Tra Europa e Romania. Gli studi linguistici di Marco Antonio Canini

Marco Antonio Canini, nato a Venezia nel 1822 e morto settantenne nella stessa città, linguista, poeta, traduttore, ideologo, patriota, utopista, visionario, potrebbe apparire, oggi, figura estremamente remota, inattuale, lontanissima dallo spirito e dalle esigenze della contemporaneità, e ancora irrimediabilmente legata alle atmosfere vaporose e vaghe di un Ottocento astratto e svagato, perso in fumisterie metafisiche e in idealistiche astrazioni. Eppure, proprio nella sua estrema inattualità risiede forse il suo significato, nella sua marginalità nomadica, multiculturale e cangiante il suo motivo d'interesse, e nella sua vena profetica, nella sua irrisolta, universalistica tensione escatologica la sua improbabile luce preveggente.
La sua idea d'Europa – quella che animò la sua entusiastica adesione ai fermenti della primavera dei popoli, dall'Italia alla Romania, e lo costrinse all'esilio parigino – non era lontana da quella che sarebbe stata delineata, agli albori del nuovo secolo, da Giani Stuparich, profondamente italiano, e insieme imbevuto del cosmopolitismo e della mutevolezza insiti nell'anima ebraica: come Stuparich fondeva, in difficile equilibrio, alcune istanze irredentiste all'europeismo, l'italianità al sogno di un'identità europea, che pur rispettando le specificità nazionali si sarebbe dovuta incentrare su di un nodo slavo, balcanico e mitteleuropeo, così Canini associò strettamente, sulla base di un sostrato addirittura preindoeuropeo, balcanico e insieme mediterraneo ed italico, l'indipendenza e la libertà dell'Occidente e quella della Romania, cui egli fu sempre, sul piano culturale come su quello affettivo, profondamente legato [1].

Questo impegno libertario, e a suo modo europeistico, è strettamente legato al respiro vastissimo, universalistico, che avvolse gli interessi linguistici e letterari di Canini – vicino, in ciò, al mito goethiano della Weltliteratur così come alla potente concezione mazziniana di una «letteratura europea» che cementasse la libera e polifonica identità di un continente sulla base di archetipi universali, così che proprio nella luce dell'universalità si definissero i suoi confini, la sua specificità e le sue prerogative (letteratura europea proprio in quanto universale, archetipica, come sarà poi, mutato il contesto, nella décadence e nel simbolismo più esoterici ed aurorali, e poi nel modernismo irrequieto e contaminato).
Il Libro dell'amore, vastissima antologia, la cui stesura, a più riprese, attraversò lunghi anni della vita dell'autore, unisce, in nome del più universale, e insieme del più sfuggente, polimorfo ed indefinibile, dei sentimenti, poeti delle epoche e delle terre più disparate: se le traduzioni di Canini peccano spesso di infedeltà e di enfasi, la sua vastità di letture e le sue repentine capacità di associazione tematica sembrano anticipare, di poco, la critique d'analogie dei simbolisti, che guiderà altresì il Pascoli antologista-rapsodo, traduttore-poeta, archeologo della parola, di Lyra e di Epos
Analogamente, le Études étymologiques, oggi svalutate, anzi completamente obliate (anche in séguito alla violenta polemica con Graziadio Isaia Ascoli, teso ad una ricerca già positivistica di oggettività, tassonomia, legge scientifica, osservazione minuta del dettaglio, secondo quello stesso spirito che lo porterà a rigettare l'idealizzazione manzoniana del fiorentino come paradigma assoluto della lingua letteraria come di quella d'uso, e a propendere invece per una molteplicità di apporti particolari e di identità disparate e concrete), possono per certi aspetti ritrovare, oggi, una loro dignità, una loro attualità, quasi un loro valore anticipatorio per il modo in cui (come, poi, vari linguisti, con diverse metodologie, da Trombetti a Cuny, da Greenberg a Obenga, da Semerano a Bernal) postulavano un comune sostrato (nostratico, indo-semitico, afro-semitico, pelasgico, o semplicemente originario, arcano, universale), dal quale e sul quale si sarebbero poi articolate, sviluppate e dipartite – come epifenomeni che velavano, e insieme presupponevano, un più alto, archetipico, iperuranio noùmeno, una sorta di universale ed immaginifico Intelletto Possibile – le diverse famiglie linguistiche e, poi, le singole lingue nazionali.

La lingua romena e gli studi etimologici

La lingua romena, secondo Canini (come, prima di lui, per il Leopardi dello Zibaldone, e per il Cattaneo del Nesso della nazione e della lingua Valacca con l'italiana, persuaso che «ogni nuovo popolo che o prende parte o si accinge a prender parte alla grande opera della cultura, è un prezioso acquisto per gli altri tutti»), nasceva da uno stesso sostrato, preindoeuropeo, nostratico, pelasgico, che aveva alimentato, per diverse, dirette ed indirette, vie, tanto la fioritura latina, quanto quella italica, tanto la classicità quanto l'uso moderno, in una sorta di metafisica acronia o pancronia dell'espressione e della creazione – dell'espressione intrisa, di per sé, di pulsione creatrice e riflessiva autocoscienza.
Non a caso, a spronare Canini agli studi etimologici era stato il Tommaseo: quel Tommaseo che, nelle Scintille (fra italiano, latino, francese, greco, illirico), offriva uno straordinaria sintesi, un ribollente e fremente concerto, di lingue e d'identità, una sorta di sfaccettata ed inesauribile traduzione, o di raggiante diffrazione, scaturite da un nucleo primo, originario, prelinguistico e insieme multilingue, perché originario; e che, poeta, cantava, dantescamente, il fiume fulgido della creazione, il luminoso fluire del Verbo eterno che si riverbera e si screzia nelle singole lingue, e fin nei singoli e determinati atti di creazione: «Verbo uno allo Spirto, oh del profondo / Della Virtù di Dio gioia e candore» – dantesco «Verbum spirans de celo».
Nelle Études étimologyques, edite a Parigi, presso Loescher, nel 1882, gli accostamenti etimologici (a volte arditi, a volte azzardati ed improbabili, ai limiti della paretimologia, altre volte non del tutto implausibili alla luce degli studi novecenteschi, da Alfredo Trombetti a Merrit Ruhlen, che pure paiono ignorare questo loro precursore) ubbidiscono non meno al gusto poetico, alla suggestione analogica e fonosimbolica, che alla considerazione glottologica. Strutturalmente, poi, l'opera prefigura l'impostazione della fondamentale opera di Alfredo Trombetti L'unità d'origine del linguaggio: l'indicazione di ogni singola proto-radice, di ogni matrice etimologica fondamentale, è seguita dagli esempi tratti dalle più svariate famiglie linguistiche.
Così, ad esempio, kal, gal, gla, kar, harr, hor sono associati, a ragione (e in armonia con due fenomeni fonetici – l'apofonia qualitativa fra e ed o e l'alternanza semitica, ma anche pregreca, di l ed r, labdacismo e rotacismo – non certo implausibili anche per la linguistica scientifica ed accademica) all'idea di ardere, e insieme di brillare, insomma al nesso primigenio di luce e calore.
Valore analogo è attribuito ad ard, art, ryt, lat, loth, associati però anche alla radice indoeuropea *rt, indicante ordine, equilibrio, ritmo, scansione regolare, donde Arte ed Armonia; così, dantescamente, arte ed armonia sono la luce che riscatta l'oscurità della materia. Per contro, kad, kat, kt sono ricondotti, con il loro suono esplosivo, netto, duro, sordo, all'idea di tagliare, troncare, uccidere.
Ancora all'idea di ardere e brillare si legano am, mar, mer, mir. Mania, pensiero, meandro e acqua fluente si connettono alla radice man, amn, men, mn, con associazione, ai limiti della paretimologia, fra i greci mania, mantia, Mousai, ossia tra la sfera della follia, dell'excessus mentis e quella dell'ispirazione poetica e della divinazione. L'àmbito etimologico, o almeno semantico, si estende, infatti, fino a Mousai, ispiratrici di sapienza, garanti della memoria, «del mortale pensiero animatrici», ma, talora, trascinatrici dell'enthousiasmós.    
Associando, arditamente, indoeuropeo ed amerindio, Canini anticipa di un secolo le ricerche secondonovecentesche (si pensi a Joseph Greenberg) intorno alla classificazione delle lingue del mondo. Se qatoh, sacrificio, e Kam, morire, sono associati ad analoghe radici indosemitiche legate all'idea della morte, del sacrificio, della fine (e dunque al suono aspro e tagliente, come strappo o ferita che lacerino d'un colpo il velo e la carne del linguaggio), la divinità solare mesoamericana Inti è accostata a quella vedica Indra.

Canini traduttore. Anche di Eminescu

La vasta opera di traduttore compiuta da Canini è pervasa, implicitamente, da una analoga consapevolezza di questi archetipici nessi evocativi e fonosimbolici, tali da travalicare le distinzioni fra le lingue e le famiglie linguistiche.
Consideriamo il Libro dell'amore (che cito dall'edizione Merlo, Venezia, 1890) – di cui ho già sottolineato la natura vastamente associativa e rapsodica, resa possibile dall'universalità del tema. Ecco come viene reso, in endecasillabi melodiosi, elegiacamente smorzati, l'incipit di un celebre epigramma funerario di Meleagro, destinato ad avere, da Catullo a Foscolo, vasta e duratura eco: «Lacrime, avanzo dell'antico amore, / Attraverso alla terra, o Eliodora, / Ti mando, all'Orco, lacrime infelici». Fonicamente, l'asprezza gutturale e dentale del lutto si fonde alla liquida levità del sentimento.
Così, traducendo, con calco metrico, il Lamartine («L'anime nostre un'alma sola, / Qual due sospiri che insiem si fondano, / Quali due misti rai dell'aurora, / Formano, ed io sospiro ancora»), l'autore gioca sul fonosimbolismo della luce e su quello del soffio vitale, in cui si uniscono e si confondono – come secondo la sapienza amorosa del neoplatonismo rinascimentale – i respiri e le anime dei due amanti («Comme deux rayons de l'aurore, / Comme deux soupirs confondus», dice l'originale).
Altrove, l'effetto fonosimbolico è legato all'impressione cromatica, come in questi versi, da Thomas Moore: «Siccome legno che va contro il vento, / La sua spumosa traccia segna lento, / E tremolando all'isola ond'ei parte, / Un triste sguardo volgono le sarte» («As slow our ship her foamy track / Against the wind was cleaving, / Her trembling pennant still look'd back / To that dear isle 'twas leaving», recita l'originale, di cui il testo di Canini restituisce, attraverso il dantesco «tremolare» e il calco ritmico, sempre dantesco, del «legno che cantando varca», la tensione e a movenza fonosimboliche).
Ancora da Moore: «Siccome il peregrin che verso oriente / Sen va la sera, a riguardar sovente / Si volta il cielo, che nell'ultim'ora / Il crepuscol di un bel rosso colora» (nell'originale, «As travellers oft look back at eve, / When eastward darkly going, / To gaze upon that light they leave / Still faint behind them glowing»); dove il fonema rotante è connotato in senso cromatico, in accordo con le Études étymologiques, per le quali la vibrazione racchiusa nella /R/ è, insieme, forza vitale e onda luminosa; mentre, attraverso le consonanti liquide, è resa, accanto alla radiazione luminosa, anche l'idea della luminosità come fluire.
E sarebbe interessante – vista anche la relativamente ampia diffusione che all'epoca arrise al testo – documentare e ripercorrere il debito, non dichiarato, o almeno i legami di parentela e consonanza, che la poesia simbolista italiana, in specie il fonosimbolismo pascoliano, può aver contratto con le traduzioni di Canini, così intrise di simbolismi sonori e cromatici, e così inclini ad enfatizzare, degli originali, le armoniche e le risonanze, i palpiti e i vibrii nascosti fra sillaba e sillaba (due esempi soli: «La stella del mattino / Tremola in ciel splendea, / Ma i boschi e i monti erano scuri ancor»; «Tra l'arido fogliame e tra gl'ignudi / Stinchi dei negri abeti stridea il vento»).  
Com'è facile attendersi, questi valori, queste sfumature semantiche e foniche, riemergono, nell'opera del Canini, anche, e a maggior ragione, a contatto con il massimo poeta romeno, Mihai Eminescu. «Când însusi glasul gândurilor tace, / Ma-ngâna cântul unei dulci evlavii», recita l'incipit di un sonetto melodioso e melanconico, attraversato, per così dire, dalla musica remota dell'assenza, del vuoto e della reminiscenza. Quella stessa musica si riverbera nella resa di Canini, che amplifica il senso e la sintassi, e si mantiene fedele alla sostanza sonora, più che al nucleo logico-semantico: «Quando nel sonno e nel silenzio giace / Avvolto il mondo, un canto dolce e pio / Odo e t'invoco...». Uno stesso sommesso ed assorto, quasi iniziatico, bisbiglìo – quasi la montaliana «rissa cristiana che non ha / se non parole d'ombra e di lamento».

L'identità europea e la ricerca delle origini

Ma è, forse, a contatto con la poesia greca che l'identità indo-europea, e insieme universale, antica e insieme moderna (anzi europea proprio perché universale, moderna perché antica, novantiqua, originaria, e dunque senza tempo), affiora in tutta la sua pienezza. Del resto, nella Prolusione al corso di lingua rumena edita a Venezia nel 1884, Canini osservava, citando Les Roumains di Edgar Quinet, apparso sulla «Revue des deux mondes» nel 1856, che proprio attraverso l'umanesimo filologico, proprio attraverso il confronto con le radici e le sorgenti, latine, greche, indo-europee, l'identità – inscindibile dalle radici e dai retaggi – del popolo romeno, prima perduta, era stata ritrovata. «Au milieu de ce mystère, on dirait que la nature attristée garde seule, à la place de l'homme, la conscience des choses passées», scriveva Quinet prima di tradurre versi di George Asachi – «il più antico dei moderni», importante per l'Italia soprattutto come traduttore-rifacitore di Petrarca – , nei quali fluiva, vibrante, la voce di quella natura millenaria, vigile e testimone, ancor più attentamente memore che non la coscienza storica dell'uomo.
Ma la lingua stessa, recuperando le proprie radici – le «stirpi canore» che saranno cantate da D'Annunzio, teso egli stesso alla Rénaissance latine, all'«ideal tipo latino» –, può divenire, insieme, physis e techne, originarietà e cultura, autenticità del dire e coscienza riflessa, albale venire-alla-luce e crepuscolo della ricostruzione storica – archeologia del vissuto, del pensato, dell'espresso.
Traducendo in francese il Partenio di Alcmane (Paris, Baudry, 1870), Canini sembra proiettare sulla grecità arcaica questi stessi archetipi originari, pelasgici, preindoeuropei. «Moi, je chante Agido éblouissante / de beauté. / Il me semble voir un soleil, dont elle nous montre l'éclat. La charmante chorége ne me laisse pas la célébrer par mes louanges...» «Les Pléiades matinales, astres qui ramènent le printemps, se levant au milieu de la nuit obscure, rivalisent / avec les mêmes étoiles / ramenant la saison du labourage». «Moi, jeune fille, j'ai vainement poussé dans les airs des cris de chouette!».
«Peleiádes gàr hámin / orthíai pháros pheroísais / nýkta di'ambrosían». Qui, nel testo francese, la /R/, consonante della vibrazione, è armonizzata – nella traduzione come nell'originale greco – attraverso vocali aperte e luminose per connotare la luce, vocali chiuse per connotare le tenebre. La molteplice base etimologica ipotizzata per pharos suggerisce, poi, un'ambiguità semantica da trasfondere nella resa: «rivestire», «avvolgere», ma anche «aratro» e «lavorare», e poi «parvenza» e «splendore». Orthíai è associato alla radice rt/art/ryt/rta, che vale luce, ma anche ordine cosmico, e dunque divinità. «Astres qui ramènent le printemps», «nuit obscure». Gli archetipi fonosimbolici della luce e dell'ombra si giustappongono e si intrecciano, come un'erma bifronte, come il duplice volto, la duplice emergenza e declinazione di quell'ordine chiaroscurale e primigenio.
Canini trovò, in questa ricerca delle origini, un'idea d'Europa che salvaguardasse, insieme, la totalità e le identità particolari, l'universalità e le comunità nazionali. Ma l'Europa di cui Canini fu interprete e profeta rimase un'utopia. Come la storia dimostra, le opportunità – e gli opportunismi – politici ed economici snaturarono, poi, l'utopia romantica; e all'impoverimento culturale si accompagnarono l'opacità e il pervertimento dei cammini istituzionali. Anche da questo divario, da questo declino si misurano l'inattualità – e insieme il senso e il valore – di una figura come quella di Canini.    

Matteo Veronesi
(n. 2, febbraio 2013, anno III)

NOTE

1. Per i dati biografici e per ulteriore bibliografia, si può consultare ad vocem il Dizionario biografico degli italiani, disponibile anche in rete all'indirizzo www.treccani.it. Per un inquadramento storico e politico, si veda Francesco Guida, L'Italia e il Risorgimento balcanico. Marco Antonio Canini, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1984. Segnalo anche, pur non avendola potuta consultare, la tesi di dottorato di Rodica Chiriac, L'attività letteraria di Marco Antonio Canini (1822-1891) e i poeti romeni nel suo Libro dell'amore (per la scheda bibliografica, vedi http://dspace.unive.it/handle/10579/315).