Una straordinaria romenista: Rosa Del Conte, ovvero dell’assoluta lealtà

«È stata ed è la mia ambizione essere apprezzata dai Romeni
per l’assoluta lealtà del mio atteggiamento verso di Loro,
si trovino essi al di qua o al di là dei confini»
(Rosa Del Conte, Lettera a Mircea Eliade, Roma 15 settembre 1963)

Oltre sette decenni di attività accademica e di ricerca, oltre un secolo di vita, decine di istituzioni coinvolte nelle sue vicende di studiosa, centinaia di persone esistenti nel suo network personale, due regimi totalitari – il fascismo mussoliniano in Italia e il comunismo popolare in Romania – superati grazie agli studi umanistici, tensioni attraversate all’interno dei vari mondi universitari, sottigliezza metodologica in grado di creare un equilibrio fra il comparativismo (i.e. metodo prevalente di Ramiro Ortiz) e l’austerità, ovvero all’esattezza scientifica (i.e. la scia prevalente di Benedetto Croce).

In breve, questi sono gli elementi che sembrano essere prevalenti mentre si cerca di spiegare la sostanza della strada percorsa dalla studiosa Rosa Del Conte (1907-2011). Addentrarsi all’interno del suo Nachlass e della sua biblioteca comporta, in qualche modo, coraggio in quanto, nonostante un’adeguata preparazione, non si può essere garanti di una totale comprensione di tutti i registri. Per colui che inizia a comprendere e a scrivere di storia intellettuale, l’approccio non deve essere tanto alla successione dei fatti quanto alla valutazione del peso delle idee che penetrano e cambiano la nostra mente, la nostra psiche, la mentalità collettiva. Di conseguenza, le questioni essenziali sono davvero poche: che tipo di idee sono state escogitate per far sì che esse diventino influenti in un’epoca o all’interno dell’area della disciplina? Qual è l’eredità intellettuale della studiosa Rosa Del Conte e a che cosa/a chi serve questo «lascito» d’informazioni analitiche in un campo così delicato qual è la filologia romanza nonché la lingua e letteratura romena in Italia? Qual è «la struttura resistente» dell’edificio intellettuale che accoglie quest’eredità?
La studiosa dalle origini lombarde è diventata influente nel campo degli studi di romenistica in Italia nonché degli studi di italianistica in Romania. Se ricordiamo ad esempio l’autorità accademica e la permanenza del professore Ramiro Ortiz (1879-1947) presso l’Università di Bucarest [1], credo che questa si possa paragonare all’autorità e all’attività svolta da Rosa Del Conte nell’ateneo romano ovvero all’Università La Sapienza, in quanto professoressa ordinaria di romenistica.
Esistono tuttavia tre momenti basilari, a mio avviso, che costruiscono il destino della professoressa Del Conte e, ulteriormente, della sua eredità intellettuale: (1) l’ottobre del 1942, quando viene collocata a disposizione del Ministero degli Affari Esteri all’Istituto Italiano in Romania, in seguito a un concorso pubblico, sebbene la sua richiesta fosse inizialmente per un posto di docente d’italiano in Spagna [2]; (2) negli anni ’50 incomincia a lavorare a una monografia dedicata a Mihai Eminescu, mentre stava traducendo rigorosamente la poesia di Lucian Blaga, riflettendo sui temi folcloristici come le colinde religiose, altrettanto sui temi come la nascita, le nozze e la morte nella poesia popolare romena nonché sui testi e la storia della letteratura antica romena; infatti, è questa la «piattaforma» intellettuale per comprendere i lati più profondi della lingua che Eminescu adopera [3]; (3) nel 1968 viene confermata professoressa titolare (la prima titolare italiana) di una cattedra di lingua e letteratura romena (fondata nel 1930) all’Università La Sapienza di Roma, conferma questa in seguito a quasi due decenni d’insegnamento alla Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Milano e presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, come docente invitata. Questi tre momenti, che svilupperò più avanti, enucleano le sfide del destino della studiosa Rosa Del Conte nonché la sua fortuna sia negli ambienti accademici della Romania socialista che in quelli dell’Italia democratica [4].

Salvaguardare gli elementi autentici della filologia, del folclore e della letteratura romena, nonostante la Romania fosse un territorio accademico fortemente ideologizzato, soprattutto nelle materie di carattere umanistico, lottare per imporsi come professoressa titolare di una cattedra di lingua e letteratura romena in uno dei più famosi atenei italiani, quello romano, oppure mantenere dei contatti sia con gli accademici della Romania Socialista sia con quelli dell’esilio, mi sembrano questi elementi abbastanza convincenti per affermare che la collocazione accademica di Rosa Del Conte sia stata davvero autorevole non soltanto nel campo della sua disciplina, ma anche come protagonista della storia intellettuale del sud-est europeo nel Novecento. Saranno questi gli spunti che vorrei affrontare più avanti.

L’incarico da parte del Ministero degli Affari Esteri in Romania

Rosa Del Conte, trentacinquenne, lascia l’Italia avendo già conseguito una laurea in lettere con il professor Antonio Banfi presso l’Università di Stato di Milano (ottobre del 1931) e inoltre essendo titolare di materie letterarie nei ginnasi e appena entrata in ruolo (dicembre del 1933). All’inizio degli anni ’40 chiede di essere inviata in missione all’estero, in Spagna, secondo una testimonianza della professoressa Luisa Valmarin [5], una sua allieva. Eppure, dal Palazzo della Farnesina, riceve una risposta sorprendente: sarà accettata come idonea, ma le coordinate geografiche sono diverse da quelle sollecitate nella richiesta e verrà inviata in Romania. Infatti, la Romania fra le due guerre era piuttosto francofona, semmai germanofona, molto meno aperta agli studi di italianistica. Tuttavia, le cose comunque iniziavano a cambiare: a Bucarest, nel 1924, viene fondato dal prof. Ramiro Ortiz l’Istituto di Cultura Italiana, al quale si aggiunge una succursale a Craiova che conta circa 5000 membri tra il 1930-1935, fondata dal prof. Bruno Manzone [6]. L’attività di Del Conte a Bucarest si svolgerà sia presso il medesimo istituto (1942-1945) sia presso la cattedra di lingua italiana (dal mese di novembre del 1946 fino al 1947), coordinata dal prof. Alexandru Marcu. Egli aveva conseguito un dottorato presso l’Università di Firenze, dopo essersi laureato alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bucarest, dove ebbe stretti contatti con il prof. R. Ortiz. Al. Marcu diventò titolare della suddetta cattedra essendo nel contempo un collaboratore [7] del regime di Ion Antonescu, Primo Ministro della Romania fra il 1940 ed il 1944.
La posizione della giovane docente non era proprio comoda: in quanto cattolica di rito ambrosiano [8], lei manifestava apertamente l’antipatia per il regime di chiara impronta fascista. Naturalmente, ci sarebbe ancora da indagare sullo svolgimento della sua attività accademica accanto a un tutor politicamente attivo. Una possibilità per farlo sarebbe ricorrere ai dati precisi [9] del clamoroso caso della sua collega e amica Nina Façon (1909-1974), una delle più brillanti allieve di Ramiro Ortiz, la quale dovette lasciare il posto di lettore dell’Università di Padova nel 1939 in quanto ebrea e assoggettata alle leggi razziali mussoliniane [10]. Molto probabilmente, queste due allieve del prof. Ortiz si saranno incontrate a Bucarest alla cattedra di lingua italiana della Facoltà di Lettere. La loro mi sembra una storia abbastanza simmetrica: Nina Façon espulsa dall’Italia a causa delle leggi razziali (1939) e Rosa Del Conte rinviata in Italia dal regime «popolar-comunista» mentre si trovava a Cluj (1948). Il loro carteggio, collocato nel Fondo Rosa Del Conte, potrà finalmente svelarci preziosi dettagli in merito, corredato dai documenti del Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Italiana.
Infine, la docente lombarda lascia Bucarest nel novembre del 1947 per recarsi presso l’Università di Cluj, sempre alla cattedra di Lingua e letteratura italiana. La capitale transilvana le regala anche l’amicizia e il fruttuoso contatto con il poeta e filosofo Lucian Blaga (1895-1961). Una sua discreta testimonianza lascia intendere che lei si trovasse nell’aula dove il filosofo romeno svolgeva le sue lezioni [11]. La professoressa Del Conte sarà molto fedele a questo rapporto intellettuale, a tal punto che fu la prima traduttrice delle poesie di Blaga. Nel contempo, a lei non mancheranno né a Bucarest né a Cluj, tutta una serie di riconoscimenti da parte dei grandi linguisti e professori romeni (i.e. Iorgu Iordan, Alexandru Rosetti ecc.) nonché da parte del prof. Bruno Manzone, il Direttore dell’Istituto di Cultura in Romania. Nel novembre del 1948 tutto si ferma. Rosa Del Conte, accanto ad altri intellettuali, diplomatici e prelati di cittadinanza italiana deve lasciare la Romania. Inoltre, esiste una lettera di sostegno e solidarietà nei suoi confronti da parte degli studenti di Cluj rivolta alle autorità romene nel 1948, una lettera che rimarrà il riconoscimento più sensato nel cuore e nella memoria di Rosa. Si ricorderà di questo episodio nel 1995 quando l’Università di Cluj le conferisce il titolo di Doctor Honoris Causa, un anno dopo l’accettazione da parte dell’Accademia Romena come membro d’onore (1994) accanto ad altri grandi nomi della linguistica e della filologia internazionale: Alf Lombard (1902-1996), Emil Turdeanu (1911-2001), Aurelio Roncaglia (1917-2011), Eugen Coșeriu (1921-2002) ecc.

«Il cosmopolitismo della cultura aspira a divenire, e diviene, romenità» [12]

Sulla stessa scia interpretativa di Basil Munteanu [13], Rosa Del Conte considera che la lingua e la civiltà romena costituiscono un’originale sintesi: elementi ellenistici, latini, slavo-balcanici, bizantini, tedeschi, levantini, intesi come insieme di elementi linguistici e culturali dove ogni influenza ha una sua precisa collocazione storico-linguistica. La finezza analitica della professoressa nel campo della storia della lingua «daco-romana», «valacca» o romena, si evidenzia soprattutto leggendo il suo contributo Carlo Cattaneo e la filologia rumena [14]. Carlo Cattaneo (1801-1869) era un intellettuale milanese che nel 1830 scrisse un saggio linguistico comparato puntando sulle somiglianze fra il valacco e l’italiano [15]. Il suo saggio fu pubblicato soltanto nel 1837 ed ebbe una sua importanza perché sviluppò un tema aperto già dal poeta Giulio Perticari (1779-1882) o meglio la collocazione della lingua valacca all’interno delle lingue romanze. Infatti, in Europa sono stati pochi i linguisti a considerare l’idioma valacco all’interno del gruppo delle lingue europee con il ceppo latino. Nell’Ottocento la storia della filologia [16] elaborata da Lazăr Șăineanu si sofferma per l’appunto su simili considerazioni richiamando la voce del linguista François Raynouard (1761-1836) [17] o quella di Friedrich Diez (1794-1876) [18], rispecchiando così un tema abbastanza discusso ancor prima del poliedrico intellettuale Carlo Cattaneo.
Il nesso fra il contributo di Rosa Del Conte e quello di Cattaneo è stato messo in risalto dalla pubblicazione del volume Industria e Scienza nuova. Scritti 1833-1839 a cura della studiosa Delia Castelnuovo Frigessi, la quale mentre lavorava all’apparato critico della medesima edizione, ricorse alle conoscenze della studiosa di Voghera per comprendere meglio le sfumature della storia dei valacchi e della loro lingua. Prima che l’edizione della Frigessi uscisse per Einaudi nel 1972, Rosa Del Conte aveva pubblicato nel 1971 il contributo dedicato al saggio di linguistica dello studioso milanese Del nesso fra la lingua valaca (sic!) e l’italiana (1837), allegando un testo inedito ottocentesco, ovvero una risposta di un noto intellettuale rappresentante della Scuola Transilvana, Iosif Hadoș (1829-1880), ex-studente dell’Università di Padova e allievo di Simion Barnuțiu (1808-1864).
Fra le due studiose c’è stato uno scambio epistolare che ha spinto fortemente la Del Conte ad anticipare l’edizione della Frigessi con una sua pubblicazione in merito al «suo Cattaneo». Il risultato fu molto interessante poiché il tema della storia della lingua e letteratura romena fu affrontato anche dal famoso glottologo e linguista bolognese Carlo Tagliavini (1903-1982) [19], ma in maniera parziale, e quindi, Del Conte si sentiva ancor di più di ampliare l’argomento. Il suo contributo consiste soprattutto in un’analisi più puntuale all’interno dell’apparato critico cui accennerò in seguito.
La letteratura romena appare nel XVI secolo ed è rappresentata soprattutto dai testi liturgici, spesso d’impronta bizantina (bulgaro-slava); essi vengono assimilati velocemente costituendo la tenax natura di un popolo che però non rinuncia alle sue radici daco-romane, come direbbe Iosif Hadoș (1829-1880). Il Cattaneo apre però un asse interpretativo che farà strada nella disciplina della filologia romanza: «la conoscenza del valacco diventa indispensabile, in quanto il valacco s’accosta e al latino e all’italiano comune più di numerosi dialetti d’Italia […] La lingua delle colonie romane in Dacia, rimaste isolate dall’Italia già dal III sec., rappresenta uno strumento prezioso per l’indagine filologica e storica sulle origini dell’italiano…» [20]. L’utilità del romeno, ribadisce Del Conte, serve «non solo per l’analisi comparativa in genere con le lingue romanze, ma come sussidio a risolvere delicati problemi di datazione nell’evoluzione del latino», e quindi, tale «utilità individuata dal Cattaneo con estrema precisione» servirà come piattaforma della romenistica all’interno della filologia romanza [21]. In pratica, tutta la storia della letteratura romena antica si sottrae al pan-slavismo nonostante la circolazione dei libri di culto di redazione slavo-bulgara, per via di una lotta storica così come si sottrae al purismo del latino promosso dai vari movimenti intellettuali transilvani.

Per la storia della letteratura e della lingua romena contano tutti gli elementi sia quelli di natura filologica: etimologia, fonetica, morfologia, lessicologia, sia quelli della storia: colonizzazioni, influssi delle tribù asiatiche, i maggiori eventi ecclesiastici nel Seicento, ecc. All’interrogativo del Cattaneo se i «valacchi» abbiano una letteratura, Rosa Del Conte risponde mostrando le sue competenze nella storia della Valacchia, della Transilvania e della Moldavia. Il contesto della Riforma protestante rimane emblematico nella dinamica delle future trasformazioni linguistiche nell’area dei Principati Romeni. In questo senso, non basta richiamare Disputationes et controversiae christianae fidei del Bellarmino, ovvero le controversie fra varie confessioni cristiane principalmente quelle della Transilvania, come pensa il Cattaneo. Pertanto, Del Conte si richiama al clima della Riforma transilvana tout court: i Sassoni diventano luterani mentre la maggior parte della popolazione ungherese diventa calvinista.
Sembra che il Catechismo riformato del 1544 di redazione romena abbia stimolato l’attività dei traduttori e, implicitamente, l’evoluzione della lingua: «nel caso dei romeni il problema della lingua e della loro relativa origine si è identificato così univoco con quello delle origini etniche. Mai il riconoscimento del carattere della sua lingua ha avuto un peso così determinante sul destino di un popolo, sulla sua possibilità di resurrezione morale, prima che civile e politica» [22]. Il giudizio della professoressa lombarda mi sembra per l’appunto cruciale in quanto sintetizza perfettamente le tensioni che hanno preceduto la stabilizzazione dell’alfabeto latino e la riforma linguistica iniziata nel 1829 e conclusa verso il 1860. 
Queste tensioni e lotte dei linguisti romeni transilvani non sono ignote al Cattaneo e infatti si nota il suo tono equidistante dall’ideologizzazione del latino, così come accade con vari rappresentanti della Scuola Transilvana. Del Conte ribadisce la posizione di Cattaneo e lo corregge là dove dal punto di vista bibliografico o storico non mostra una profonda conoscenza. È sempre lei che metterà in bilancio le delicate questioni della traslitterazione nel passaggio dai caratteri cirillici a quelli latini e inoltre dei contrasti generati da una parte, dai sostenitori dell’alfabeto cirillico, come l’alfabeto più adatto a riprodurre la realtà fonetica della lingua romena, e dall’altra, dai difensori dell’alfabeto latino che tendono a latinizzare eccessivamente le origini della lingua.
In questa Babele dominata anche dalle ragioni ideologiche nell’area transilvana, Del Conte conferma la neutralità dell’esame linguistico-comparativo del Cattaneo, esame riportato sia sul piano del lessico che su quello della morfologia, che si conclude con la valutazione delle grammatiche o di dizionari della lingua valacca quali Dimitrie Eustatievici Brașoveanul, Gramatica românească, 1757; Samuil Micu, Gheorghe Șincai, Elementa linguae daco-romanae sive valachicae, Viena, 1780, Ienăchiță Văcărescul, Observații sau băgări de seamă, asupra regulilor Grammaticii Rumânești adunate și alcătuite dă dumnealui Iannache Văcărescul, cel dă acum dicheofulax a Bisericii cei Mari a Răsăritului și mare vistier a Principatului Valahiei. Tipărită acum întru al doilea rând în Vienna Austriei la Iosif niblu de Burțbec înpărătescul și crăescul al Burții Tipograf, și bibliopol. 1787; Ioan Alexei, Gramatica românească, Viena, 1826 ecc.

Per concludere, aggiungo che oltre alla letteratura religiosa dei valacchi notata dal Cattaneo, oltre alla letteratura storica dei romeni, ovvero quella delle cronache, notata da Del Conte, l’antichità della letteratura romena viene rappresentata anche dalle traduzioni di letteratura classica, elemento questo completamente trascurato sia dall’uno che dall’altra. Si tratta della prima traduzione in lingua romena delle Storie di Erodoto eseguita dall’umanista Nicolae Milescu (1638-1704) fra il 1669 ed il 1670, mentre si trovava a Costantinopoli [23], molto probabilmente negli stessi anni in cui lo stesso Milescu traduce anche la Bibbia dei Settanta, riportando così all’antichità della letteratura romena i contributi più pregiati e segnando addirittura l’inizio della modernizzazione della lingua romena [24]. Certamente Rosa Del Conte non poteva citare questa traduzione mileschiana in quanto inedita e oscurata dai problemi in merito alla paternità del testo. Tuttavia, la studiosa ricorre alle valutazioni di Dimitrie Cantemir (1673-1723) nella sua Descriptio Moldaviae, opera dove si notano acutissime considerazioni linguistiche e tanto più si denunciano gli elementi che hanno frenato lo sviluppo della letteratura romena antica, come afferma anche la Del Conte: «… venuto [Dimitrie Cantemir] in contatto con una complessa civiltà culturale e letteraria come quella di Bisanzio, non può fare a meno di deplorare, come più di tre secoli prima avevano fatto gli umanisti, che nel mondo romanzo venivano scoprendo la classicità; l’inimicizia di circostanze storiche che al popolo romeno avevano occultato lo splendore della civiltà bizantina, per costringerlo entro l’angusto orizzonte dei catechismi o di altri libri di carattere religioso: per integra duo saecula non alia nisi slavonica lingua in usu fuit» [25].
Ho richiamato i giudizi di Rosa del Conte in merito alla storia della lingua e della letteratura romena per le premesse di una prossima esposizione, più articolata, che situerà la studiosa lombarda all’interno della storia intellettuale italo-romena del Novecento. Come accennavo all’inizio, tutti gli elementi convergenti della storia della lingua e letteratura romena creano per Rosa Del Conte il miglior supporto per la comprensione dei grandi poeti romeni dell’Ottocento e del Novecento. Per fare un esempio, l’avvicinamento all’opera di Mihai Eminescu, di Tudor Arghezi o di Lucian Blaga, penso sia fatta per via delle sue profonde e analitiche letture delle cronache romene antiche, di tutta la storiografia storica e letteraria dell’Ottocento: Simion Bărnuțiu, Gheorghe Asachi, Alessandro Papiu-Ilarian, Iosif Hadoș, Ion Heliade-Rădulescu, Bogdan Petriceicu Hașdeu, Lazăr Săineanu et alii.
Alla fine dell’articolo esaminato, Rosa Del Conte conclude con una frase che fornisce la chiave di lettura dell’attività della studiosa: «… il Cattaneo è guidato da intuito felice anche nelle sue previsioni su quella che sarà la lingua letteraria romena. Il processo in corso per creare una lingua unitaria si sarebbe infatti concluso con l’equilibrato apporto dei sue principali dialetti: il valacco – già “istituzionalizzato” attraverso l’amministrazione – e il moldavo. A questa lingua gli scrittori – da Eminescu ad Arghezi – avrebbero impresso il segno peculiare del loro genio creativo» [26].

Rosa Del Conte professoressa: il suo network accademico

L’ascolto di decine di nastri magnetici e la lettura dei corsi accademici svolti presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (dal 1951 fino al 1954) e l’Università Statale di Milano (1957-1967), materiale questo esistente all’interno del Fondo Rosa Del Conte presso l’Istituto Toniolo, hanno consolidato concettualmente quello che è stato affermato in precedenza (I, II) e costituiscono un punto di partenza per qualsiasi ricerca dedicata alla studiosa di Voghera. Che cosa si sentiva all’interno delle aule milanesi oltre al fatto che i suoi studenti potevano leggere i contributi offerti dalla nota professoressa lombarda? Qual era la logica delle sue scelte epistemologiche pensando alla materia dei suoi corsi e a quella delle sue ricerche? Per rispondere a queste domande, innanzitutto ritengo sia utile elencare gli anni accademici e i titoli delle lezioni svolte in questo periodo perché rispecchiano perfettamente i suoi interessi e i temi maggiori cui abbiamo accennato in precedenza.
Non appena tornata dall’Università di Cluj, nell’anno accademico 1948-1949 si dedica ai temi lirici di Mihai Eminescu e alla loro risoluzione lirica nonché agli aspetti del vocalismo e del consonantismo romeno, nel quadro degli altri idiomi romanzi. Successivamente, fra il 1949 ed il 1950 ritorna alle questioni di linguistica romena nonché ai temi folcloristici come le colinde religiose nella poesia popolare romena. L’anno accademico successivo 1950-1951 si dedica alle grandi linee evolutive della letteratura romena e poi, nel 1951-1952, al pensiero e alla poesia di Lucian Blaga. Negli anni 1952-1953 offre corsi sui temi folclorici come la nascita, le nozze e la morte nella poesia popolare romena, per continuare poi a riprendere negli anni 1953-1957 gli argomenti rivolti alla storia della letteratura romena e nel 1957-1960 allo studio approfondito di Eminescu. Negli anni 1960-1963 si riavvicina allo studio dell’influsso dell’Illuminismo sulla letteratura transilvana, alla personalità e all’opera di Budai Deleanu e alla cultura romena durante il periodo della dominazione fanariota.
Si osserva dunque come il centro dei suoi interessi rimanga l’universo autoctono, la tradizione culturale che precede l’epoca di Eminescu nonché il suo milieu intellettuale. Inoltre, la prof.ssa Rosa Del Conte organizzò vari convegni dedicati all’opera di Mihai Eminescu – svolti negli anni ’50 e organizzati assieme all’Università Cattolica del Sacro Cuore – nonché un famoso convegno organizzato a Venezia, con la Fondazione Cini, dedicato sempre alla figura del grande poeta. Nel contempo lavorò alla sua monografia più importante Mihai Eminescu o dell’Assoluto, volume editi dall’Istituto di Filologia Romanza della Università di Roma, collana Studi e Testi, dalla Società Editrice Modenese, a Modena, nel 1962 (pp. 482) contributo ben accolto dagli studiosi: in primis da Mircea Eliade, A. E. Baconsky, Zoe Dumitrescu-Bușulenga, cogliendo altrettanto numerosi consensi, da lei stessa evidenziati, come quelli del Monsignor Prof. Octavian Bârlea, Presidente della Societas Academica Dacoromana, prof. Giuseppe Bonfante – Università di Torino, prof. Gianfranco Contini – Università di Firenze, prof. Alexandru Rosetti, Accademia Romena di Bucarest, prof. Emil Turdeanu, EPHE – Paris, ecc.
Questa monografia anticipa di poco quella di Alain Guillermou, La genèse intérieure des poésies d’Eminescu, edita dall’Editrice Didier a Parigi nel 1963 e segue alle traduzioni delle poesie emineschiane nella lingua italiana ed ai vari contributi scientifici: l’accenno di Pasquale Buonincontro, La presenza della Romania in Italia nel secolo XX. Contributo bibliografico 1900-1980, De Simone Editore, a Napoli, nel 1988; l’ampio studio scientifico di Carlo Tagliavini, Michele Eminescu, in Studi sulla Romania, Istituto per l'Europa Orientale, a Roma, nel 1923; Poesie, Mihail Eminescu, prima versione italiana dal testo rumeno, con introduzione e note a cura di Ramiro Ortiz, G. C. Sansoni editore, a Firenze, nel 1927; in fine, l’articolo del glottologo Giulio Bertoni, La poesia di Michele Eminescu pubblicato nella rivista Archivum Romanicum 1, nel 1940 ecc.
Inoltre, sarà grazie al suo lavoro dedicato a Eminescu che Rosetta Del Conte intensificherà i rapporti con lo storico delle religioni più famoso al mondo all’epoca, Mircea Eliade. Questo aspetto si nota con chiarezza dal loro carteggio [27] iniziatosi negli anni ’50, che però diventa molto più intenso negli anni successivi. Nella seconda parte del mese di aprile del 1963, Rosa Del Conte invia il volume Mihai Eminescu o dell’Assoluto a Chicago, mettendo una dedica che ritengo opportuno riportarla qui: «A Mircea Eliade poeta e storico dell’Assoluto cui sagace intuito e luminosa dottrina soccorrono nel leggerlo attraverso dei secoli e stirpi, le testimonianze d’una ricerca che accomuna nello stesso anelito popoli ed età. In deferente omaggio, Rosa Del Conte». Nel giorno del 20 aprile, sempre del 1963 lo storico delle religioni le risponde con autentico entusiasmo: «Illustre e amata collega, La ringrazio con tutto il cuore per lo straordinario Eminescu che ha avuto l’amabilità di inviarmi. Ho avuto giusto il tempo per sfogliarlo e per leggere i frammenti di qualche capitolo, eppure non posso trattenermi dal dire quanto Le sono grato, in quanto Romeno, per quest’opera. Non appena tornerò da New York e Harvard, quindi verso 6-7 maggio, mi rimetterò seriamente a leggere. Spero di poter pubblicare anche un articolo per una rivista romena. Nel ringraziarLa ancora una volta, nonché augurarLe tutto il successo per l’attività che svolge nella sua attività di esegeta della spiritualità romena, La prego di ricevere amata collega, i miei omaggi di ammirazione e riconoscenza. Mircea Eliade” [28]
Attraverso la lettura dell’intero carteggio fra i due studiosi, ho notato anche la dinamica, l’intensità dei toni fra di loro. Difatti, Del Conte invia un telegramma il 2 maggio del 1963 dove si rispecchiano perfettamente le emozioni della professoressa: «Le sue parole mi hanno tranquillizzata la coscienza e commosso l’animo. Stop. Non so come ringraziarla. Rosetta Del Conte» (A Mircea Eliade, Swift Hall, University of Chicago, Chicago 37). Lo scambio di confidenze diventa visibile e la collega italiana apre il suo cuore in una successiva e lunghissima lettera del 4 maggio 1963: «Illustre e caro Professore, faccio seguito al telegramma (i.e. 2 maggio 1963) con cui L’ho ringraziata delle Sue parole. Esse mi compensano di molti anni di lavoro, appassionato e tenace, ma isolato nel cerchio faticoso ed inquietante del monologo. Parlare di un grande Poeta che non è il nostro, e da cui siamo in pochi a poter trarre godimento senza dover ricorrere alla mediazione sempre approssimativa del traduttore e cercare di riconoscere attraverso la sua voce di tutto un popolo, di cui non portiamo nel sangue la Storia, è compito che impegna la coscienza, e nel modo più delicato. E forse alla mia esegesi anche il più ostile dei miei giudici vedrà tralucere questo affettuoso rispetto per una tradizione che non è la mia, ma che ha per il mio cuore e per la mia intelligenza, richiami di una suggestione tanto misteriosa quanto potente. Più di una volta Blaga [Lucian Blaga] ebbe a dirmi “che dovevo essere nata nella Dacia Traiana” e quelle Sue scherzose parole si ridestano talvolta nella memoria e mi turbano. Ciò avviene appunto negli attimi in cui mi pare (o mi illudo?) di aver captato qualche vibrazione nuova nell’opera dei Vostri geni, o di comunicare con violenza immediata col messaggio che essi hanno lasciato» [29].

Davanti all’eredità di Rosa Del Conte, oggi

Per chiunque si trovi davanti sia al Nachlass di Rosa Del Conte che alla sua biblioteca (oltre 7000 volumi) o, meglio, coloro che leggono i suoi contributi dedicati alla lingua e letteratura romena, comprenderanno all’istante che dietro le emozioni espresse nella lettera indirizzata a Eliade, esiste un notevole sforzo intellettuale di comprendere il linguaggio poetico romeno ottocentesco. In altre parole, l’empatia di cui parla scherzosamente il filosofo e poeta Lucian Blaga mentre pensava la percezione, l’erudizione e la profondità delle conoscenze della professoressa Del Conte per la Dacia Traiana, quel sentire dentro l’animo di una cultura che non era la sua, si colloca all’interno di una cronologia che riflette decenni di anni di studio della lingua, della cultura e della civiltà romena.
Credo sia stato proprio questo il mio intento con questo saggio: dimostrare brevemente che Rosa Del Conte merita una peculiare attenzione rispetto a tanti altri romenisti del Novecento. Anche dal punto di vista quantitativo, questa studiosa è riuscita a coinvolgere decine di istituzioni, centinaia di persone – accademici, intellettuali del XX secolo, scrittori, studiosi sia della Romania socialista sia dell’esilio – diventando una specie di leader fra i romenisti italiani nonché filologi romeni dell’epoca. Gran parte dei suoi libri sono firmati dagli autori stessi. La presenza di centinaia di microfilm inviati da parte delle biblioteche romene – sia manoscritti, ma soprattutto copie di libri introvabili o semplicemente inaccessibili, in gran parte letteratura secondaria dell’Ottocento (per esempio storia della letteratura, antiche cronache, periodici importanti editi prima della Seconda Guerra Mondiale), ma non solo – nonché centinaia di immagini di meravigliosi affreschi dei monasteri romeni, cui si sommano anche decine di nastri magnetici, registrazioni con elementi folclorici inviati spesso dalla Società della Radio diffusione romena, testimoniano il profillo sia del richiedente sia del mittente. Nessuna istituzione romena all’epoca poteva agire senza speciali interventi, bilanciandosi spesso infastidita fra una burocrazia ideologizzata o dominata dalla censura del regime comunista e un richiedente molto speciale, quale era la professoressa Rosa Del Conte. Tantissime testimonianze al riguardo aspettano di essere scoperte.
Per poter comprendere l’eredità della studiosa di Voghera bisogna studiare attentamente tutti i documenti e i materiali da lei offertoci. I primi passi concreti sono stati fatti dall’Istituto Toniolo, l’ente istituzionale che gode di un generosissimo lascito della professoressa, collaborando nei miglior modi con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, università che fra l’altro fu fondata dal medesimo istituto per via di una brillante personalità quale fu padre Agostino Gemelli (1878-1959). L’Università Cattolica aveva invitato Rosa Del Conte a svolgere delle lezioni e sicuramente il rapporto istituzionale con padre Gemelli nonché con altri docenti del Novecento meriterebbe di essere studiato. Inoltre, in quanto religiosa ambrosiana e, probabilmente, per ragioni che i documenti esistenti nel Fondo Rosa Del Conte potranno rivelare, la studiosa decide di affidare tutto al suddetto istituto. Di conseguenza, nasce un assegno di ricerca, si compie con successo la catalogazione dei suoi numerosi volumi, di recente sono stati digitalizzati i nastri magnetici, sperando che lo stesso processo si attui anche nel caso dei documenti esistenti nell’archivio. Già un primo convegno dedicato alla memoria della professoressa Rosa del Conte il 12 marzo 2015 è riuscito a cogliere i contributi di vari docenti e può costituire la premessa di ulteriori sviluppi.




La prof.ssa Rosa Del Conte con il prof. Angelo Monteverdi alla Fondazione Cini nel 1964
(foto inedita)




Daniela Dumbravă
(n. 6, giugno 2015, anno V)



NOTE

1. Lorenzo Renzi, Ramiro Ortiz tra Italia e Romania in Le piccole strutture. Linguistica, poetica, letteratura. A cura di Alvise Andreose, Alvaro Barbieri, Dan Octavian Cepraga, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 529.
2. Curriculum vitae, prof.ssa Rosa Del Conte.
3. Ibidem.
4. Ibidem.
5. Luisa Valmarin, Rosa Del Conte, relazione accessibile on-line, consultata il 12 maggio 2015.
6. Elena Pîrvu, Per una storia dei friulani in Romania. La comunità di Craiova, in «Orizzonti Culturali Italo-romeni» n. 3, marzo 2013, anno III, l’ultimo accesso online il 15 aprile 2014;
7. A causa di questa collaborazione, il prof. Al. Marcu fu condannato dal regime comunista nel 1944 e morì nel carcere di Văcărești nel 1955.
8. Mi sembra rilevante riportare qui l’asserzione del prof. Alexandru Niculescu, espressa nel giorno del centenario della nascita: «La sua educazione, avvenuta nel rigore del cattolicesimo ambrosiano, le imponeva un severo comportamento etico, irreprensibile dinanzi alla propria coscienza morale. Atteggiamento che Rosa Del Conte ha conservato durante l’intero arco della sua esistenza», vedi la relazione Rosa Del Conte, relazione accessibile on-line, consultata il 12 maggio 2015.
9. Doina Condrea Derer, Nina Façon, o viață dedicată studiului. Evocare de Doina Condrea Derer, in «Orizzonti Culturali Italo-romeni» n. 10, ottobre 2014, anno IV, l’ultimo accesso online il 15 aprile 2014; Corespondența/Ramiro Ortiz, Nina Façon, a cura di Doina Condrea Derer, Jurnalul literar ed., Bucarest, 2007.
10. Idem n. 1, p. 529.
11. «Calmo e staccato, il suo dire esprimeva una certezza che sarebbe offesa gridare o anche proclamare; e quel che di statico e assente è in tutta la sua persona, pur così classicamente statuaria, s’illuminava come di una rivelazione improvvisa quando tu incontravi i suoi occhi, pensosi e chiari occhi, azzurri come il pallido filo del lino, aperti sulle cose – sul bene e sul male del mondo – come in un ininterrotto stupore; aperti anche sugli uomini per offrir loro – quasi un invito a placarvi la loro inquietudine o a rintuzzare ogni sordo istinto di odio e di malizia – quello squarcio limpido di cieli alti e lontani.», brano estratto da Rosa Del Conte, Il senso di Dio nella lirica di un poeta romeno contemporaneo Lucian Blaga (Conferenza tenuta in Milano, per gentile invito dell’ANGELICUM, nel ciclo Letterature Straniere il 26 Gennaio 1950, e ripetuta a LYCEUM di Milano, il 15 Marzo 1950), p. 9.
12. Rosetta Del Conte, Corso di lingua e letteratura rumena, anno accademico 1950-1951, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere, Stamp. Cesare Tamburini Fu Camillo, Milano, 1951, p. 15.
13. Basil Munteanu, Storia della letteratura romena moderna. Traduzione eseguita da A. Silvestri-Giorgi, collana Biblioteca di Cultura Moderna, Laterza, Bari, 1947.
14. Rosa Del Conte, Carlo Cattaneo e la filologia rumena in «Cultura neolatina. Bollettino dell’Istituto di Filologia Romanza della Università di Roma», fasc. 1-2, vol. XXXI (1971), pp. 1-98;
15. Cfr. Opere edite ed inedite di Carlo Cattaneo, a cura di Agostino Bertani, Firenze, Le Monnier, 1925, pp. 209-237; viene specificato anche nel suddetto articolo di Rosa Del Conte (si veda n. 14), che il saggio di Carlo Cattaneo fu pubblicato per la prima volta in Annali universali di Statistica, Economia pubblica, Storia, Viaggi e Commercio, LII, maggio 1837, fasc. 155, pp. 129-157, col titolo: Nesso della nazione e della lingua valacca coll’italiana, poi viene ripubblicato in Alcuni scritti, Borroni e Scotti, Milano 1846, vol. 1, pp. 169-192; le successive ripubblicazioni seguiranno la versione edita nel 1846. Aggiungo, inoltre, che il suddetto saggio fu scritto dal Cattaneo nel 1830, si veda C. Cattaneo, Opere scelte, a cura di Delia Castelnuovo Frigessi, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1972, pp. 299-300.
16. Lazăr Șăineanu, Istoria filologiei române, cu o privire retrospectivă asupra ultimelor decenii (1870-1895), Editura Librăriei Socecu, București, 18952, p. 29 e sgg.
17. François Raynouard, Choix des poésies originales des Troubadours, Paris, 1816-1821, vol. VI, pp. 67-68.
18. Friedric Diez, Grammatik der romanischen Sprachen, Bonn, 1836-1843, vol. I, p. 89 e sgg.
19. Carlo Tagliavini, Un frammento di storia della lingua rumena nel secolo XIX. L’Italianismo di Ion Heliade Rădulescu, Roma 1926; ulteriormente, Paralele ipotetice și reale între limba românăși dialectele italiene, București 1968.
20. Idem. n. 14, p. 39 e sgg.
21. Ibidem, n. 10.
22.  Idem. n. 14, p.
23. Herodot. Istorii, traduttore Nicolae Milescu (XVII s.), edizione a cura di Liviu Onu (prefazione, studio filologico, apparato critico, glossario), Lucia Șapcaliu (indici), Editrice Minerva, Bucarest, 1984. Si tratta dell’edizione diplomatica del testo romeno ovvero della traduzione dal greco in lingua romena antica da parte dell’umanista moldavo Nicolae Milescu.
24. Daniela Dumbravă, Nicolae Milescu e il Ms. 45, f. 456r – 457v. Appunto storiografico, «Annuario dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica» di Venezia, 9 (2007), pp. 257-274.
25. Idem. n. 10, p. 6
26. Idem n. 14, p. 65
27. Il carteggio Mircea Eliade-Rosa Del Conte, collocato sia nel Fondo Rosa Del Conte che nel fondo Mircea Eliade Papers, Special Collection Research Center, University of Chicago Library, Box 81 è ancora inedito ed è in corso di pubblicazione a cura della scrivente.
28. Idem n. 27, lettera del 20 aprile 1962: «Stimată și iubită colegă, vă mulțumesc din toată inima pentru extraordinarul Eminescu pe care ați avut amabilitatea să mi-l trimiteți. Am avut doar timpul să-l răsfoiesc și să citesc fragmente din cîteva capitole, dar nu mă pot opri să nu vă spun cît vă sînt de recunoscător, ca Român, pentru această operă. Îndată ce mă voi reîntoarce de la New York si Harvard, deci pe 6-7 mai, mă voi apuca serios de lectură. Sper să pot publica și un articol pentru o revistă românească. Mulțumindu-vă încă o dată, și urându-vă tot succesul în activitatea d.stră de exegetă a spiritualității românești, vă rog să primiți iubită colegă, omagiile mele de admirație și recunoștință. Mircea Eliade». (Lettera collocata nella scatola 81 del fondo Mircea Eliade Papers, Special Collection Research Center, University of Chicago Library).
29. Idem. n. 27.



* Ringrazio la professoressa Ida Garzonio, ex-allieva di Rosa Del Conte, per la sua disponibilità nella revisione del presente testo e per i suoi preziosissimi suggerimenti, nonché la dott.ssa Laura Rizzi per gli spunti linguistici offerti.