Il poeta amato da Ionesco: Ilarie Voronca e lo splendore della vita

Eu dacă ştiam,
Nu mai răsăream.
Eu de-aş fi ştiut,
N’aş fi crescut.

Questi splendidi versi del Canto dell’Abete affondano le proprie radici lontano nel tempo. Un’antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, un seguace di Dioniso, senza riuscire a prenderlo. E quando il Sileno gli cadde infine tra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. «Rigido e immobile il demone tace»; finché costretto dal re, il Sileno dice fra stridule risa queste parole: «Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire?» Ed ecco il responso del Sileno: «Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è – morire presto». Questo testo, che riassume il senso della tragedia greca di Eschilo e Sofocle, echeggia anche la Bibbia nel lamento di Geremia: «Maledetto il giorno in cui io nacqui, il giorno che mia madre mi partorì non sia benedetto. Maledetto l’uomo che l’annuncio arrecò a mio padre, dicendo: Ti è nato un figlio maschio, e lo riempì di gioia». Si ha, a partire dalla Bibbia, dai Greci fino ai Canti del Morto della tradizione popolare romena, la percezione di un’esistenza umana irrimediabilmente consegnata al dolore, il cui unico rimedio sarebbe stato quello di non essere mai usciti dal grembo materno. [1]
Ne L’inconveniente di essere nati Emil Cioranprecisa la portata dei versi (Eu dacă ştiam, / Nu mai răsăream. / Eu de-aş fi ştiut, / N’aş fi crescut) che riflettono il limite costitutivo dell’esistenza umana. Si legge: «Non nascere è indubbiamente la migliore formula che esista. Non è purtroppo alla portata di nessuno». [2] «Noi non corriamo verso la morte, fuggiamo la catastrofe della nascita, ci affanniamo, superstiti che cercano di dimenticarla. La paura della morte è solo la proiezione nel futuro di una paura che risale al nostro primo istante. / Ci ripugna, certo, considerare la nascita un flagello: non ci è stato forse inculcato che era il bene supremo, che il peggio era posto alla fine e non all’inizio della nostra traiettoria? Il male, il vero male, è però dietro, non davanti a noi». [3]
Nel 1939 Ilarie Voronca aveva pubblicato insieme al suo amico Jacques Lassaigne Les chants du mort sulla rivista «Mesures». Come scrive Dan Cepraga: «Proprio su Mesures Fortini leggerà i canti romeni, decidendo di tradurli e poi di inglobarli nella sua poesia». [4] Les chants du mort apparvero anche in volume presso Charlot a Parigi nel 1947, un anno dopo il suicidio di Voronca. [5] Ilarie Voronca era un poeta romeno d’origine ebraica che era stato uno dei protagonisti dell’avanguardia poetica romena. Il suo nome all’anagrafe era Eduard Marcus. Era nato a Brăila il 18 dicembre 1903. Vastissima fu la sua produzione poetica, prima in romeno e poi, dopo l’espatrio avvenuto nel 1934, in francese. Collaborò a tutte le principali riviste d’avanguardia: «Contimporanul», «75 HP», di cui fu direttore, «Punct», «Integral», «unu». Scrisse anche dei formidabili manifesti. Dopo la svolta reazionaria in Romania si stabilirà in Francia negli anni Trenta, iscrivendosi al partito comunista e partecipando attivamente alla resistenza antinazista. Morirà suicida nel 1946.
Eugène Ionesco ci ha consegnato un’importante testimonianza su questo grande poeta inventore della «pitto-poesia»: «Ho conosciuto Voronca nel 1937, credo, in un caffè di Saint-Germain-des Prés, dove si trovava con la moglie, Colomba. Stava per stabilirsi definitivamente a Parigi. Era celebre nel suo paese dove aveva fatto parte dei movimenti surrealisti e para-surrealisti. Cominciava già ad essere conosciuto in Francia. […] Amavo molto la sua poesia: densa, ricca, sfavillante di immagini fresche e numerose. Era un lirismo barocco, inesauribile, di una ispirazione abbondante, continua. Spesso, erano lunghi versi, molto ritmati, come ce ne sono pochi nella poesia francese». [6]Interrompiamo la citazione di Ionesco. Ecco un brano da Ulise [Ulisse] di Voronca del 1928.

5
te opreşti la vânzătoarea de legume
îţi surâd ca şopârle fasolele verzi
constelaţia mazărei naufragiază vorbele
boabele stau în păstaie ca şcolarii cuminţi în bănci
ca lotci dovlecii îşi vâră botul înaintează
amurgesc sfeclele ca tapiţerii pătrunjelul mărarul
iepuri de casă ridichii albi pătlăgelele
vinete înnoptează iată tomatele ca obrajii transilvănencelor
în broboade de mângăieri cristale paşii
conopidele cât omăt întârziat pe boschetele de şoapte
şi sticle cu apă minerală morcovii oglinzi fluviul
ca oase lungi se deosebesc casele cuvintele
cu virtuţi terapeutice drumul săpat în patlagină lăptuci
şi iată faţa de hristos chinuit a cartofului
el ştie secretele nopţii cu burdufe de linişti
rădăcinile lui pipăie rărunchii pământului
albe netede ca tuburi rădăcinile
înaintează în nervi
sug înţelepciunea vremurilor osemintele nopţii
închini un imn cartofului

vreau să am limpezimea tăcerea ta
fruct al ţărânei asemeni cu ţărâna
din pântecul întunericului nu ne uita
întăreşte-ne cu uleiul nopţilor mâna

tu ştii subterane abecedare
te-au hrănit dumnezeu şi ploile
virtuţile ţi le tragi din pământ ca din staul oile
cerurile te primesc în orice căldare

cartof icoana umilinţii a răbdării
tu te mulţumeşti cu puţin şi ne dai tot
iată şi triunghiul zborului în metalul înserării
cerul atârnă ca limba câinilor de un cot

cartof ca mâinile plugarului aspre
cu răcoare de tunel de după-amiază
tu eşti al gliei glas pre
tine ochiul îngerilor fără haraci te veghează

tu îţi lipeşti urechea de pământ
lingi zgomotele măruntaiele toate
atâtea vrăji ca etichete de drogherie în tine sunt
tu eşti un pahar cu vitali tate

îmi place coaja miezul tău umezindu-se
cum îţi faci loc cu umerii ca să creşti
te aştept te ascult şi bătăi de inimă ivindu-se
în negreală şi noroiul tău culori cereşti

strângi şi apoi ne dai pe limbă amidon
tu primeşti binecuvântarea vântului
norii îţi clădesc pe sub zare un tron
şi numai poetul ştie că tu eşti câinele pământului

5
ti fermi dalla verduraia / ti sorridono come lucertole i fagiolini / la costellazione dei piselli naufraga le parole / i semi stanno nel baccello come bravi scolari nei banchi / come barche da pesca gli zucchini alzano il muso avanzano / imbruniscono le barbabietole come tappezzerie il prezzemolo / il finocchio / conigli i ravanelli bianchi le melanzane / annottano ecco i pomodori come le guance delle ragazze / tran silvane / in scialli di carezze cristalli i passi / i cavolfiori come neve tardiva sui boschetti di sussurri / e bottiglie di acqua minerale le carote specchi il fiume / come ossa lunghe si distinguono le case le parole / con proprietà terapeutiche la strada scavata nella / piantaggine lattughe / ed ecco il volto di cristo flagellato della patata / essa conosce i segreti della notte con otri di silenzio / la sua radice palpa le viscere della terra / bianche levigate come tubi le radici / avanzano nei nervi / succhiano la saggezza dei tempi le ossa della notte / dedichi un inno alla patata / voglio avere la tua limpidezza il tuo silenzio / frutto della terra simile alla terra / dal ventre del buio non dimenticarci / rafforza con l’olio della notte la nostra mano // tu conosci sotterranei abbecedari / ti hanno nutrita dio e le piogge / le tue proprietà le ricavi dalla terra come le pecore dall’ovile / i cieli ti accolgono in ogni paiolo // patata icona dell’umiltà e della pazienza / tu ti accontenti di poco e ci dai tutto / ed ecco il triangolo del volo nel metallo della sera / il cielo pende come la lingua dei cani da un lato // patata come le mani aspre del contadino / hai la frescura di un tunnel nel pomeriggio / tu sei la voce della terra l’occhio / degli angeli veglia su te senza tributi // tu premi l’orecchio contro al terra / lambisci i rumori le viscere tutte / hai in te tanti incantesimi come etichette di drogheria / tu sei un bicchiere di vitalità // mi piace la buccia la polpa che si fa umida / quando ti fai posto a spallate per crescere / ti aspetto ti ascolto e mentre palpitano battiti di cuore / nel tuo nero e nel tuo fango colori celesti // raccogli e poi ci dai amido sulla lingua / tu ricevi la benedizione del vento / le nubi t’innalzano un trono sotto gli spazi / e solo il poeta sa che tu sei il cane della terra / (Traduzione di Marco Cugno) [7]

Qui l’aspetto che conta, come dice Ionesco, non è tanto la musicalità del verso che è assente, ma l’impatto sfavillante di immagini fresche e numerose. In questo brano poetico di Voronca si direbbe che venga sfruttata, come in Arcimboldo, la curiosità della lingua, i giochi di sinonimia e omonimia. La pittura di Arcimboldo, scrive Roland Barthes, «ha un fondo linguistico, la sua immaginazione è poetica in senso proprio: non crea i segni, li combina, li permuta, li svia – (compie insomma il lavoro di ogni operaio della lingua)». [8] Sia Voronca nella poesia che Arcimboldo nella pittura prendono una metafora consueta della lingua e ne sfruttano all’infinito il senso letterale.
Questo lungo poema di Voronca è composto da 19 brani numerati. È un componimento di tipo cubista o simultaneista molto simile alla poesia di Apollinaire Zone. Il protagonista è Ulisse che si trova a Parigi. Egli rappresenta l’io lirico che compie il suo viaggio nella vita quotidiana della metropoli. Ogni incontro con lo spettacolo offerto dalla strada diventa un’avventura oppure un’occasione favorevole per fare poesia. L’aspetto cubista e simultaneista di questo lungo poema è il fatto che gli elementi disparati, le sensazioni, i giudizi vengono a compenetrarsi in un unico piano, senza prospettiva, senza transizione e spesso senza apparente rapporto logico nel flusso percettivo della vita psichica del soggetto poetico. Lo spettacolo della città moderna genera allo stesso tempo entusiasmo e angoscia, confessione e fantasticheria liberatoria. L’io lirico è come uno spettatore-reporter del tumulto della vita parigina. Questo poema mette insieme stupore ed esaltazione di fronte alla dimensione spettacolare e fantastica della città in cui le sorprese si rinnovano continuamente in un caleidoscopio di immagini. Secondo Ion Pop, «il poema nel suo insieme è strutturato come una serie di istantanee del quotidiano cittadino, scattate e prese come punti di riferimento e di avvio del processo immaginativo, come tema che si glossa in piena libertà, con un’inventività fuori dal comune e con quella voluttà sensoriale tante volte notata nel nostro poeta». [9]
Ilarie Voronca, prima di scrivere solo ed esclusivamente in francese, come faranno Tzara, Sernet, Fondane, e in seguito Ionesco, Cioran e Gherasim Luca, è stato in Romania lo scrittore più rappresentativo della prima tappa della storia dell’avanguardia letteraria romena.

Ecco ora un esempio della poesia francese di Voronca che ha per titolo Beauté de ce monde (1940). Questo componimento è dedicato a Léon-Paul Fargue :

Rien n’obscurcira la beauté de ce monde
Les pleurs peuvent inonder toute la vision. La souffrance
Peut enfoncer ses griffes dans ma gorge. Le regret,
L’amertume, peuvent élever leurs murailles de cendre,
La lâcheté, la haine, peuvent étendre leur nuit,
Rien n’obscurcira la beauté de ce monde.

Nulle défaite ne m’a été épargnée. J’ai connu
Le goût amer de la séparation. Et l’oubli de l’ami
Et les veilles auprès du mourant. Et le retour
Vide, du cimetière. Et le terrible regard de l’épouse
Abandonnée. Et l’âme enténébrée de l’étranger,
Mais rien n’obscurcira la beauté de ce monde.

Ah ! On voulait me mettre à l’épreuve, détourner
Mes yeux d’ici-bas. On se demandait : «Résistera-t-il ?»
Ce qui m’était cher m’était arraché. Et des voiles
Sombres, recouvraient les jardins à mon approche
La femme aimée tournait de loin sa face aveugle
Mais rien n’obscurcira la beauté de ce monde.

Je savais qu’en dessous il y avait des contours tendres,
La charrue dans le champ comme un soleil levant,
Félicité, rivière glacée, qui au printemps
S’éveille et les voix chantent dans le marbre
En haut des promontoires flotte le pavillon du vent
Rien n’obscurcira la beauté de ce monde.

Allons ! Il faut tenir bon. Car on veut nous tromper,
Si l’on se donne au désarroi on est perdu.
Chaque tristesse est là pour couvrir un miracle.

Un rideau que l’on baisse sur le jour éclatant,
Rappelle-toi les douces rencontres, les serments,
Car rien n’obscurcira la beauté de ce monde.

Il faudra jeter bas le masque de la douleur,
Et annoncer le temps de l’homme, la bonté,
Et les contrées du rire et la quiétude
Joyeux, nous marcherons vers la dernière épreuve
Le front dans la clarté, libation de l’espoir,
Rien n’obscurcira la beauté de ce monde. [10]

 

Bellezza di questo mondo / a Léon-Paul Fargue /
Niente oscurerà la bellezza di questo mondo / I pianti possono inondare tutta la visione. La sofferenza / può affondare i suoi artigli nella mia gola. Il rimpianto / L’amarezza, possono innalzare le loro mura di cenere, / La viltà, l’odio, possono stendere la loro notte, / Niente oscurerà la bellezza di questo mondo. // Nessuna disfatta mi è stata risparmiata. Ho conosciuto / l’amaro gusto della separazione. E l’oblio dell’amico / E le veglie presso il morente. E il ritorno / Vuoto, del cimitero. E il terribile sguardo della sposa / abbandonata. / E l’anima ottenebrata dello straniero, / Ma niente oscurerà la bellezza di questo mondo. // Ah! Volevano mettermi alla prova, distogliere / i miei occhi da quaggiù. Si domandavano: “Resisterà?” / Ciò che mi era caro mi era stato strappato. E cupi / veli, ricoprivano i giardini al mio avvicinamento / La donna amata da lontano girava il suo volto cieco /  Ma niente oscurerà la bellezza di questo mondo. // Io sapevo che segretamente vi erano dei teneri contorni, / il carro nel campo come il sole che si leva, / Felicità, riva ghiacciata, che a primavera / si risveglia e le voci cantano nel marmo / Sull’alto dei promontori fluttua il padiglione del vento / Niente oscurerà la bellezza di questo mondo. Su, andiamo! Bisogna resistere. Poiché ci vogliono ingannare, se ci diamo alla disperazione siamo perduti. / Ogni tristezza è là per coprire un miracolo. / Una tenda che abbassiamo sopra il giorno splendente, / Ricordati dei dolci incontri, i giuramenti, / Poiché niente oscurerà la bellezza di questo mondo. // Bisognerà gettar giù la maschera del dolore, / E annunciare il tempo dell’uomo, la bontà, / E le contrade del riso e della quiete / Gioiosi, ci incammineremo verso l’ultima prova / La fronte nel chiarore, libagione della speranza, / Niente oscurerà la bellezza di questo mondo.

Ma riprendiamo la straordinaria testimonianza di Ionesco: «Per Voronca la poesia non poteva essere che affettività. […] Voronca era l’incarnazione di una sorta di passione ardente. È più di vent’anni che è morto [a Parigi nel 1946], che si è suicidato per amore, per troppa nostalgia, perché ha speso un’energia che ha finito per consumarlo. […] Dopo aver conosciuto Voronca nel 1937 l’ho rivisto e siamo diventati amici. Nel 1942 ci siamo incontrati a Marsiglia. Non poteva più pubblicare i suoi poemi. Era “vietato”. Lavorava in una casa di assicurazioni. Credo di averlo rivisto nel 1943, o fine 1942, poi è scomparso». [11]
Dai «Rapporti» redatti durante il suo servizio a Vichy sappiamo che Eugen Ionescu aveva coniato umoristicamente per Ilarie Voronca lo pseudonimo «Ange Pechmejà», nascondendo alle autorità di Bucarest il fatto che il traduttore della Mioriţa e il cotraduttore de Les chants du mort era un ebreo romeno per di più noto militante nella Resistenza antinazista francese. [12] Eugen Ionescu aveva voluto avvalersi proprio della sua collaborazione per la serata radiofonica romena a Marsiglia e lo coprì, per ovvie ragioni, con un falso nome. [13] Su questa particolare vicenda si è fatta finora poca luce. Comunque, la scelta da parte di Eugen Ionescu di questo strano pseudonimo «Pechmejà» per Voronca, corrisponderebbe a una località nei Pirenei francesi che si chiama appunto Pech Meja. Si tratta di un luogo montano dove si rifugiavano i partigiani francesi durante la guerra di Resistenza contro i nazisti. In romeno pechmejà si avvicina per la sua sonorità sia a peşin che a peşcheş. Queste due parole hanno a che fare con il denaro contante e con la tassa che si deve pagare per aver salva la vita; in questo caso, come recitano i Consigli al morto, si tratta di un tributo che anche un «angelo» come Voronca, ribattezzato da Eugen Ionescu con il nome Ange Pechmejà, deve offrire alle «dogane celesti» per poter guadagnare dalle autorità romene qualcosa in cambio della sua misera condizione in cui versava in Francia in quanto ebreo naturalizzato francese.
Nella testimonianza di Ionesco si può ancora leggere: «Ci siamo ritrovati a Parigi alla fine del 1944. Ci vedevamo spesso. Ciò che lo caratterizzava, tra le altre cose, era la gentilezza, una gentilezza estrema, una gentilezza che sembrava eccessiva, non naturale e che, tuttavia, era la sua stessa natura. Scriveva enormemente, pubblicava tutto, ci leggeva i suoi poemi, aveva troppi editori. […] Scriveva come parlava, parlare in poesia, era il suo parlare quotidiano, e per lui, il quotidiano, ad ogni istante meraviglioso, insolito, sempre rinnovato, era presenza. Non ho mai visto nessuno vivere in una tale pienezza, con una tale intensità, con una tale gioia. Era felice. Presente al mondo e al contempo distratto […]. Faceva alle donne dei complimenti straordinari, in qualche sorta giustificati, trovava che ogni donna era bella, i suoi complimenti non erano falsi, illuminavano la donna cui questi complimenti erano rivolti, e noi di rimando la vedevamo bella. Faceva dei regali, delle sciarpe, un fazzoletto, una rosa, non so cosa. L’ultima volta che l’ho visto, doveva essere una quindicina di giorni prima della sua morte. Passeggiavamo sugli Champs-Elysées, discutevamo di letteratura, di politica, della mancanza di senno degli uomini che hanno la felicità alla loro portata e non sanno coglierla. Non si poteva, con lui, discutere fino alla fine di un argomento, passava continuamente ad altro, poiché tutto quello che vedeva lo meravigliava e la meraviglia costante di vivere era più importante di tutte le preoccupazioni che poteva avere la gente. Mi fermava in mezzo a una qualsiasi conversazione, arrestava il passo e mi mostrava la via, le case, le donne che passavano: “Com’è bello, affermava, ti rendi conto com’è bello, com’è strano tutto ciò”. Mi diceva che aveva il segreto della gioia, che avrebbe potuto comunicarmela, che poteva insegnare al mondo il segreto, il metodo di essere felici. Che bastava guardare il mondo, che bisognava solamente sapere come guardarlo, bastava sapere, ed era molto semplice, sapeva ciò che bisognava fare perché i cuori siano pieni di amore, di pace, di stupore, di estasi. D’altronde aveva quasi finito di scrivere un “Manuale della Perfetta Felicità”, qualche giorno dopo, lo terminava, credo, e lo dava ad un editore. Due settimane più tardi, si rinchiudeva a casa sua e si suicidava». [14]
Anche Eliade menziona il nome di Voronca nell’intervista concessa a Rocquet. Finita la guerra, dice di aver parlato con lui a Parigi poco prima di morire. Ecco la testimonianza: «Voronca, sfortunatamente, l’ho incontrato solo due tre volte. […] Nel 1946 gli ho chiesto: “Come riesce a scrivere delle poesie in francese?”, mi ha risposto: “È una vera agonia”». [15] Ai tempi di Criterion sia Eliade che Voronca avevano pubblicato alcuni volumi presso lo stesso editore. Nel Giornale datato 18 ottobre 1945 si legge: «Oggi, a casa della signora R. R. ho incontrato Ilarie Voronca che non vedevo dal 1933. Mi ha parlato della tragedia che costituisce per lui il fatto di comporre poesie in una lingua diversa dalla lingua materna». Il 6 aprile 1946 si trova ancora scritto: «Vengo a sapere del suicidio di Ilarie Voronca e delle crisi che l’hanno preceduto. Non è potuto sfuggire al suo destino: per quattro anni è vissuto sotto il terrore della camera a gas, ed è col gas che si è suicidato, un anno dopo la vittoria». [16]
Come giustamente afferma Tristan Tzara a proposito dell’amico tragicamente scomparso: «Numerosi sono coloro che hanno trovato nella lotta, su questo terreno, se non una soluzione, almeno una via d’uscita possibile alle loro contraddizioni e alle opposizioni tra il sogno e l’azione. La loro speranza, tuttavia, sul cammino della vittoria, non è in grado sempre di seguire una linea senza intralci. Il campo della sensibilità e quello dell’azione hanno questo in comune: sono, per ognuno di noi, degli oggetti di costante conquista. Minacciati incessantemente dal deterioramento, dalla rottura dell’equilibrio, si tratta sempre di superarne le insufficienze, di ridurre gli ostacoli del dubbio e degli eventi. Tuttavia, se ci sono dei vinti non è alla mancanza di coraggio che bisogna imputare la loro fine prematura, quanto piuttosto all’aspra sincerità con cui hanno dato battaglia. / Nell’intera dignità della sua forza, Voronca è caduto su questo campo della vita quotidiana in cui il combattimento per un più di chiarezza ha luogo con armi segrete, invisibili, ma cruente. Il ricordo che conserviamo di lui lo mettiamo tra quelli migliori. Esso conferma la giustezza delle nostre lotte che furono anche le sue. / Il più bel omaggio che si possa rendere alle sofferenze del poeta è di saperle feconde per coloro che credono nello splendore della vita». [17]
Abbagliato dalla bellezza della vita, ma devastato da un destino fatale, Voronca raggiungerà l’amico Fondane sulla via luminosa del canto e nella fede incrollabile per la poesia a partire dalla cesura di Auschwitz. Martirizzati e offesi non solo nel corpo ma anche nell’anima, Paul Celan sarà in grado di offrire alla loro voce un rifugio sicuro, con il supporto della scrittura e della «traduzione», accogliendoli come suoi privilegiati, e insieme cifrati, interlocutori poetici prima in Tangoul Morţii a Bucarest e poi nella più nota Todesfuge celebrata in tutto il mondo.



Giovanni Rotiroti
(n. 5, maggio 2014, anno IV)

NOTE

1. Cfr. U. Curi, Meglio non essere mai nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.
2. E. Cioran, L’inconveniente di essere nati, traduzione di L. Zilli, Adelphi, Milano, 1991, p. 187.
3. Ivi, p. 10.
4. D. O. Cepraga, Consigli al morto, in Constatin Brăiloiu, Ale mortului, a cura e traduzione di D. O. Cepraga, Stampa Alternativa, Pavona, 2005, p. 8.
5. Cfr. Les chants du mort recueillis par Constantin Brailoü traduits du roumain par Ilarie Voronca & Jacques Lassaigne, L’Arbre, Aizy-Jouy, 2003.
6. E. Ionesco, Avant-Propos, inI. Voronca, Onze Récits, Rougerie, Montemart, 1968, pp. 5-6.
7. Poesia romena d’avanguardia, a cura di M. Cugno e M. Mincu, Feltrinelli, Milano, 1980, pp. 156-164.
8. R. Barthes, Arcimboldo, Traduzione di G. Mariotti, Abscondita, Milano, 2005, p. 12.
9. I. Pop, A scrie şi a fi. Ilarie Voronca şi metamorfozele poeziei,Cartea Românească, Bucarest, 1993, p. 134.
10. Cfr. I. Voronca, Mais rien n’obscurira la béauté de ce monde, l’Arbre, Aizy-Jouy, 2011, pp. 5-6.
11. E. Ionesco, Avant-Propos, inI. Voronca, Onze Récits, cit., pp. 6-7.
12. Questo aspetto è stato messo in rilievo per la prima volta da Alexandra Laignel-Lavastine nel suo discusso libro Cioran, Eliade, Ionesco L’oubli du fascisme, PUF, Paris, 2002, p. 356.
13. In uno di questi rapporti redatti a Vichy, Eugen Ionescu infatti scrive: «Avem, de asemenea, o traducere a Mioriţei de Ange Pechmejà, francez care a locuit în România pe la 1860 (traducerea a fost semnalată de prof. Popovici, de la Facultatea de Litere din Sibiu, în revista “Studii literare”, nr. 1) – şi unele Bocete (traducere de J. Lassaigne). Atât Mioriţa (La petite brebis), cât şi Bocetele au fost citite la Radio-Marseille în prima (21 iulie [1943]) din emisiunile literare organizate de subsemnatul – şi alte texte poporane.», in «Manuscriptum», anno  XXIX, nr. 1-2, 1998, pp. 220.
14. Cfr. E. Ionesco, Avant-Propos, inI. Voronca, Onze Récits, cit., pp. 7-8.
15. M. Eliade, La prova del labirinto. Intervista con C.-H. Rocquet, Jaca Book, Milano,1990, p. 91.
16. M. Eliade, Giornale, Boringhieri, Torino, 1976, p. 9 e p. 17.
17. T. Tzara, Préface à «Poèmes choisis», Seghers, Paris, 1956, p. 7.