In Romania a cercare il pane: la migrazione storica dei friulani

Tra le molte vicende umane che troppo spesso scivolano nell’oblio della memoria collettiva di un popolo, si ritrova la migrazione dei friulani in Romania, che partirono a più riprese tra il 1820 e il 1947. Da un Friuli contadino stremato dalla miseria cronica e che non era in grado di offrire sussistenza, emigrarono in molti verso quella terra promessa che faceva parte della cornice politica dell’Impero Austroungarico. In Romania i friulani trovarono un ambiente culturale, religioso e linguistico simile a quello che lasciavano in Friuli, il che facilitava i rapporti tra i due popoli e trasformava alcune emigrazioni temporanee in permanenti.


I pionieri

Il primo periodo (1820-1860) fu caratterizzato da un numero esiguo di migranti [1], che dalle terre rurali friulane si spostavano nella regione del Banato, che all’epoca era una provincia austriaca (assieme alla Bucovina), così come il Friuli isontino. [2] I friulani giunsero nel Banato attirati dalla ricchezza delle materie prime di questa regione, che offriva ferro, argento, oro, piombo, carbone e legno. L’Impero Asburgico richiamò da vari Paesi europei e in modo particolare dal Friuli, manodopera da impiegare nel settore delle miniere, con l’intento di rivaleggiare la supremazia industriale delle prospere potenze inglese, francese e olandese.
Si può ritenere, seguendo la letteratura, che i primi migranti provenienti dal Friuli si muovessero all’interno dell’Impero Austro-ungarico, il quale era interessato a trarre profitto dalle ricchezze naturali offerte dal Banato. [3] La Romania si presentava come un’interessante destinazione migratoria ed i friulani furono accettati di buon grado per due principali ragioni: la fede cattolica (requisito fondamentale per essere accettati dagli Asburgo) e la virtù di essere lavoratori qualificati e quindi di possedere un know-how competitivo. In questa prima fase si avviarono le grandi opere che fecero della Romania un cantiere a cielo aperto per molti decenni. Il processo di industrializzazione che investiva gran parte dell’Europa comportò la costruzione di infrastrutture come ponti e ferrovie e, di conseguenza, l’intenso sfruttamento delle materie prime.
I migranti provenienti dal Friuli erano lavoratori esperti e preparati in specifici settori. Tra i mestieri di tipo tradizionale più frequenti tra chi emigrava, si annoverano: gli edili, i tagliapietre, gli scalpellini, i fornaciai, i boscaioli, i mosaicisti, i terrazzieri e gli agricoltori. La varietà delle professioni esercitate dai friulani fa intendere come i migranti fossero occupati in molti comparti: dalla costruzione di traversine in legno per la ferrovia alla lavorazione del marmo, dall’estrazione di materie prime al lavoro nei campi.
La migrazione verso la Romania nacque come spostamento stagionale (o circolare) tra la primavera e l’autunno: si partiva durante il periodo pasquale e si faceva ritorno per gli Ognissanti. Ad emigrare temporaneamente erano gli uomini, data la richiesta di manodopera specializzata in quei settori lavorativi più tipicamente maschili. Chi rimaneva in terra romena lo faceva per ragioni personali o per necessità contingenti. [4] Questi, poi, realizzavano ricongiungimenti familiari oppure contraevano matrimoni misti con le donne del luogo.


Il periodo d’oro

Dal 1860 circa iniziò la seconda fase dell’emigrazione friulana in Romania. Il flusso migratorio si consolidò e a raggiungere la Romania dal Friuli erano in molti. Basti pensare che nel solo decennio compreso tra il 1880 ed il 1889 arrivarono in Romania all’incirca 5.800 friulani. [5] Contribuirono a questa vivacità migratoria le lettere e i racconti dei primi migranti che portavano notizie entusiaste e descrivevano la Romania come un luogo dove tutto era da fare: le strade, le ferrovie, gli acquedotti, gli edifici delle pubbliche amministrazioni [6]. Il «passaparola» aiutò notevolmente l’instaurarsi di catene di richiamo consolidate, cioè reti migratorie. I fattori che furono decisivi per lo sviluppo della migrazione si possono così sintetizzare:
- Il richiamo di manodopera per volere del Re Carol I, che necessitava di capitali e lavoratori specializzati assenti in loco, per avviare un processo di modernizzazione della Romania;
- L’affinità linguistica tra il friulano ed il romeno;
- La possibilità di lavorare in autonomia e le prospettive di migliorare la posizione lavorativa nel tempo (ad esempio creando imprese in proprio);
- I bassi costi di vitto e di alloggio che permettevano di accumulare risparmi per le rimesse;
- La forza delle reti migratorie: i pionieri erogavano informazioni preziose sulle favorevoli condizioni sociali ed economiche e reclutavano nuova manodopera per la stagione a venire.
Durante questa seconda fase migratoria si formarono numerose comunità friulane come per esempio a Bucarest, a Craiova, a Sinaia, a Tulcea. Vennero edificate importanti opere pubbliche come il ponte di Cernavodă sul Danubio e la chiesa Italiana a Bucarest, le cui campane furono fuse ad Udine.
L’avvento della Grande Guerra segnò una fase di arresto del prospero flusso migratorio friulano. L’edilizia conobbe un periodo di stasi, la moneta subì la svalutazione e il quadro economico e politico era generalmente peggiorato. I friulani dovettero decidere se rimanere in Romania oppure fare ritorno in Italia. Alcuni rimasero, naturalizzandosi romeni, mentre chi volle tornare in Friuli dovette intraprendere itinerari di rientro complicati (ad esempio passando per la Russia), in quanto l’Italia era in guerra contro gli Imperi centrali.


Guerra e rimpatri

La terza fase si ebbe con il primo Dopoguerra, quando in Romania arrivarono nuovi migranti. La migrazione friulana in questo periodo fu minore rispetto alla fase antebellica e tra gli emigrati spiccavano per lo più imprenditori, architetti, ingegneri e commercianti. Questa fase fu caratterizzata da una fervida attività edilizia che contribuì a ridisegnare in parte il volto di molte città romene. Negli anni Venti e Trenta nel XX secolo era ancora conveniente intraprendere scelte migratorie verso la Romania grazie ad una rinnovata prosperità, ad una vincente riforma agraria, ad una legislazione favorevole all’industria e ad un’attenta politica economica.
Questa fase terminò attorno agli anni Quaranta del Novecento, ossia poco prima dell’avvento della Seconda Guerra Mondiale. Sia in Italia che in Romania si erano instaurati regimi autoritari (Antonescu in Romania, Mussolini in Italia); la Romania, poi, divenne Paese satellite dell’Impero Sovietico nel 1947 e ciò pose definitivamente fine alle condizioni favorevoli che avevano spinto i friulani a migrare in terra romena. Fu con il crollo del muro di Berlino e con la dissoluzione del comunismo nel 1989 che i friulani ripresero ad emigrare in Romania. Ma questa è un’altra storia da raccontare.

Silvia Biasutti
(n. 9, settembre 2012, anno II)

NOTE

1. T. Tomat , L’emigrazione friulana in Romania nel XIX e XX secolo, Ammer , p. 2.
2. N. Luca, L’emigrazione storica dei friulani in Romania, Invillino, 2006, p. 46.
3. Ciò vale solo fino al 1918 per la regione storica del Banato, della Transilvania, parte della Moldavia e della Bucovina, in quanto erano le uniche regioni sotto il dominio degli Asburgo. (Luca N., L’emigrazione storica dei friulani in Romania, cit., p. 69)
4. P. Fortunati, Quattro secoli di vita del popolo friulano, Tipografia Antoniana, Padova, 1932, pp. 89-97.
5. N. Luca, Alcune considerazioni sull’emigrazione friulana prima della Prima Guerra Mondiale, in Fondazione Cassamarca, Convegno Internazionale di Studi, Transilvania Latina dalla romanità alla romanità, Cluj Napoca (Romania), 4-6 aprile 2002, p. 58.
6. L. Zanini, Friuli Migrante, Udine, Doretti, 1964, p. 94.