Cioran l'eretico. Tesi universitaria di Mattia Luigi Pozzi

«Qualsiasi commento a un’opera è cattivo o inutile, perché tutto ciò che non è diretto è senza valore» [1].

Nel presente elaborato ci occuperemo, da eretici, di un’eresia. Se esiste infatti una possibilità di definizione per il pensiero e l’opera di Emil Michel Cioran, essa risiede proprio in questa parola così affilata e, al contempo, così vaga. Eterodosso rispetto a qualunque ortodossia – considerando tali la vita stessa e il suo stesso io – Cioran corrisponde al suo destino di pensatore dispiegando un pensiero frammentario che si declina come feccia, come residuo. E donandoci un’opera miracolosa per tono e stile, per la capacità di mostrare il lavorio del silenzio attraverso le parole, per la possibilità di dire nascondendo.
Corrispondergli da eretici – ossia nell’unico modo possibile – significa, a nostro avviso, obbligare tale pensiero a una torsione, a una sorta di dispiegamento: obbligarlo cioè a distendersi e a rivelarsi, a lasciar aperto uno spiraglio da cui si possano intravvedere le sue profondità, da cui si possa scoprire, almeno in parte, l’iceberg argomentativo di cui ogni frammento è la punta. Significa anche cercare di dissipare gli equivoci che esso, costitutivamente e per difesa, moltiplica: ossia cercare di comprendere se esso possa essere realmente e propriamente considerato un pensiero e non solo una folla confusa di frantumi, come si tende a considerarlo e come esso mira ad apparire.
L’unica strada percorribile in tal senso passa attraverso la simulazione e l’arbitrio: simulazione di una coerenza per scoprire se un pensiero del genere ne rispetti segretamente i canoni o se rifiuti tale criterio di valutazione come cogente e arbitrio nel postulare un inizio e una fine – quindi un percorso, uno sviluppo – per un pensiero che si dilata nella contemporaneità di un’esplosione. Il prezzo da pagare per la nostra impresa è, però, la riprovazione ideale del nostro pensatore. Gli aforismi posti in epigrafe infatti squalificano in partenza ogni tentativo in tal senso bollandolo come cattivo, inutile o irritante. A nostra parziale discolpa possiamo sostenere che il nostro tentativo non si qualifica come totalmente indiretto in quanto, fedeli alla tradizione degli Esercizi di ammirazione cioraniani, ci dedicheremo a ritrovare noi stessi in lui, nella sua opera. Inoltre, abbiamo scelto di limitare al massimo grado i riferimenti a monografie critiche che ci avrebbero ulteriormente allontanato dall’autore e di ingaggiare quindi una lunga schermaglia con Cioran stesso, un tenace vis à vis con la sua opera, pressoché senza interferenze esterne.
Per evitare, inoltre, ulteriori equivoci abbiamo anche deciso di rinunciare a ogni tentativo di collocazione di Cioran in scuole o tradizioni filosofiche, limitandoci a segnalare eventuali consonanze o affinità con altri pensatori, senza alcun intento omologante. Da ultimo, possiamo e dobbiamo difenderci dall’accusa di sistematicità, di maniacalità del rigore, sottolineando come il nostro intento non sia quello di ridurre Cioran o la portata delle sue esperienze personali e assolute a un trafiletto da manuale, quanto piuttosto restituire per quanto possibile la portata dirompente del suo pensiero al fine di corrompere, almeno un po’, la professionalità sistematica dell’università.

Proponiamo ora una breve scorribanda nella nostra struttura per facilitare l’approccio all’elaborato. Per restare fedeli alla nostra eresia nell’eresia, abbiamo deciso di porci ironicamente dal lato del classicismo: abbiamo infatti scelto quattro ambiti piuttosto classici, quattro cornici piuttosto astratte per racchiudere idealmente tutti gli atteggiamenti cioraniani che prenderemo in esame. Vediamole nel dettaglio.

Nel primo capitolo ci occuperemo della controversa concezione cioraniana del soggetto o meglio, data la natura strettamente personale del suo pensiero, di se stesso come soggetto. Dedicheremo pregiudizialmente la nostra attenzione alle origini geografiche di Cioran in quanto le reputiamo essenziali per comprendere sia il suo modo di filosofare sia alcune peculiarità della sua riflessione. In secondo luogo ci rivolgeremo all’essenza metaforica del soggetto e svolgeremo un’approfondita e accurata indagine della nozione di coscienza: presteremo infatti particolare attenzione ai modi della sua formazione e ai suoi rapporti con la temporalità – confluenti in una sorta di deriva progressiva che, attraverso varie cadute, conduce dal paradiso dell’incoscienza all’inferno della lucidità.

Nel secondo capitolo, invece, ci interesseremo alle riflessioni cioraniane riguardanti il problema della conoscenza: mostreremo infatti quale sia la sua valutazione in merito al sapere, in che modo egli intenda la conoscenza stessa e come si declinino, nella sua esperienza, i rapporti tra fisiologia e metafisica. Tenteremo poi, come spartiacque interno al capitolo, di restituire un’immagine ricorrente e rivelatrice. Inoltre, ci rivolgeremo a quello che abbiamo battezzato sincretismo cioraniano –  ossia alla peculiare maniera in cui, in Cioran, confluiscono fondendosi elementi riconducibili a diverse scuole filosofiche –  e ai rapporti cioraniani con la filosofia ufficiale. Da ultimo ci occuperemo di mostrare in che maniera si declini il pensiero di Cioran e quali siano le sue valutazioni in merito alla questione della verità.

Nel terzo capitolo dedicheremo la nostra attenzione al problema della parola, azzardando un’ipotesi interpretativa del gesto della scrittura cioraniana, indagando i segreti del suo tono e trattando il tema, decisivo, dell’esilio linguistico. Analizzeremo poi il ruolo determinante del silenzio nella critica minacciosa a cui Cioran sottopone le parole, la sua concezione dei rapporti con l’altro e le insospettabili risorse comunicative del lirismo. Infine rivolgeremo lo sguardo alla natura terapeutica e liberatoria, oltre che paradossale, dei suoi scritti.

Nel quarto capitolo, infine, ci occuperemo delle problematiche riguardanti l’azione declinantisi rispettivamente nell’analisi della storia, della decadenza ad essa inerente e dell’universo politico. Inoltre ci rivolgeremo alla negazione dell’azione stessa e ad alcuni vicoli ciechi a cui la riflessione cioraniana conduce. Da ultimo, mostreremo come Cioran agisca nella sua opera nei confronti del lettore.

Accingiamoci quindi senza ulteriori indugi a quest’impresa, ribadendo la convinzione che possa essere il nostro unico modo di corrispondere alle ferite che Cioran ci ha inferto [2] – accingiamoci ad essa con gli occhi dell’assassino [3].


Il contenuto integrale della tesi è disponibile cliccando qui.


Mattia Luigi Pozzi
(n. 3, marzo 2015, anno V)

* Tesi già pubblicata sulla rivista online «Nòema».


NOTE

1. E.M. Cioran, Syllogismes de l'amertume, Gallimard, Paris 1952; tr. it. di C. Rognoni, Sillogismi dell'amarezza, Adelphi, Milano 2007, p. 21.
2. E.M. Cioran, Écartèlement, Gallimard, Paris 1979; tr. it. di M.A. Rigoni, Squartamento, Adelphi, Milano 2004, p. 87: «Un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve provocarle. Un libro deve essere un pericolo».
3. E.M. Cioran, De l'inconvénient d'être né, Gallimard, Paris 1973; tr. it. di L. Zilli, L'inconveniente di essere nati, Adelphi, Milano 2007, p. 42: «Un’opera esiste solo se è preparata nell’ombra, con l’attenzione e la cura dell’assassino che medita un colpo. In entrambi i casi ciò che predomina è la volontà di colpire», e ivi, p. 151: «In arte e in tutto, il commentatore è di solito più accorto e lucido del commentato. È il vantaggio dell’assassino sulla vittima».