa – chiamata con sarcasmo «unificazione della Chiesa romena» – fu scelta anche una data simbolica (il 1° dicembre), e fu immediatamente accompagnata dal decreto 358/1948, con il quale le chiese e tutti i beni della Chiesa  romena unita  erano divisi tra  lo Stato e la Chiesa ortodossa romena. Il peggio era che coloro  che erano  oppressi  e privati  dei beni vedevano le chiese e le istituzioni  confiscate in mano ai loro fratelli ortodossi, loro stessi romeni, della stessa spiritualità e con la stessa storia comune in Transilvania; si accentuava così il sapore  amaro  dell’ingiustizia. Ma dietro  a questi avvenimenti c’era la situazione reale: persecuzioni, sofferenza, vite lacerate e martirio.
I vescovi Vasile Aftenie († 1950), Valeriu Traian  Frenţiu († 1952), Ioan Suciu († 1953), Tit Liviu Chinezu († 1955), Ioan Bălan († 1959), come pure il cardinal Iuliu Hossu († 1970), morirono nelle carceri  e nei luoghi di domicilio forzato. Il loro sacrificio non fu vano, perché in tutto questo tempo sopravvisse una resistenza attiva.  La vita della Chiesa si svolse nelle catacombe, ma i laici rimasti fedeli all’unità, i sacerdoti, le persone consacrate e la gerarchia ordinata clandestinamente assicuravano la continuità della Chiesa romena unita, la cui guida era stata presa dai vescovi appena consacrati: Alexandru Todea († 2002) per l’arcidiocesi di Alba Iulia și Făgăraș, Iuliu Hirţea († 1978) per Oradea, Ioan Cherteș († 1992) per Cluj-Gherla, Ioan Ploscaru  († 1998) per Lugoj e Ioan Dragomir († 1985) per il Maramureș. Nonostante le persecuzioni, le difficoltà e il fatto che i pastori fossero in stato di illegalità e di martirio, la vita continuava.

Questo è il contesto delle persecuzioni della Chiesa romena unita con Roma nel XX  secolo, avvenute nel più vasto scenario dell’oppressione della spiritualità romena, delle élites politiche, intellettuali e spirituali, accanto al tentativo di liquidare coloro che si opponevano e i vertici  delle  strutture economiche tradizionali, rappresentati dai  proprietari delle fabbriche, dai  possidenti e dai contadini agiati. Uno di coloro che passarono con dignità  attraverso le persecuzioni e che servirono la Chiesa  di Cristo  nel periodo in cui era nelle catacombe, fu il vescovo Ioan Ploscaru.

Ioan Ploscaru: fede e sacrificio

Ioan Ploscaru nacque il 19 novembre 1911 nella località di Frata, nel dipartimento di Cluj. Dopo gli studi seguiti nel villaggio natale, studiò al Liceo Sfântul Vasile cel Mare [San Basilio il Grande] di Blaj, poi all’Accademia romena unita di quello stesso centro  storico e culturale della Chiesa greco-cattolica. Fu ordinato sacerdote celibe il 13 settembre 1933, con l’imposizione delle  mani da parte del vescovo Valeriu  Traian  Frenţiu; fu quindi professore di religione e sacerdote a Brașov. Nel 1936 sostenne l’esame di licenza, seguendo anche i corsi di formazione all’insegnamento nel Seminario pedagogico universitario di Cluj, con la specializzazione in religione greco-cattolica nell’insegnamento medio-liceale, nel mentre che esercitava come sacerdote a Brașov e a Crăciunel (dipartimento di Harghita).
Nel 1936 il metropolita Alexandru Nicolescu lo invitò, per il perfezionamento degli studi teologici, in Francia, a Strasburgo, e spostò la  sua  incardinazione  dall’arcidiocesi di Alba  Iulia-Făgăraș all’Eparhia de Lugoj, ove servì sino alla sua morte. In Francia ottenne anche la laurea in pedagogia, preparandosi nello stesso tempo agli studi di dottorato. Ma l’inizio della guerra infranse i suoi piani. Nel 1940 si rifugiò dapprima a Parigi, tornando poi a Lugoj. Qui fu nominato segretario del vescovo; nel 1942 fu nominato canonico e nel 1945 proto-sincello (vicario generale), carica che occupò sino al momento in cui la Chiesa greco-cattolica romena venne messa fuori legge, nel 1948.

Le persecuzioni contro la Chiesa cattolica iniziarono molto prima dell’Atto della dissoluzione abusiva da parte del regime comunista, con azioni di intimidazione e soprattutto con pressioni  sul clero, perché  apostatasse e passasse alla Chiesa ortodossa. Il 30 novembre 1948 Ioan  Ploscaru ricevette l’ordinazione dalle mani del nunzio apostolico Patrick O’Hara come vescovo  ausiliare, per prendere il fardello del vescovo  Ioan  Bălan,  che aveva  già iniziato la sua «via crucis», accanto  agli altri vescovi cattolici di Romania di quei tempi. Il giorno dopo, il 1° dicembre 1948, la Chiesa romena unita entrava nelle catacombe. Ioan Ploscaru svolse la sua azione pastorale con forza e fede per il gregge rimasto fedele, dando testimonianza sia della fede in Cristo sia dell’unità della Chiesa. Infine, il 29 agosto 1949 Ioan Ploscaru venne arrestato, passando attraverso le prove della tortura nelle celle della «Securitate» e gli orrori delle prigioni comuniste: dapprima tra il 1949 e il 1955; liberato, fu nuovamente incarcerato nel 1956 e condannato a 15 anni di prigione «per tradimento della patria e macchinazioni contro  l’ordine sociale». Nel 1964 fu liberato, ma rimase sotto la stretta sorveglianza della «Securitate» fino al 1989, svolgendo la sua attività di sacerdote e di vescovo in clandestinità.
Nel 1990 poté rallegrarsi con i suoi fedeli quando la Chiesa romena unita, greco-cattolica, riottenne il diritto di praticare liberamente il culto, uscendo dalle catacombe per rinascere a una nuova vita; con questa speranza entrò in una nuova epoca della sua esistenza che gli serbava però  altre  prove  e provocazioni. Sua eccellenza  mons. Ploscaru fu il primo tra i vescovi greco-cattolici a riprendere possesso della propria cattedrale, che gli fu restituita dal metropolita ortodosso di Lugoj Nicolae Corneanu già all’inizio del 1990. Il 21 gennaio vi celebrò la prima santa liturgia dopo il periodo di persecuzione.
La preparazione pedagogica di Ioan Ploscaru e la ricchezza interiore accumulata in anni di preghiera e di prove dettero frutto anche grazie ai suoi scritti, vere opere di carattere didattico, memorialistico e di letteratura spirituale. Vennero alla luce Biblia răspunde ([La Bibbia risponde], Viaţa Creștină, Cluj-Napoca 1993), Lanţuri și Teroare ([Catene e terrore], Editura Signata, Timișoara 1993), Răstigniţi cu Cristos ([Crocifissi con Cristo], ediţia  I-a în anul 1996, ediţia  a III-a, Editura Helicon, Timișoara 1999), Urmele lui Dumnezeu ([Le tracce di Cristo], ediţia a II-a, Editura Helicon,  imișoara 1998) e Icoana Maicii Sfinte de la Scăiuș ([L’icona della Madonna di Scăiuș] ediţia a III-a, Viaţa Creștină, Cluj-Napoca 2003).
Nel 1996 il vescovo Ioan Ploscaru andò in pensione e fu promosso al rango di arcivescovo dal papa Giovanni Paolo II; al suo posto fu elevato alla sede episcopale il vescovo Alexandru Mesian. Dopo una vita di fede e di servizio a Cristo in un periodo così difficile, dopo essere passato attraverso le prove delle prigioni comuniste, il 31 luglio 1998 fu chiamato dal Signore, incontrandosi con Colui che aveva  servito con fede fino al termine del pellegrinaggio terreno. La sua vita può essere descritta dai suoi stessi versi, sgorgati nel periodo in cui era ai ceppi in prigione:

E la fine più nobile, offerta,
dedicata a Te, possibile solo
al cuore che s’è sacrificato

nel martirio lento per la fede…

Ogni vita trascorsa in santità è una testimonianza di fede e, anche se i nemici dello spirito offrono all’uomo «catene e terrore», l’anima fedele gode di una libertà e di una pace superiore a quella  che può offrire questo  mondo. L’anima del vescovo Ioan Ploscaru ha ricevuto la ricompensa per la sua vita, offerta come professione di fede e di servizio; possiamo affermare con sicurezza che è in Cielo accanto  ai beati e ai santi che vivono della luce divina.

Conclusioni

Nelle carceri comuniste e nelle colonie di lavori forzati furono perseguitati politicamente e furono sterminati cittadini romeni di diverse confessioni: ortodossi, greco-cattolici, cattolici di rito latino e riformati. Alcuni furono incarcerati per motivi strettamente politici, altri – com’è il caso dei vescovi e dei fedeli greco-cattolici – furono perseguitati a causa del credo e dell’appartenenza alla Chiesa  universale di Roma. Anche perché Roma, residenza del papa – successore di Pietro – era al di là della cortina di ferro, in un mondo che, nonostante le imperfezioni e il disordine culturale, aveva serbato e rispettato il senso della libertà.
I greco-cattolici hanno dato una doppia testimonianza di fede: dapprima hanno difeso i valori cristiani e il diritto di praticare il culto, anche nelle catacombe; poi hanno testimoniato l’unità: l’unità di fede e di valori integratori di una sola Chiesa di Cristo che riunisce tutti i popoli, permette l’affermazione di valori peculiari come patrimonio dell’intera umanità, promuove la solidarietà e la fraternità tra gli uomini. I greco-cattolici sono i martiri dell’unità della Chiesa, ma anche uomini che hanno desiderato che la Romania fosse integrata nel mondo civile. Questo fu il credo che ebbero tutti coloro che si opposero al sistema totalitario comunista e molti  pagarono con la vita il desiderio di libertà.

I martiri greco-cattolici ricordati sono una piccola parte del grande numero di confessori romeni; in Cielo sono riuniti tutti coloro che hanno  difeso, a prezzo delle persecuzioni e anche a prezzo della vita, la fede, i valori e la spiritualità. In catene e terrore, oppressi e talora privi della luce del sole, alcuni scoprirono un’altra luce al di sopra del mondo fisico, la luce di Cristo; altri hanno raggiunto la stessa luce percorrendo la «via crucis», passando attraverso le sofferenze e la morte  come il divino Salvatore, per giungere nella patria celeste, dove attendono la resurrezione comune.  Un altro testimone che è passato per le carceri comuniste, Nicolae Steinhardt, un ebreo che aveva scoperto la luce di Cristo salvatore, nella sua opera Jurnalul fericirii [Il diario della felicità] si chiede in modo retorico: «Che significa fede? Credere nel Signore anche se il mondo è cattivo, nonostante le ingiustizie, a dispetto della bassezza, nonostante che da ogni luogo non vengano che segnali negativi».
Questa è la più importante lezione trasmessa dai martiri e dai confessori romeni, a prescindere dal fatto che appartenessero all’una o all’altra Chiesa, perché tutti servirono, coerenti con il proprio credo, lo stesso Dio in Cristo nostro Signore, ravvivati dallo stesso Spirito. Questa è la lezione di vita che Ioan Ploscaru trasmette dal Cielo a noi, suoi successori nella fede e nel servizio. Tanto più i greco-cattolici e gli ortodossi romeni, che appartengono alla stessa spiritualità, con una storia comune e con le stesse aspirazioni, si sono potuti riunire nei periodi di persecuzione e sono stati uniti nella testimonianza di  fede  in Dio  e nella  fedeltà  nei  confronti dell’unità  della Chiesa cattolica.
I martiri e i confessori sono coloro che consolidano l’edificio spirituale dell’umanità nei periodi di difficoltà. Essi sono «nostri» e, allo stesso tempo, sono vero patrimonio di tutti. Essi sono il fondamento su cui l’intera umanità si unirà  nell’amore, nella  solidarietà e nella fede.


Mons. Virgil Bercea
vescovo della diocesi greco-cattolica di Oradea
(n. 3, marzo 2013, anno III)

Indice del volume di Ioan Ploscaru

NOTE

1. Cf. A. Buzalic, Ekklesia. Din problematica  eclesiologiei contemporane, Editura Buna Vestire, Blaj 2005, 193 [Della problematica  dell’ecclesiologia contemporanea].
2. Mircea Eliade parla di anima naturaliter cristiana: «I romeni non sono mai caduti nel peccato  della disperazione, grazie alla loro fede nella presenza permanente di Dio nella vita e nella storia lungo il loro tragico destino. Hanno sempre  avuto la speranza che, alla fine, il Bene trionferà sul Male» (in Meșterul Manole. Studii de etnologie și mi- tologie. Antologie, Editura Eikon, Cluj-Napoca 2008, 121-122 [Meșterul Manole. Studi di etnologia e mitologia. Antologia]).
3. Cf. O. Bârlea, «Adunarea naţională a românilor la Alba  Iulia  în 1 decembrie 1918», in Perspective (2000)73, 235-236 [La Riunione nazionale dei romeni  ad Alba Iulia il 1° dicembre 1918].
4. Cf. I.M. Bota, Istoria Bisericii Universale și a Bisericii Românești, Viaţa Creștină, Cluj-Napoca 1994, 324-325 [Storia della Chiesa universale e della Chiesa romena].